Abbiamo intervistato il Maestro Germano Mazzocchetti, musicista e compositore di numerose musiche per teatro e cinema. Presto, al Teatro Eliseo, con la commedia musicale Il grande dittatore, di cui ci dà un assaggio.
Lei è uno dei più attivi e apprezzati compositori di musiche di scena, pluripremiato e con collaborazioni che vanno da Vittorio Gassman a Luca Zingaretti o ancora Dino Verde e Gino Landi. Considerando che tutto questo vuol dire creare arte e a grandi livelli, facciamo finta di essere ad una mostra: ci fa fare un percorso panoramico, attraverso i nomi con cui ha collaborato, per i sentieri della sua produzione?
Ho cominciato nel 1978 a comporre musiche per il teatro, che era la mia aspirazione da diversi anni. Per me, appena laureato al Dams, rappresentava un modo di coniugare le mie due principali passioni, la musica e il teatro, appunto. Avevo sempre pensato di volerlo fare, ma poi, come spesso capita in questo mestiere, se nessuno ti dà la possibilità di cominciare, le aspirazioni rimangono solo tali. E si ripiega a fare altri lavori, magari simili, ma non quel lavoro. Io ebbi la fortunata coincidenza di conoscere Antonio Calenda, all’epoca al Teatro Stabile dell’Aquila. Credette in me, venticinquenne senza esperienze se non nel teatro amatoriale, e mi commissionò le musiche di una “Rappresentazione della Passione” con Elsa Merlini. A lui quindi devo il mestiere che faccio. E lo ringrazierò sempre. Da quel momento ho avuto occasione di musicare testi delle più diverse epoche e dei più diversi generi, andando da Eschilo a Pinter, da Goldoni a Beckett, da Shakespeare a Petrolini. Fare un percorso panoramico è quasi impossibile, dal momento che ho musicato più di duecento spettacoli. Quello che posso dire è che per fare questo mestiere serve soprattutto aver ascoltato tanta musica (Bernstein diceva all’incirca che non si può scrivere quello che non si è ascoltato) ed essere stato molto a teatro. Non si può pensare di scrivere musica di scena prescindendo dalla conoscenza dei tempi teatrali e da tutto ciò che è connesso con una visione d’insieme della messa in scena in tutte le sue componenti. A questo va aggiunta, nel momento della verifica delle musiche, la disponibilità a mettere in discussione il proprio lavoro, perché non bisogna mai dimenticare che scrivere musiche di scena vuol dire porsi al servizio di un disegno più generale che è la regia dello spettacolo, di cui le musiche sono solo uno degli elementi.
Qualche parola per farci conoscere il mercato delle musiche di scena, in particolar modo quello della commedia musicale. Quali riscontri ci sono nella distribuzione dei dischi?
Le musiche di scena non hanno mercato, se per musiche di scena intendiamo quelle per il teatro di prosa. Il teatro, per quanto io ne sappia, non ha, come il cinema, cultori delle colonne sonore. Quindi i dischi di musiche per teatro non esistono, tranne qualche sporadico caso, che rappresenta l’eccezione. E che quindi, come tale, non fa né mercato né statistica. Diverso è il discorso per le commedie musicali, che da sempre hanno avuto una discreta distribuzione. Penso agli spettacoli di Garinei e Giovannini, per esempio, che in passato ebbero un buon mercato. Magari “di nicchia”, ma c’era. Oggi invece, con il collasso della discografia e con tanti negozi che sono costretti a chiudere, la vendita del cd rimane confinata al teatro in cui viene rappresentata l’opera. E’ un mercato “diretto”, senza mediazioni, destinato al pubblico che, all’uscita, porta con sé la testimonianza di uno spettacolo che ha (presumibilmente) gradito.
Cosa pensa della situazione della musica per il teatro in questo periodo storico e ci sono giovani emergenti che potrebbero diventare altri Germano Mazzocchetti?
