1 Febbraio 2013 da enzorusso2020
Presentazione del libro di Ennio Caretto, Il welfare State nell’antica Roma. Lo Stato sociale da Augusto a Obama, Editori Internazionali Riuniti, 2012. Il libro è scritto bene, molto argomentato, cita letteratura rilevante. A tratti ho trovato la lettura anche divertente per una serie di osservazioni e aneddoti sui costumi e la way of life dei nostri antichi romani. Leggendo il libro ho notato con piacere di non essere il solo a pensare che il cesarismo ha portato con se i primi segni di arretramento delle antiche virtù della Roma repubblicana ma Ennio Caretto ci ricorda che ci sono stati anche gli imperatori buoni come gli Antonini che, a volte, mettevano mano nei loro portafogli per assicurare certi servizi in situazioni di emergenza. Per loro era più facile perché durante le guerre di conquista si appropriavano di quota consistente del bottino. Caretto segue il parallelismo che molti studiosi di storia antica e contemporanea fanno tra presunto declino dell’Impero americano e quello romano – un mantra vecchio continuamente rilanciato dalla Destra americana. l’Impero romano sarebbe caduto per l’eccesso di welfare e così cadrebbe quello americano se adottasse il modello sociale europeo. Secondo Caretto e me la tesi è infondata. Si tratta di un espediente retorico, senza alcuna evidenza empirica perché gli studiosi che hanno studiato il crollo dell’Impero Romano elencano circa 200 fattori diversi. Dopo aver letto il libro di Caretto ho ripreso il saggio del prof. Federico Caffè “in difesa del Welfare State”, Rosemberg & Sellier, 1986. Anche lui all’inizio richiama la tesi c.d. “crollista”, che intellettuali e accademici utilizzano nelle loro analisi. Prima si diceva che il nostro sistema non poteva non crollare perché c’era la crisi irreversibile del capitalismo. Ora alcuni dicono il sistema non reggerà perché il Welfare State non è sostenibile. E’ quello che dice la Destra americana facendo l’analogia tra il crollo dell’impero romano e la crisi strutturale, declino e, prima o poi, crollo dell’impero americano. Come da titolo Caretto incentra la sua analisi sulle politiche sociali in una società classista, che conosceva la schiavitù, li manteneva bene perché potessero lavorare, che riconosceva pensioni soddisfacenti ai veterani e alle vedove di guerra, che assisteva i figli abbandonati e, quindi, si possono trovare ampi richiami e paralleli con i problemi attuali. Come noto il welfare in Europa e con alcuni decenni di ritardo in Italia risorge nella seconda metà del XIX secolo con l’affermarsi dei sindacati. Anche questi esistevano nell’antica Roma dove venivano chiamati collegia. Ma il vero rilancio del welfare avviene per effetto della Grande depressione e della seconda guerra mondiale. Inizia alla grande prima Roosevelt negli USA con il New Deal che non è solo un grande programma di lavori pubblici e poi, nel 1942, Lord Beveridge, di formazione liberal-democratica, presenta al Parlamento un Rapporto sulle assicurazioni sociali e connessi servizi che nel 1944 ripresenta al parlamento come un Manifesto per il pieno impiego in una libera società. Il rapporto vede la piena occupazione come presupposto per lo stato sociale, sarà ripreso e portato avanti dal Partito laburista che nel frattempo aveva vinto le elezioni. Gli anni 1945-75 conoscono in Europa lo sviluppo e il trionfo del welfare State e vengono considerati i “trenta gloriosi”. In Italia si sviluppa in modo alquanto sbilanciato sul volet delle pensioni e del sanità a fine anni ’60 e solo nel 1978 si arriva alla riforma che istituisce il servizio sanitario nazionale. La spesa pensionistica dell’Italia è stata il 15,3% del Pil nel 2010, e nei 50 anni successivi oscillerà tra il 14,4% e il 15,9%, stima l’Ocse nel suo Pensions Outlook 2012. Il livello di spesa per le pensioni italiano è superiore alla media Ocse (9,3% nel 2010, 9,5-11,7% da qui al 2050) e a quella dell’Ue a 27 (10,8% nel 2010, 10,9-13,2% da qui al 2060). Il primo squilibrio consiste nello squilibrio della spesa sociale sulla quale pesa di più quella pensionistica a scapito degli altri istituti come assistenza ai disoccupati, workfare e formazione professionale. Il secondo grosso squilibrio è connesso al primo e consiste nella maggiore protezione che il sistema assicura agli insider rispetto agli outsider. Basti dire che il 58% delle pensioni erogate e il 74% del valore resta concentrato a Nord. Così si coglie anche lo squilibrio territoriale del paese in termini di distribuzione storica del lavoro. La seconda voce fondamentale del welfare è la sanità la cui spesa (7,1% del PIL ) appare del tutto in linea con i paesi membri della UE e dell’OCSE. Qui preoccupano le disparità in termini di livelli essenziali di assistenza diversamente applicati sul territorio. Come fattori oggettivi si elencano : l’allungamento della via media che porta con se malattie croniche, non autosufficienza, cure costose, ecc.. Una previsione demografica per gli anni 1990-2040 ci dice che la quota ultra 65anni/pop 15-65 passerà n. UE dal 21,4 al 42,8%; la caduta del tasso natalità della popolazione; per inciso, il tasso di natalità può essere corretto ma servono specifiche politiche attive; la crescente disoccupazione anche per via degli sviluppi tecnologici; il lento dissolversi dello Stato nazionale tra processi di integrazione verso l’alto e di decentralizzazione verso