Tavola tavola, chiodo chiodo, in scena fino a domenica 5 dicembre presso il Teatro Vascello, è uno spettacolo di una qualità indiscussa. Progetto dello stesso Musella e di Tommaso De Filippo e con la collaborazione preziosa di Maria Procino per la ricerca storica che sta alla base dell’impianto drammaturgico.
Di Olimpia Ferrara
A sipario chiuso, l’eco di un martello che batte, sei colpi sul legno e già il pubblico può intuire che gli si staglierà innanzi uno spettacolo che odora di legno e polvere, che odora di teatro. Uno straordinario e delicato Lino Musella, accompagnato dalle musiche originali del Maestro Marco Vidino, ci restituisce l’umanità di un artista che troppo spesso abbiamo considerato grande, invincibile, quasi un’entità sovrannaturale. Invece i carteggi, le lettere alla famiglia e i pensieri sparsi, che sono il cuore dello spettacolo, trasudano umanità e straordinaria sensibilità.
Fogli che ci mostrano un Eduardo sconfitto, avvilito, malinconico, triste. Scoprire queste fragilità non lo fanno apparire ai nostri occhi come un debole, anzi, esse sortiscono proprio l’effetto contrario, ovvero quello di far aumentare l’ammirazione nei confronti dell’uomo prima che del Maestro. Allora anche Eduardo De Filippo ha sofferto quando non ha potuto vedere i figli per molto tempo, quando ha dovuto fare i conti con le autorità e con la politica italiana da sempre sorda al richiamo dei bisogni speciali della cultura. Nonostante questo, Eduardo conserva la pazienza, la costanza e la disciplina per andare avanti e per costruire un teatro proprio come se lo immaginava: tavola dopo tavola chiodo dopo chiodo.
Dai documenti vengono a galla, più attuali che mai, argomenti che riguardano il finanziamento del teatro, i problemi strutturali che pesano su un sistema culturale farraginoso e antico e ci sembra che non sia passato nemmeno un giorno da quelle parole. Eppure, nonostante tutto, il teatro risorge come una fenice dalle sue ceneri, succederà ancora e ancora. Finché ci sarà qualcuno disposto a fare teatro tavola tavola, chiodo chiodo, il teatro non morirà.
Alcuni carteggi ci raccontano la costruzione del San Ferdinando, progetto a cui Eduardo teneva particolarmente. Come un padre che non vuole far soffrire ai figli la fame e il freddo che ha sofferto lui in gioventù, Eduardo fa costruire un teatro in cui l’attore può avere un trattamento dignitoso, quello che spesso a lui è mancato. L’Eduardo che prende corpo da questo spettacolo ci viene mostrato come un mare calmo e benigno ma che sotto la superficie è attraversato da correnti fredde e turbolente.