C’è stata la piazza dei dipendenti capitolini, che al salario accessorio proprio non ci vogliono rinunciare. Quel salario nato con la funzione di premiare i più produttivi della macchina pubblica e che alla fine ha visto tutti più produttivi. I dipendenti del Comune hanno gridato allo scandalo di fronte alla decisione della giunta romana (che ha eseguito quanto richiesto dal MEF e dalla corte dei conti e il problema riguarda molti altri comuni) di ridare il senso originario all’ accessorietà e cioè che tale salario vada a chi produce di più, a chi svolge una prestazione accessoria per l’appunto (non sia mai che qualcuno possa lavorare davvero di più e meglio!) o a chi accetti mansioni aggiuntive, richieste in origine dalla legge, per ottenere questa parte di salario. Inoltre l’entrata del nuovo regime, stavolta con parametro meritorio, sarebbe dopo il 31 luglio.
Malevolmente bisogna immaginare che le proteste dei dipendenti comunali accolgano qualcuno, che si è adagiato sulle centinaia di euro in più per la cortese presenza? Forse qualcuno non è sicuro di produrre tanto da meritare quella paga in più? E di chi il giorno dello sciopero ha pensato di prendersi delle ferie e casualmente in tal modo ha salvato la paga intera della giornata, cosa pensare? E del sindacato che ha avallato tutto questo, dalla distribuzione indistinta fino alla difesa dell’ormai privilegio, quale credibilità pensare? E degli anticasta protestanti che si incarnano in casta?
Poi c’è stata la piazza di chi non pretende che i diritti accessori restino ordinari e a pioggia, ma di chi li ha optional, di chi li ha accessori e non di serie, anzi non li ha proprio. La manifestazione del gay pride ha visto una folla di 200mila persone che chiedeva pari diritti, folla di persone che stanno insieme, ma non li si vuole vedere, di coppie che non hanno alcun modo a disposizione per formalizzare la loro unione ed avere benefici da tale ufficialità, la folla delle coppie di fatto per forza.
Infine c’è stato lo sciopero flop della Rai -che l’11 giugno pare evitare di scendere in piazza- che ha sentito di non poter protestare contro i tagli di sedi come quella di Genova, per cui è adibito un grattacielo di 12 piani, ma “genovesemente” ne usa solo tre; come le indispensabili due sedi in Sardegna, specialmente per le sette persone impiegate in quella di Sassari, che in 1100 metri quadrati godranno sicuramente di molti spazi di autonomia. E della sede Rai a Nairobi, si può riuscire a farne a meno? (tutto è dettagliatamente descritto da Matteo Pucciarelli su La Repubblica).
Intanto tagliare conviene per recuperare i 7milioni chiesti dall’arcidiocesi di Rio de Janeiro, per colpa della maglia numero 10 della nazionale fatta indossare al modello d’eccezione, il Cristo redentore, in uno spot giudicato troppo irrispettoso (del sacro o dei diritti di immagine?), anche se per ora la Rai ha tagliato solo i due gol dell’Italia contro il Fluminense per problemi tecnici, che ha visto lo sfogo tifoso, a suon di twitterate sotto #RaiDown.
Leonardo Masucci