il basso; la globalizzazione e la concorrenza fiscale che essa genera specialmente all’interno di aree vaste in fase di aggregazione e integrazione politica con connessi processi di federalizzazione; la finanziarizzazione selvaggia e il prevalere della veduta corta; la riluttanza dei Paesi Membri della Unione Europea ad armonizzare le loro politiche sociali e la resistenza dei governi a attribuire al governo comune competenze e risorse adeguate; la strumentalizzazione del federalismo come decentramento verso il basso di competenze che attuano i diritti di cittadinanza che restano responsabilità primaria del governo centrale che dovrebbe evitare di sottostimare i fabbisogni. Completano ed aggravano la circostanze il fatto che nei paesi euromed produttività e crescita economica languono proprio perché non funzionano bene o non sono finanziati abbastanza istituti del welfare come l’istruzione, la formazione permanente e l’assistenza. Spesa sociale può crescere più velocemente del reddito e creare problemi di sostenibilità. Vero, ma la soluzione sta nella dinamica del reddito e dell’occupazione. Nei paesi ricchi dove ci sono ampie risorse da mobilitare, la risposta non è tagliare la spesa sociale perché il reddito non cresce ma far crescere l’occupazione e il PIL per rendere sostenibile la spesa sociale. Mentre negli USA, nel 2008, abbiamo avuto la svolta di Obama che sia pure con un compromesso è riuscito a far passare la riforma sanitaria, in Europa, resistono al potere governi di centro-destra e classi dirigenti che sposano le tesi estremiste della Destra americana e dei Tea Parties. Da ultimo è lo stesso Presidente della BCE a parlare di insostenibilità del modello sociale europeo. In fatto quello che osserviamo è che c’è una guerra dei ricchi contro la classe media e i poveri in quanto maggiori beneficiari del Welfare State. La finanza sregolata ha preso il sopravvento e impedisce all’economia reale di funzionare bene. Vuole ridurre il lavoro a mera merce. La finanza sregolata ha ripetuto recentemente Benedetto XVI minaccia la pace riprendendo un’analisi già svolta nella Enciclica Charitas in Veritate. E’ interessante notare come un’analisi analoga fu svolta da Roosevelt in un memorabile discorso al Madison Square Garden alla vigilia delle elezioni del 1936 quando attaccò vigorosamente “i vecchi nemici della pace: i monopoli industriali e finanziari, la speculazione, l’attività bancaria sconsiderata, l’antagonismo di classe, il settarismo, l’affarismo di guerra”, e i rappresentanti degli interessi costituiti che si opponevano strenuamente al New Deal e ai suoi istituti previdenziali. Il welfare è sostenibile se gestito bene se tutti i paesi ricchi giocano con le stesse regole come proponeva Gunnar Myrdal già nel 1960 nel suo libro “Beyond the Welfare State”. Nella UE basterebbe razionalizzare e centralizzare la spesa militare e con i risparmi finanziare un grande programma di reti transnazionali. Inoltre, non ci si rende conto che l’istruzione, le cure mediche sono beni normali che aumentano all’aumentare del reddito e sarebbe non democratico vietare che ciò possa avvenire per favorire gli interessi costituiti. C’è vasta evidenza empirica che la sanità e le pensioni private costano enormemente di più di quelle pubbliche. Ma non basta. Non ultimo, occorre ricordare a tutti noi che senza welfare state non c’è un minimo di giustizia sociale. Senza giustizia sociale non c’è pace sociale – ne erano convinti gli imperatori romani come ci ricorda Caretto. Senza welfare distruggeremmo il modello sociale europeo che ci viene invidiato da tutto il mondo ovviamente lasciando fuori la Destra americana e le numerose dittature. Non sto parlando di uguaglianza che nel contesto occidentale, al di là della retorica e dell’ipocrisia, in questa fase storica, suona blasfemia. Parlo di giustizia sociale nei termini di Rawls. Tutte le misure di politica economica e finanziaria devono mirare a migliorare la sorte, le condizioni di vita dei più deboli, devono rispettare sul serio i livelli essenziali delle prestazioni per tutti i servizi connessi al welfare. Per avere la giustizia sociale secondo Rawls occorre: a) una costituzione giusta che assicuri a tutti i diritti di eguale cittadinanza; b) che “il processo politico sia condotto , per quanto lo permettono le circostanze, come una procedura giusta per scegliere tra vari governi e per emanare una legislazione giusta”; c) che esista un’equa eguaglianza delle opportunità; d) che “il governo garantisca e faccia rispettare l’eguaglianza di opportunità nelle attività economiche e nella libera scelta dell’occupazione. e) Infine, che il governo garantisca un reddito minimo sociale ai meno fortunati… Specificando meglio la funzione di stabilizzazione del bilancio dello Stato, Rawls afferma che essa deve perseguire una situazione ragionevole di pieno impiego, nel senso che coloro che vogliono un lavoro possono trovarlo, e che la libera scelta dell’occupazione e gli investimenti sono garantiti da una forte domanda effettiva”. Ecco una società democratica e ricca può permettersi queste cose solo che lo voglia. Se la missione del governo è la giustizia sociale e se questa non c’è senza sicurezza sociale, allora bisogna lottare per un governo che riconosca la sua missione fondamentale e faccia tutto il necessario per attuarla. Di questo si dovrebbe discutere in campagna elettorale.