Un segnale sin troppo chiaro
Ma per tornare all'oggi. Bisognerebbe essere proprio dei deprivati mentali per non capire il segnale. Perfino noi abbiamo ormai capito che è del tutto normale che le autorità vaticane invitino i farmacisti italiani all'obiezione di coscienza nei confronti di farmaci regolarmente approvati dalla legislazione europea e da quella italiana, che chiamino assassini i nostri magistrati per ricattarli moralmente e dissuaderli dall'emettere sentenze a loro sgradite, che minaccino marce su Roma – loro che con vari pretesti ricevono ogni anno 5 miliardi dallo Stato italiano – se il governo non si rimangia la decisione di operare un modesto taglio dei finanziamenti alla scuola privata. Finanziamenti del tutto incostituzionali, e che proprio un ministro comunista, guarda caso, aveva per la prima volta stanziati.
Tutto ciò è evidentemente del tutto normale. Il nostro errore – lo abbiamo capito un po' tardi – deriva dal fatto che ci eravamo fatti paladini della vecchia Costituzione formale senza tener conto che nei rapporti tra Stato e Chiesa, oltre che in diverse altre materie, questa è stata ormai sostituita da una nuova Costituzione materiale, che presto, insieme alla riforma federalista e presidenzialista, sarà formalizzata dalla quasi unanimità del Parlamento italiano.
Una delle modifiche più significative riguarda il vecchio articolo 7, che un nostro amico in contatto con le alte sfere ci ha fatto pervenire nella formulazione ora in vigore:
Articolo 7
1. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
2. I valori non negoziabili dell'etica cattolica, definiti e aggiornati dalle autorità vaticane, sono principi fondamentali della Costituzione.
4. L'articolo 33, terzo comma, in base al quale enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione “senza oneri per lo Stato”, è così sostituito: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione. Lo Stato è tenuto a contribuire al finanziamento degli istituti di istruzione di proprietà della Chiesa cattolica, nell'ammontare e con le modalità stabilite annualmente dalla Conferenza episcopale italiana”.
Una volta tenuto conto di queste modifiche costituzionali, che finora ci erano colpevolmente sfuggite, tutto è più chiaro. Ci scusiamo quindi di esserci permessi, irrispettosamente, di tirare per la giacca, come si suol dire, il nostro Presidente. Che ci eravamo illusi potesse anche dire, nel suo messaggio di fine anno, qualcosa di più incisivo sulla questione morale o sulla riforma della politica, magari ricordando che tra le riforme da fare non c'è solo quella della giustizia ma ci sarebbe magari anche quella del Senato: perfetto duplicato della Camera, dannoso fattore di sperpero di risorse e di rallentamento del processo legislativo. Ma evidentemente non era quella l'occasione. Ce ne saranno forse altre nel futuro, chissà.
Intanto ritiriamo la lettera aperta del 28 dicembre. Ci scusiamo umilmente, non lo faremo più. Abbiamo sbagliato tutto, forse abbiamo anche sbagliato persona. Ormai, si è capito, nel nostro paese esiste a tutti i livelli una diarchia: con due autorità, quella civile e quella religiosa, che devono camminare insieme, la prima dieci passi dietro la seconda, come il sindaco con la fascia tricolore cammina compunto dietro il sacerdote nelle processioni. Ci rimane solo un dubbio: se le due massime autorità sono necessariamente in sintonia su tutto, forse una di loro è inutile. Chissà quale.