CHIEDIAMO SCUSA ABBIAMO SBAGLIATO CON LA NOSTRA LETTERA AL PRESIDENTE

(4.1.09) A fine dicembre avevamo indirizzato, da umili cittadini, una lettera aperta al nostro Presidente della Repubblica illudendoci che potesse reagire – già nel suo messaggio di fine anno – ai ripetuti attacchi vaticani alla nostra sovranità riaffermando, sia pure di passaggio,  i corretti rapporti tra i due Stati sanciti dall'art. 7 della Costituzione. Non solo così non è stato ma il giorno dopo, da Napoli, il Presidente ha avuto modo di esprimere il suo compiacimento per il fatto che lui e il Pontefice parlino “da tribune diverse ma con un linguaggio necessariamente affine”. Certo, si trattava di due discorsi riguardanti il modo di uscire dalla crisi – con soluzioni più egualitarie, capaci di tutelare maggiormente i più deboli – ma forse il Presidente avrebbe potuto evitare quel “necessariamente”. E forse avrebbe potuto  aggiungere qualcosa tipo “anche se su talune materie possiamo poi pensarla in modo diverso”. Tanto da dare almeno l'idea di un minimo di eventuale, ipotetica, marginale, timida, eccezionale, temporanea diversità di giudizio di fronte a temi come quelli bioetici e alle continue invasioni di campo del Vaticano. Non sarebbe stata certo una mancanza di riguardo ma la giusta riaffermazione della necessaria, questa sì, distinzione tra ambito laico e ambito religioso della politica. Cosa del tutto ovvia, peraltro, in qualunque Stato non sottomesso alla Sharia. Non lo ha fatto, e allora ci sono venute in mente le parole dell'antico capo del comunismo italiano, Palmiro Togliatti, al momento di votare le norme della Costituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa.
di Giancarlo Fornari

 
Davanti all'opposizione di molti socialisti e liberal azionisti nei confronti del secondo comma dell'art. 7, quello che su pressione dei democristiani inseriva nella Costituzione repubblicana i patti lateranensi firmati da Mussolini, Togliatti si mise dalla parte dei secondi. “La più piccola delle riforme agrarie c'interessa, disse testualmente, più dell'art. 7 della Costituzione”. Pensava, così facendo, che la Chiesa gliene sarebbe stata grata conservando un minimo di neutralità nello scontro politico, che si preannunciava sempre più violento, tra Pci e Democrazia cristiana. Povero illuso. I comunisti non furono certo all'avanguardia neanche quando, molti anni dopo, il nostro Paese riuscì, superando la furibonda opposizione della Chiesa, a dotarsi miracolosamente di leggi “civilizzatrici” sul divorzio e sull'aborto. Viene da domandarsi cosa sarebbe accaduto se al Quirinale avessimo avuto a quei tempi un Presidente compiaciuto di essere “necessariamente” in sintonia con il Pontefice di Santa Romana Chiesa: si sarebbe rifiutato di promulgarle? Saremmo ancora al divorzio all'italiana e all'aborto dalle mammane? Probabilmente no. Ma allora perché insistere così tanto su una sintonia che – nell'ovvia distinzione di ruoli – non può – non deve – essere “necessaria” e “totale”?

Un segnale sin troppo chiaro
Ma per tornare all'oggi. Bisognerebbe essere proprio dei deprivati mentali per non capire il segnale. Perfino noi abbiamo ormai capito che è del tutto normale che le autorità vaticane invitino i farmacisti italiani all'obiezione di coscienza nei confronti di farmaci regolarmente approvati dalla legislazione europea e da quella italiana, che chiamino assassini i nostri magistrati per ricattarli moralmente e dissuaderli dall'emettere sentenze a loro sgradite, che minaccino marce su Roma – loro che con vari pretesti ricevono ogni anno 5 miliardi dallo Stato italiano – se il governo non si rimangia la decisione di operare un modesto taglio dei finanziamenti alla scuola privata. Finanziamenti del tutto incostituzionali, e che proprio un ministro comunista, guarda caso, aveva per la prima volta stanziati.
Tutto ciò è evidentemente del tutto normale. Il nostro errore – lo abbiamo capito un po' tardi – deriva dal fatto che ci eravamo fatti paladini della vecchia Costituzione formale senza tener conto che nei rapporti tra Stato e Chiesa, oltre che in diverse altre materie, questa  è stata ormai sostituita da una nuova Costituzione materiale, che presto, insieme alla riforma federalista e presidenzialista, sarà formalizzata dalla quasi unanimità del Parlamento italiano. 
Una delle modifiche più significative riguarda il vecchio articolo 7, che un nostro amico in contatto con le alte sfere ci ha fatto pervenire nella formulazione ora in vigore:
 
Articolo 7
1. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
2. I valori non negoziabili dell'etica cattolica, definiti e aggiornati dalle autorità vaticane, sono principi fondamentali della Costituzione.

3. L'indipendenza e la sovranità dello Stato italiano possono essere legittimamente violati dalla Chiesa, a giudizio insindacabile di quest'ultima, quando lo Stato ha adottato o fosse in procinto di adottare  provvedimenti non conformi ai  valori di cui  al comma 2. In tal caso le autorità dello Stato sono tenute ad applicare la regola di Luca 6, 27-38: a chi ti percuote sulla guancia porgi anche l’altra, a chi ti leva il mantello non rifiutare la tunica.  
4. L'articolo 33, terzo comma, in base al quale enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione “senza oneri per lo Stato”, è così sostituito:
“Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione. Lo Stato è tenuto a contribuire al finanziamento degli istituti di istruzione di proprietà della Chiesa cattolica, nell'ammontare e con le modalità stabilite annualmente dalla Conferenza episcopale italiana”.

Una volta tenuto conto di queste modifiche costituzionali, che finora ci erano colpevolmente sfuggite, tutto è più chiaro. Ci scusiamo quindi di esserci permessi, irrispettosamente, di tirare per la giacca, come si suol dire,  il nostro Presidente. Che ci eravamo illusi potesse anche dire, nel suo messaggio di fine anno, qualcosa di più incisivo sulla questione morale o sulla riforma della politica, magari ricordando che tra le riforme da fare non c'è solo quella della giustizia ma ci sarebbe magari anche quella del Senato: perfetto duplicato della Camera, dannoso fattore di sperpero di risorse e di rallentamento del processo legislativo. Ma  evidentemente non era quella l'occasione. Ce ne saranno forse altre nel futuro, chissà.
Intanto ritiriamo la lettera aperta del 28 dicembre. Ci scusiamo umilmente, non lo faremo più. Abbiamo sbagliato tutto, forse abbiamo anche sbagliato persona. Ormai, si è capito, nel nostro paese esiste a tutti i livelli una diarchia: con due autorità, quella civile e quella religiosa, che devono camminare insieme, la prima dieci passi dietro la seconda, come il sindaco con la fascia tricolore cammina compunto dietro il  sacerdote nelle processioni. Ci rimane solo un dubbio: se le due massime autorità sono necessariamente in sintonia su tutto, forse una di loro è inutile. Chissà quale.

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