Più che parlare della situazione della musica per teatro oggi, bisognerebbe focalizzarsi su quella del teatro tout court. Che non è florida, per nulla. Rintracciarne le cause sarebbe troppo lungo e non è questa la sede. In generale, oggi si producono molti spettacoli in meno rispetto a qualche anno fa, parecchie città non hanno più risorse sufficienti per allestire una stagione teatrale, le repliche di uno spettacolo ormai sono sempre meno che in passato. In questo contesto è difficilissimo per un giovane riuscire ad affermarsi nel campo delle musiche di scena, perché il lavoro purtroppo è sempre meno e la possibilità di inserirsi molto bassa. Per questo posso dire che non conosco giovani che abitualmente scrivano musiche per teatro. Un musicista che stimo molto, della generazione successiva alla mia, è Giordano Corapi, che collabora con Gabriele Lavia.
Dal 16 febbraio al Teatro Eliseo avremo modo di ascoltare la sua opera nella commedia musicale IL GRANDE DITTATORE con Massimo Venturiello e Tosca. Quale tipo di lavoro serve per scrivere una commedia musicale rispetto ad altro genere di spettacoli, dove il testo musicale non diventa così protagonista?
La commedia musicale è frutto di una collaborazione che per forza di cose dev’essere molto solida tra l’autore del testo e il musicista. E’ un continuo mutuo soccorso. In genere si parte da un testo già abbozzato e su quello si costruisce un’idea musicale. Poi subentra il lavoro di tavolino. Si taglia una frase del testo, se ne modifica una musicale, si aggiungono o tolgono sillabe ai versi, si discute sulla struttura del brano. Insomma, un lavoro di artigianato. Che al termine di tutto questo taglia-‐ e-‐cuci approda alla forma definitiva. Direi perciò che nella commedia musicale, più ancora che in altri generi teatrali, il legame con l’autore è finanche più profondo. La musica di scena per uno spettacolo di prosa, invece, si scrive seguendo le indicazioni registiche e attenendosi alla sua impostazione generale. Il risultato ottimale sarà, in questo caso, quando il musicista, pur muovendosi dentro l’idea della messa in scena, riesce a individuare uno stile proprio, che sia riconoscibile anche all’interno della “funzionalità” di cui la musica di scena deve indubbiamente essere fornita.
Venturiello e Tosca sono suoi compagni di lavoro da tempo. Ci racconta un dietro le quinte di questo spettacolo e del vostro sodalizio umano?
Quando scrivo un pezzo per Tosca ne aspetto sempre il giudizio con un certo timore. E’ una grande cantante, tra le migliori d’Italia, e non lo scopro certo io. Il momento in cui, provando una traccia musicale magari non ancora completamente compiuta, sento come lei la accenna, dal suo modo di fraseggiare capisco se il pezzo funziona o no. E se funziona, l’emozione che mi provoca è immediata. Bastano poche note. Ormai siamo al quarto spettacolo con la coppia Venturiello‐Tosca e si può cominciare a parlare proprio di “sodalizio”. Il rapporto con Massimo ha una valenza triplice. Perché lui è autore (o elaboratore del testo) e poi regista e attore. Ci vediamo sempre nel mio studio, dopo aver avuto incontri informali su come procedere col lavoro. E da lì partiamo, provando e riprovando, limando, aggiungendo. Ormai posso dire che ognuno di noi due sa cosa chiedere e cosa aspettarsi dall’altro, i quattro spettacoli fatti insieme ci hanno portato ad avere un’ottima intesa. Venturiello ha una grande musicalità (tra gli attori italiani è uno di quelli che cantano meglio), e a questa unisce un’indubbia esperienza teatrale e conoscenza del palcoscenico. Che lui vive sera per sera da attore. Quindi riesce a coniugare bene i due ruoli, quello dell’ideatore e quello dell’interprete. Credo che aver formato un sodalizio artistico con loro sia molto importante per un compositore che guarda al teatro musicale come alla principale risorsa del suo mestiere.