L’Italia è finita se i giovani non hanno lavoro. Lo ha affermato Napolitano, in Friuli Venezia Giulia, dove festeggiava l’anniversario della Grande Guerra. Il Presidente perde di vista, però, l’Italia dei post giovani senza lavoro, forse troppo incastrato tra gli eventi del 1914, l’Austria-Ungheria e l’Impero ottomano. Dell’Italia già finita, dei giovani vecchi, trattati come dei dispersi, quelli dai 35 ai 40, sembra infatti non preoccuparsene molto nessuno, persino la ex festa dell’Unità è rimasta evocatrice solo di salsicce, le uniche a non avere il gusto di ex, di passato.
Dai 35 anni sembra scattare una magica ora x, in cui tutti i giovani, invitati al ballo delle riforme per l’inserimento nel mondo del lavoro, perdono le scarpette di cristallo, la carrozza si trasforma in una Graziella arrugginita e quel che è peggio, rimarranno a pedalare la tetanica Graziella a piedi nudi, in silenzio e lontano dagli occhi di chi non vuol vedere. I provvedimenti sul lavoro riguardano sempre i giovani fino ai 29 anni, poi spesso tra questi godrà dei benefici chi è genitore da almeno 30, di dieci figli, con i nomi che inizino per s, ma la s di sponsor, perchè già se è la s di senza lavoro, poco si può fare; e ancora tra loro troviamo i quasi trenta, che si godono il loro apprendistato, ma che alla scadenza, non avendo più l’età, con un colpo di bacchetta, sarà facile ritrovarli sulla Graziella dei giovani vecchi.
Le statistiche parlano di disoccupati fino ai 34 anni; dopo, tutti vengono inghiottiti da un buco nero, insieme al magma dei cinquantenni fuori dal mercato del lavoro e che non ci rientreranno nemmeno se accettassero un pagamento in lire e insieme agli esodati a cui ogni tanto viene dato un buffetto di incoraggiamento da parte delle istituzioni, che non capiscono che l’eliminazione del problema non si otterrà attraverso la loro trasformazione in esortati. Speriamo almeno che nel 2114 qualcuno ricorderà i dispersi della guerra del 2014.
Leonardo Masucci