Abbiamo una nuova proposta sugli eurobond elaborata da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio. L’hanno definita come proposta degli eurounionbond facendo una sorta di sintesi tra l’originaria proposta di Jacques Delors 1993, mirata a sostenere la competitività e la crescita dell’economia europea, e le più recenti proposte mirate soprattutto ad assicurare assistenza finanziaria ai paesi con debito pubblico a rischio insolvenza.
Sul Sole 24 Ore del 23 agosto, Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, dopo aver fatto una breve rassegna delle precedenti proposte, lanciano la creazione di un Fondo Finanziario Europeo che emetterebbe eurounionbond per tremila miliardi di euro di cui 2.300 destinati alla rilevazione del debito pubblico nella direzione della sua riduzione al 60% e i rimanenti 700 miliardi da destinare al finanziamento di grandi investimenti europei anche per unificare e far crescere grandi imprese europee. Il FFE avrebbe un capitale conferito dai paesi membri dell’eurozona in proporzione alle quote di riserve auree del Sistema europeo delle banche centrali e della BCE. Presuppone la modifica degli statuti del SEBC e della BCE. L’oro delle riserve, in pratica, costituirebbe garanzia reale a fronte dell’emissione di eurounionbond. Anche la proposta Prodi-AQC, a mio giudizio, sembra incentrata sul problema della stabilizzazione e/o ristrutturazione del debito pubblico – senza porsi nessun quesito sulla bontà dell’obiettivo del 60%. La proposta prevede solo per il 23,33% un sostegno alla crescita e allo sviluppo riprendendo l’idea cara a Barroso dei project bond destinati al finanziamento di investimenti basati sulla partnership privato-pubblico. Il FFE non sarebbe un fondo strutturale di sostegno alla crescita né di garanzia di ultima istanza del debito pubblico europeo.
Su questo punto, semplificando, le alternative sono due: o si continua sulla vecchia linea graduale e parziale della costruzione di agenzie ad hoc monofunzionali o ci si avvia sulla strada della costruzione di un vero e proprio ministero dell’economia e delle finanze intestatario diretto – anche se non esclusivo – della funzione di coordinamento delle politiche economiche dei paesi membri. In altre parole, c’è un’analogia tra la costruzione di un’agenzia per il debito pubblico europeo come prevista della proposta Juncker-Tremonti del dicembre 2010 e il FFE di Prodi-Quadrio Curzio anche se quest’ultima sembra affrontare anche in maniera pratica e più precisa sia il problema delle garanzie sia quello della crescita – quanto meno parzialmente. Tuttavia ritengo che anche questa proposta ha dei limiti strutturali in quanto intanto comporterebbe la riduzione dell’oro in mano al SEBC e della BCE ed, in secondo luogo, sappiamo che, dopo il crollo del sistema di Bretton Woods dell’agosto 1971, si possono nutrire seri dubbi sulla idoneità di legare una garanzia per titoli a lungo termine a un bene reale sottoposto a forti oscillazioni speculative che possono andare in tutte le direzioni – al di là e a prescindere dai rimedi approntati per risolvere i problemi di sostenibilità del debito pubblico europeo. E sappiamo che la sostenibilità del debito pubblico è garantita da un suo impiego a sostegno della crescita e dello sviluppo.
Per questi motivi, a mio giudizio, le proposte di fondi di stabilizzazione sono inadeguate e restano tali se non si prevede anche una profonda riforma del bilancio europeo – fin qui costruito con il metodo dei saldi netti che evidenzia una meschina contabilità del dare e dell’avere tra i paesi membri ed impedisce che di esso si abbia una gestione unitaria rapportata all’esigenze dell’economia europea nel suo insieme. Come hanno proposto altri economisti, detta riforma dovrebbe mirare intanto a renderlo congruo ed efficace non solo come strumento di politica anticongiunturale (ossia, di stabilizzazione – cosa che ancora non fa neanche minimamente) ma anche come strumento di sostegno della crescita e dell’occupazione nelle aree periferiche arretrate o in stagnazione.
