Nel 1899, Joseph Conrad pubblicava Heart of Darkness e parlava del destino dell’Occidente, del mondo, del nostro “cuore di tenebra” e di quello altrui. Una riflessione all’indomani degli attentati di Parigi.
di Adalgisa Marrocco
«Oriana Fallaci lo aveva previsto», è questo il leitmotiv che imperversa sul web dagli attentati di Parigi. Il tormentone è sulla bocca di molti, forse perfino su quella di chi non ha nemmeno sfogliato per sbaglio un libro della giornalista. Evitando di soffermarci troppo sul fenomeno #fallaci (che, come ogni moda targata opinionismo spicciolo, non avrà lunga vita), forse è stato un altro intellettuale a parlare per primo del destino dell’Occidente, del mondo, del nostro “cuore di tenebra” e di quello altrui.
Nel 1899 Joseph Conrad (1857-1924), scrittore polacco naturalizzato britannico, consegnò al mondo Heart of Darkness, indiscusso capolavoro che narra il viaggio in Africa affrontato dall’europeo Charles Marlow con l’intento di ritrovare, per conto di una compagnia coinvolta nel traffico di avorio, il misterioso Kurtz. Una spedizione che diventa discesa infernale nell’orrore del colonialismo e della ferocia umana.
Conrad mette in scena il dramma dell’Occidente che sottomette la parte del mondo ritenuta “non civilizzata” per tornaconto materiale; Conrad racconta la tragedia di Kurtz che, autoproclamandosi divinità, si trasforma in demone e viene inghiottito dalla smania di dominio.
«L’orrore ha un volto, e bisogna essere amici dell’orrore», dice Kurtz in Apocalypse Now, libero adattamento cinematografico di Heart of Darkness. Quell’orrore con cui abbiamo imparato a convivere, quell’orrore che abbiamo prodotto e che poi, per contrappasso, abbiamo subito. Perché l’abominio di Parigi somiglia fin troppo a quello che l’uomo occidentale ha perpetrato per secoli e che ancora oggi, con metodi più sottili e sofisticati, continua a perpetrare.
L’orrore insito nel fondamentalismo religioso ha lo stesso volto della smania colonizzatrice che ha sempre caratterizzato l’Occidente. Nel 1899, lo stesso anno in cui Conrad dava alla luce Heart of Darkness, lo scrittore inglese Rudyard Kipling (1865-1936) dedicava una poesia celebrativa (The white man’s burden, ossia Il fardello dell’uomo bianco) alla “missione civilizzatrice” dell’uomo bianco, a quel fardello in base al quale una parte del mondo proclama ancora oggi assoluta autonomia di azione e di crimine. Ed è in base a qualche altro “fardello” che il fondamentalismo semina terrore e morte.
Come se potesse esistere una guerra legittimata. Come se Conrad non fosse nel giusto quando, attraverso Kurtz, provvedeva a rammentarci che il fine non giustifica mai i mezzi, perché è il fine stesso a non esistere, se non sotto forma di delitto. Se è vero che la virtù sta nel mezzo, anche la colpa non è da ricercare in uno solo dei due estremi. A tale proposito, il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Zizek ha sottolineato che nel rapporto tra Occidente e terroristi il problema non è costituito «dalla differenza culturale, ma, al contrario, dal fatto che i fondamentalisti sono già come noi, che, segretamente, hanno già interiorizzato i nostri valori, e giudicano se stessi a partire da questi stessi valori».
Così l’orrore che vediamo e viviamo è prodotto dal “cuore di tenebra” dell’uomo in quanto tale, senza distinzione di razza e religione. È un orrore che non ha epoca, perché si ripete sempre uguale a sé stesso, cambiando solo aspetto esteriore e ambasciatori. E tutto questo oggi è amplificato dal sensazionalismo mediatico che è, al contempo, specchio e funesta espressione dell’abominio.
Sono nostri gli occhi di Kurtz, è nostro quello «sguardo vasto e smisurato che abbracciava, condannava, odiava l’universo intero», è nostra la voce che grida «l’orrore, l’orrore!» mentre è più forte il battito del “cuore di tenebra” del mondo.