di Marco Bombagi
Le diverse e casuali vicissitudini della vita contribuiscono, talvolta, ad abbattere il muro d’ipocrisia che costruiamo attorno a noi per filtrare il nostro pensiero, in maniera che questo sia commestibile per gli altri e presentabile in società. Quando ciò accade emerge la nostra vera natura, senza infingimenti.
E allora può succedere che una persona non dica gay ma più tradizionalmente frocio riferendosi a un ragazzo omosessuale. Oppure che gli scappi un negro al posto del più convenzionale nero o extracomunitario, o che gli ebrei diventino persone che “ogni tanto, diciamocelo, se la cercano”. E se una “collaboratrice domestica” ostenta un po’ di coscienza sociale viene prontamente messa al proprio posto al grido di battaglia di zitta serva!
Grand Guignol all’italiana, spettacolo in scena al teatro Eliseo dal 17 al 29 novembre con la regia di Alessandro D’Alatri e una bravissima Lunetta Savino come protagonista, descrive in maniera ironica e leggera con quale facilità può crollare il fragile castello perbenista, eretto con le convenzioni sociali al posto dei mattoni, alla prima pressione della vita.
Così un’innocente colf, o serva, depressa a causa di un’intera vita di mediocrità e sentimenti calpestati, decide di dar sfogo alla propria sete di giustizia, distorta e amplificata dalla rabbia del momento e da un costume ridicolo, abbattendosi senza pietà su un salumiere energico, una guida turistica ignorante e sdentata e sulla moglie fedifraga e isterica di quest’ultimo.
Non si salva dalla furia dell’improvvisato supereroe neppure l’amore infranto rappresentato da un postino gay, o frocio che dir si voglia, precedentemente pestato dall’energumeno forgiato a insaccati che aspirava alla mano della serva per farne una cassiera. C’è anche un cane che abbaia spesso, purtroppo per lui.