L’intellettuale che scrisse dell’importanza della TV quindici anni prima di Berlusconi
di Adalgisa Marrocco
Se n’è andato, lasciandoci la sensazione – come accade per ogni grande che scompare, in questo triste momento di basso impero – di non essere pronti a rimpiazzarlo. Se n’è andato uno dei maggiori intellettuali italiani del dopoguerra, conosciuto al grande pubblico grazie ai suoi romanzi, ma addirittura profetico nel comprendere, primo in Italia e fra non molti al mondo, l’importanza di uno studio organico delle comunicazioni di massa. Tanto da riuscire, in un contesto intellettuale e culturale tutt’altro che fertile, a scardinare aridi stereotipi e a farne oggetto di analisi di capitale importanza.
DA MIKE BONGIORNO AGLI APOCALITTICI E GLI INTEGRATI – E’ negli anni ’60, da poco conclusa la carriera lavorativa in RAI e iniziata quella accademica, che Eco pubblica i primi studi su materie che in Italia paiono tutt’altro che degne d’attenzione. E’ trascorsa una quindicina d’anni, da quando sull’industria culturale si sono abbattuti gli anatemi di Theodor Adorno e Max Horkheimer, pure utili a concepire la cultura di massa come “sistema”, nella Dialettica dell’illuminismo (1947). Oltreoceano vedono la luce i rivoluzionari studi di Marshall McLuhan sui mass media, mentre in Francia nel 1962 esce Lo spirito del tempo del sociologo Edgar Morin, studio profondo e insieme dichiarazione d’amore alla cultura di massa. In Italia, i precedenti sono racchiusi in poche, dimenticate parole di Antonio Gramsci sulla letteratura popolare. Eco raccoglie le sue iniziali riflessioni in due volumi: Diario minimo (1963) e Apocalittici e integrati (1964). Nel primo, è celebre la Fenomenologia di Mike Bongiorno, nella quale viene indicato nella mediocrità del presentatore TV, simile al suo pubblico, il segreto del suo successo, lanciando quindi un allarme sull’appiattimento che la televisione rischia di produrre. Assai più sistematica e articolata, invece, la seconda raccolta di saggi, che analizza il fenomeno dell’industria culturale non solo nei suoi aspetti deteriori ma anche in quelli positivi, prima fra tutti la democratizzazione dell’informazione, dell’intrattenimento e della cultura. Soprattutto, lancia in Apocalittici e integrati l’inascoltato invito a confrontarsi senza pregiudizi e con attenzione con i mass media, nel paese in cui trent’anni più tardi un magnate televisivo diverrà, discutibile quanto si voglia ma decisamente più rapido di altri a comprendere quanto l’uomo “medio” sia una figura appetibile, prima come spettatore e poi come elettore, presidente del Consiglio.
DALLA SEMIOTICA AL SUPERUOMO DI MASSA – L’attenzione alla comunicazione, negli scritti di Eco, si trasforma da dichiarazione d’intenti “pionieristica” a oggetto d’esame approfondito con l’avvio degli studi di semiotica (una delle discipline fondanti delle scienze della comunicazione), teorici e applicati senza spocchia a campi ignorati dalla cultura “alta”. Fra tutti, vale la pena citare a titolo di esempio Il superuomo di massa (1976) e Il segno dei tre (1983). Nel primo, oggetto di analisi è soprattutto l’eroe del romanzo popolare, mentre nel secondo vengono studiati tre celebri detective e le loro tecniche d’indagine. E’ insita, d’altronde, nell’approccio semiotico di Eco, che rivaluta il ruolo di lettore come interprete e “co-autore” di un testo, l’attenzione al pubblico.
ROMANZI E FUMETTI – La carriera letteraria di Umberto Eco, che non ripercorreremo qui, è testimonianza altrettanto viva della passione per l’argomento dei suoi studi. Quanti elementi di mistero, di indagine, di suspense, di atmosfere cupe si trovano ne Il nome della rosa, o ne Il cimitero di Praga, fino ad arrivare all’ultimo lavoro letterario Numero zero? Sono il frutto voluto di un intelletto che ha combinato, matrimonio rarissimo, una cultura enciclopedica con l’apertura alle pieghe più “popolari” e “popolane” del mondo. Di personaggi celebri omaggiati nei fumetti, d’altronde, i comics sono pieni. Il numero diminuisce se restringiamo il campo ai filosofi, ma di semiologo non ce n’è più d’uno (ovvero, Humbert Coe in Lassù qualcuno ci chiama, Dylan Dog n. 136).