Porte che si aprono e si chiudono, oggetti dimenticati in scena, battute scambiate, entrate sbagliate, ritmo serrato e crescente, con il fuoco davanti e dietro le quinte per raccontare il teatro facendo teatro.
E’ con queste premesse che torna sul palco, al Teatro Sette di Roma “Rumori fuori scena” di Michael Frayan, un cult del teatro dall’umorismo inglese, che vedrà il regista Marco Zadra cimentarsi sul palco dal 12 aprile all’1 maggio, insieme a Francesca Baragli, Francesca Bellucci, Alessandra Cosimato, Maurizio Di Carmine, Matteo Finamore, Francesca Milani, Giancarlo Porcari e Tiko Rossi Vairo.
E’ un classico della comicità che ripercorre davanti al pubblico le diverse fasi dell’allestimento di uno spettacolo.
Si comincia con le prove generali di una compagnia di attori alla vigilia di una tournée, per poi concludersi con le repliche.
In una casa disabitata dai proprietari, in viaggio all’estero, è rimasta solo la governante, appassionata cuoca di sardine, che verrà raggiunta da un poco professionale agente immobiliare che, con la scusa di far visionare l’immobile ad una cliente tanto bella quanto svampita, farà diventare, per qualche ora, quell’enorme abitazione nel loro nido d’amore.
La tensione dei cambi di scena cresce con il rientro dei proprietari dell’immobile. Le porte si aprono e si chiudono veloci sottolineando come solo il caso e la beffa impedisca il mancato incontro tra tutti gli attori, finché il ritmo crescente e l’intreccio sempre più serrato ed improbabile non portano tutti i personaggi all’unisono sul palco.
La vita sul palco è filtrata però dalla vita degli attori e, insieme a loro, salgono in scena, screzi, ripicche, problemi personali, nevrosi, paure, limiti, risorse, vizi e difetti. Gli attori sul palco recitano la parte degli attori della commedia sovrapponendo realtà e finzione. Il regista è il loro punto di riferimento e colui da cui tutti aspettano l’approvazione oppure un consiglio, eppure – dietro le quinte – è, egli stesso per primo, solo un uomo come gli altri che sovrappone la perfezione con cui lima la sua arte, all’ambiguità con cui conduce la sua vita.
Si ride, si ride di gusto, sia per gli improbabili scherzi dettati dal fato sulla scena, sia per la caratterizzazione precisa dei personaggi che vengono chiamati ciascuno a uno stereotipo chiaramente individuabile e di cui beffeggiarsi, un po’ come accadeva nella Commedia dell’arte: il fanfarone, il pignolino, l’irrisoluto e il vizioso alcoolizzato sono accostati ad altrettante donne: quella un po’ goffa, quella svampita, quella sicura di sé… e tutti insieme incoraggiano la sala, sin dalle prime battute, a burlarsi degli stereotipi, complici una serie di malintesi utili a sprigionare sonore risate.
Se il primo tempo delinea i caratteri e rende lo spettatore consapevole di come dovrebbero andare in scena le battute, è nel secondo tempo che la comicità si fa più serrata, con una costruzione elaborata dal punto di vista del ritmo della messa in scena, perché sbagliare per finta non è affatto facile, incastrando in maniera consapevole dialoghi senza più senso ad una cadenza esagitata.
La compagnia della rappresentazione nella rappresentazione è una compagnia alla sbando. Ma solo per ridere. In realtà si tratta di attori bravissimi, di un testo che merita, di un gioco scenico assolutamente da vedere!