di Olimpia Ferrara
Un’ unica luce dall’alto illumina due personaggi che avanzano verso il pubblico stretti l’uno all’altro. Nessun lembo di pelle esposto, i tratti del volto modificati da una maschera che ci dà poche notizie sulla loro identità. Eppure ci guardano e i loro corpi trasudano sorpresa e gratitudine nel vederci.
È così che il Teatro Basilica e il Gruppo della Creta, con la produzione di Fattore k, riapre le porte ad una nuova stagione e ad una nuova alba, ringraziando il pubblico che, ancor più coraggiosamente di prima, decide di andare a Teatro.
Il tempo incalza e con esso il ritmo dell’intera messa in scena che si svolge in un ospedale psichiatrico gestito da un personale medico asettico e freddo, come i numeri con i quali sono contrassegnati i pazienti. Lo spazio è scandito da quattro pannelli che, spostati fluidamente, ricreano ambienti e danno vita a storie e personaggi che si intersecano, esistono e poi svaniscono inghiottiti dalla coltre sonora di un canto corale a canone, scientificamente architettato da Enea Chisci e Pamela Massi. Un canto che ci riporta ad una ritualità quotidiana e terribile che regola la vita di due giovani donne, legate all’interno di camicie di forza agganciate a due diversi pannelli.
L’una, interpretata da una struggente Laura Pannia, ci narra una vita di violenze subite e ci svela due terribili perdite. L’altra, una splendida Eleonora Notaro, dal temperamento nervoso e ribelle, crede nella rivoluzione come porta di accesso ad una vita migliore, fuori dall’istituto in cui è stata rinchiusa.
Storie e personaggi prendono corpo, ma proprio quando il pubblico sta per affezionarsi e per immedesimarsi tutto svanisce per lasciare il posto ad altri volti, ad altre energie: un maestro e un giovane allievo, interpretati da Alessio Esposito e Maria Lomurno, immersi in un viaggio apparentemente senza meta e coordinate; un Ministro dell’Interno, a cui Jacopo Cinque dà corpo e voce, che parla al suo elettorato in termini preconfezionati, con un sorriso stampato sul viso e sul mega poster che ha alle spalle ogni volta che la diretta televisiva inizia.
Mirabile il lavoro corale e trasformativo degli attori che dimostrano grande affiatamento e controllo sulla scena. Lasciandosi risucchiare dallo spettacolo, il testo, scritto da Anton Giulio Calenda, e la regia, a cura di Alessandro Di Murro, si fondono l’uno all’altro con straordinaria naturalezza.
Finalmente un teatro in cui testo e regia non sono i genitori dispotici che comandano sui figli come fossero roba loro. Tutti giocano un’unica partita, ovvero quella di mostrarci quanto tenebroso, violento e senza senso può diventare il periodo che stiamo vivendo.
Lo spettacolo, in scena fino all’11 ottobre, passa il testimone al pubblico chiedendogli di agire e di non restare più fermo a guardare.