di Marco Bombagi
Un rinnovato sguardo sull’arte russa del novecento attraverso le pennellate forti degli autori figli della Rivoluzione d’Ottobre.
Camminare nelle sale silenziose del Palazzo delle Esposizioni di Roma, per godere delle opere protagoniste della mostra Russia on the road (1920-1990), fa immaginare al visitatore quale potessero essere le emozioni provate da chi dipinse quei quadri, simbolo di un’epoca: l’euforia creativa, le speranze romantiche e la fede in un futuro in cui gli ideali avrebbero portato senza dubbio il meglio, il bene.
Circa sessanta i dipinti, provenienti dall’Istituto dell’Arte Realista Russa di Mosca e dai principali musei del Paese come la Galleria Tret’jakov o il Museo di Stato russo, che rimarranno esposti fino al 15 dicembre presso il sito di via Nazionale.
Un percorso culturale che in pochi passi fa esplorare con la mente decenni di vita di un’intera nazione: dalla conquista dell’immenso territorio grazie allo spirito prima ancora che alle macchine, che pur vengono celebrate, allo slancio ideologico che emana dai profili delle opere stesse, dai sorrisi e dagli sguardi dei soggetti ritratti. Fino a dipinti più initimistici e poetici, lontani da obblighi propagandistici come nella sezione chiamata “Russia selvaggia”, prodotti durante gli anni del cosiddetto disgelo staliniano.
Da Aleksandr Deineka a Yuri Pimenov e Georgy Nissky, le cui opere sono state concepite nel periodo più noto della storia artistica sovietica, dagli anni Venti agli anni Cinquanta, ai dipinti del meno noto periodo che va dagli anni sessanta ai novanta, in cui entrano in gioco corrispondenze con le contemporanee correnti culturali europee, dal Neorealismo italiano alla Nouvelle vague francese.
Rimasta a lungo nascosta dietro la “cortina di ferro”, questa pittura rappresenta al meglio la visione del domani di un Paese che è stato, e probabilmente è tornato ad essere, una delle potenze, anche culturali, del mondo.