Una considerazione sulle garanzie da attaccare alle emissioni dei vari tipi di eurobond di cui si discute a livello europeo. Chi garantisce chi e che cosa? Chi è il vero garante di ultima istanza? Leggo proposte di vario genere ma, alla fine, si arriva sempre al garante o ai garanti di ultima istanza : la Francia o la Germania. Sappiamo che la Merkel, in calo di consensi, è molto sensibile agli umori dei contribuenti tedeschi. La proposta Prodi-Quadrio Curzio metterebbe le ingenti riserve auree a garanzia delle emissioni ma per quanto consistenti esse siano e pur considerando il meccanismo della leva esse potrebbero rivelarsi insufficienti per l’eurozona e, in prospettiva, per tutti gli altri paesi dell’Unione – problema che prima o poi si porrà. La proposta Prodi-Quadrio Curzio è molto interessante ma, a parte il complesso procedimento di riforma degli Stati del SEBC e della BCE ammesso e non concesso che ci sia il consenso, alla fine prevede che i veri garanti siano i singoli paesi membri. Anche questo meccanismo resta connaturale alla logica intergovernativa se, alla fine, sono sempre i governi che conferiscono l’oro delle loro banche centrali. Io ritengo invece che la vera garanzia per tutti i tipi di eurobond sta nella riforma del bilancio europeo e nella capacità del governo e del parlamento europeo di assicurare l’ordinario servizio del debito pubblico e dall’altro la sua sostenibilità nel tempo. Le varie proposte tranne alcune (Amato-Verhostadt, ecc.) alla fin fine non trattano la questione della sostenibilità del debito pubblico europeo qualunque essa sia la dimensione dello stesso. Prevedono migliori strumenti di assistenza e introducono qualche strumento di ristrutturazione. Solo poche (e tra queste quella di Prodi-Quadrio Curzio) quelle che introducono qualche strumento a sostegno della crescita. Ma parliamoci chiaro, anche un vero e proprio meccanismo di ristrutturazione può rimediare in via straordinaria a situazioni di insostenibilità che prima o poi sfocia nell’ insolvenza o default, se non si ottimizza il tasso di crescita.
Per questi motivi, a mio giudizio, il problema della crisi dei debiti pubblici dei paesi membri dell’eurozona va affrontato in termini tax design o modello istituzionale ottimale. Il problema è quello di costruire un bilancio europeo che sia in grado di svolgere, in via sussidiaria, le 3-4 funzioni classiche del bilancio di uno stato federale o centralizzato che sia: la stabilizzazione, la ridistribuzione, la funzione allocativa, la crescita e/o lo sviluppo. Un bilancio europeo che sia in grado di emettere debito pubblico europeo e di garantirne la sostenibilità nel lungo periodo. Non è questione di nuova ingegneria finanziaria e tanto meno di finanza creativa – che tanti danni ha creato negli ultimi decenni. Si tratta di costruire un sistema di finanza pubblica ordinaria in grado di finanziare in via ordinaria le attività di un governo federale per quanto piccolo esso si possa immaginare. Tenendo presente che, anche a questo livello, secondo la teoria economica del governo suddiviso, si pone ineluttabilmente un problema di ottima dimensione della giurisdizione. Gli eurobond devono : a) finanziare i beni pubblici europei; b) servire a ristrutturare il DP dei paesi in difficoltà; c) devono sostenere gli investimenti pubblici e privati, innanzitutto, negli stessi paesi in difficoltà. Nell’insieme: 1) devono aprire la strada ad una politica fiscale comune e, quindi, centralizzata; 2) devono consentire la manovrabilità del bilancio europeo a fini anticongiunturali. Quindi si deve quadruplicare o quintuplicare detto bilancio, superare la rigidità delle c.d. prospettive finanziarie settennali e arrivare ad una legge finanziaria a livello europeo (vedi al riguardo proposta Amato).
I federalisti americani erano quasi tutti contro il governo grosso ma, gradualmente, nel tempo, hanno dovuto ampliare le funzioni del governo centrale. Stiamo fronteggiando gli effetti di una crisi mondiale iniziata nel 2008-09. Abbiano letto decine di confronti di questa crisi con quella del 1929. Solo pochi ricordano la fase di centralizzazione cui sono andati incontro gli USA – fase che è durata dal 1932 al 1975. Il design delle attuali istituzioni europee è fortemente influenzato dall’ideologia neo-liberista ( mercatista) che si è affermata nel mondo e in Europa tra il 1975 e il 2005: vedi l’Atto Unico del 1986 e il Trattato di Maastricht del 1991. Quel disegno istituzionale non è più all’altezza del compito – semmai lo è stato. O si riforma o soccomberà sotto gli attacchi virulenti della speculazione internazionale. Anche una proposta molto articolata come quella di Prodi-Quadrio Curzio non prevede un governo europeo. Condannerebbe il parlamento, la commissione e il composito governo economico europeo all’irrilevanza.