L’ultima campagna elettorale ha decretato la nascita ufficiale di un linguaggio politico che rompe col canone, non punta al contenuto ma si concentra sul sensazionalismo (anche contraddittorio)
di Adalgisa Marrocco Infausta, violenta, sensazionalista e piena di vacuità. È con questi aggettivi che ricorderemo la campagna elettorale per le Europee 2014. Banalmente, partiamo da Beppe Grillo e dal suo movimento (sempre più) urlatore. In queste settimane, il leader del M5S ha inanellato dichiarazioni a dir poco colorite. Dall’infelicissimo «io sono oltre Hitler», passando per i reiterati «l’ebetino Renzi» e «la salma Berlusconi», fino alle «linguate al culone della Merkel» e alle vecchie promesse di impossibili referendum sui trattati comunitari. Insomma, tutto quello che sconvolge l’opinione pubblica e fa drizzare le antenne dei media è ben accetto. Non si guarda al contenuto, ma alla forma. E la forma segnala una totale rottura col ‘canone’ del linguaggio politico tradizionale. Un linguaggio che si fa più simile a quello del vicino di casa un po’ misantropo e inalberato con le istituzioni dell’intero globo terracqueo. È un codice nuovo che coglie l’insoddisfazione dei cittadini e trova espressione nei comizi. Si può anche osare ed essere contraddittori, quel che conta è alzare il polverone mediatico. Con le dovute differenze, è un tipo di comunicazione che sta sfruttando anche Matteo Renzi. Vi ricordate il leitmotiv della rottamazione? Ecco, a furia di rottamare, l’ex sindaco di Firenze è arrivato fino alla presidenza del Consiglio. Possa piacere o meno, quella che Matteo Renzi ha realizzato è una piccola rivoluzione all’interno del centro-sinistra: se Bersani chiudeva le campagne elettorali dentro i teatri insieme a Nanni Moretti, Renzi sta in piazza, scende tra la gente e regala selfie alla comunità. Per quanto tutto questo possa sembrare grottesco, denota comunque il merito di aver colto la disaffezione della gente ad una politica abituata a stare sul piedistallo. Nonostante quel gradino rimanga (non prendiamoci in giro!) è sicuramente mimetizzato molto meglio che in passato. È uno scontro tra leader. È uno scontro frutto di una tendenza inaugurata da Silvio Berlusconi vent’anni fa. Lui, oggetto di critiche, ma vero ispiratore di questo nuovo linguaggio politico. Scontri a distanza, insulti poco velati, guerra a colpi di tweet e di post. In questo panorama di eccessi, al vecchio maestro di Arcore non resta che interpretare la parte del saggio semi-mansueto che, tra croccantini per i cani e buffet per i padroni, promette taglio delle tasse e aumenti per le pensioni minime. Un copione vecchio, ma sempre d’effetto per gli irriducibili sostenitori dell’ex Cavaliere, ormai decaduto (in senso lato). Dopo la rivoluzione del linguaggio prepotente, dobbiamo aspettarci anche un’a-democrazia prepotente? Incrociamo le dita.