C’ era una volta, nel 1948, a Corleone, un pastore di tredici anni, di nome Giuseppe Letizia. Il tredicenne, portando al pascolo le sue pecore, si trovò a passare proprio nel luogo dove il sindacalista Placido Rizzotto veniva ammazzato dal mafioso Luciano Liggio. Il giorno dopo, il giovane fu trovato dal padre in preda a deliri febbrili e portato all’ ospedale Dei Bianchi di Corleone, dove raccontò febbricitante dell’ omicidio a cui aveva assistito. L’ospedale era diretto da Michele Navarra, un capomafia di allora, nonchè mandante della fine di Placido Rizzotto. Giuseppe morì in ospedale, per un’ iniezione letale pochi giorni dopo. Il dott. Aira, responsabile delle cure del bambino, partì per l’ Australia, subito dopo la morte di Giuseppe, senza un apparente motivo.
C’è ora un signore dai capelli grigi (anch’ egli pare sentirsi un pastore di greggi), che sta sulle scene da sempre e che sembra confondersi spesso col vecchio che ritorna e avanza, raccontando la solita storia di un rinnovamento (quel nostro Godot, che non arriva mai). Anche lui fa di nome Giuseppe (nato proprio nel 1948) e ogni volta che decide di provocare, sembra quasi farlo con l’ intenzione di “regalare” qualche punto in meno ai suoi e qualcuno in più a chi sta seduto sulla rendita dell’ oltre 40%. Anche senza conoscere la storia corleonese, che la mafia non sia mai stata una onlus, è chiaro che lo intuisca persino Giuseppe Grillo. E’ invece poco chiara la storia genovese, che sembra innestarsi sempre più in quel magma caotico, ma segretamente ben indirizzato e che a noi non è dato sapere .
Leonardo Masucci