Alla Camera è passato il “taglio” dei tempi per divorziare. Dopo quarant’anni la legge sul divorzio è riuscita a fare un passo avanti. Si tratta di un cambiamento con andamento lento e illegittimamente la Chiesa tuona contro il provvedimento, che dovrà essere esaminato al Senato, sull’ abbreviazione dei termini.
E fu così che il segretario generale della Cei, mons. Galantino, subito previde la piaga delle famiglie sfasciate, poiché abbreviare i tempi per avere il divorzio vorrebbe dire riflettere meno sulla scelta dell’allontanamento. E in verità disse (Galantino): “matrimonio e famiglia restano il fondamento della nostra società”.
Al di là di questo fondamento sbandierato, che poi non sembra così fondamentale, visto che preti e suore vengono costretti a rimanere rigorosamente “single”, non mi aspetto che il segretario Cei diventi amico dell’associazione genitori separati, ma che quella posizione di arrogante staticità, assunta puntualmente da qualche rappresentante del potere clericale e che serve solo ad ampliare le distanze con la società reale, venga abbandonata. Società a cui non arrivano più i messaggi della Chiesa, che non sta dietro ai cambiamenti del mondo.
Quella società formata da famiglie diverse rispetto a prima.
Le famiglie di oggi, quelle di sposati (old style) che rendono ricca Real Time con infiniti programmi sui matrimoni; quelle di separati, molteplici dimostrazioni che per sempre è solo il nome o l’asma cronica; quelle di conviventi che non rendono felici nessuno e non sono calcolati nemmeno dai parenti; quelle di fidanzati adulti, ognuno a casa propria e che fanno commentare i benpensanti, portatori della giusta ricetta per crescere, che nemmeno la Plasmon conosce; quelle formate dai compagni dei rispettivi ex e dai nuovi figli generati dalle nuove unioni, che appassionano i fan delle varie Beautiful in giro per il mondo; quelle formate da due uomini o da due donne, che fanno dire a catechisti mancati e a catechisti veri dove andremo a finire; quelle formate da una sola persona con un cane o con un gatto, poichè li hanno preferiti ai figli (con dispiacere di papa Francesco).
Sarà qualche famiglia di fedeli a rappresentare ancora il legame del secolo scorso tra uomo e donna, uniti nel sacro vincolo del matrimonio, quello fatto in chiesa per mamma e papà (e non vorrei indagare sui fedeli infedeli, che dopo essersi presentati in due all’ altare diventano, fra i vari amanti, un consorzio). Insomma i tempi cambiano.
Ecco perchè la Chiesa, che vuole parlare di società universalmente, non può non considerare cristiane queste famiglie. Se non vuole definirle tali, deve accettare di parlare con un linguaggio meno universale e per quei pochi che ancora seguono ubbidienti la “dottrina”.
Leonardo Masucci