- il ponte dovrà resistere ad un sisma di 8 gradi Richter (perlomeno 8, che è ancora meno di quanto stabilito per quello di Akashi in Giappone – il più lungo a campata unica oggi esistente, lungo meno della metà dei 3 chilometri e rotti che occorre coprire da noi, ma molto più dei ridicoli 7,1 del progetto attuale);
- il progetto dovrà contenere una valutazione ambientale seria e dettagliata, comprensiva ad esempio di tutte le cave che bisognerebbe aprire per la costruzione delle torri di sostegno, e di tutte le strade e ferrovie di accesso alle rampe che bisognerebbe completamente rifare per chilometri (cosa che il progetto affossato “dimenticava”).
Beninteso: si tratta di un “siamo d’accordo” retorico, perché siamo sicuri che, già con solo questi due “paletti” (se ne potrebbero aggiungere degli altri, ad esempio in relazione al vento…), il costo dell’opera salirebbe tanto che nessun soggetto privato al mondo, singolo o in pool, sarebbe in grado di reperire i fondi necessari, e anche se fosse, non penserebbe mai di rischiarli in vista di una redditività così improbabile e remota nel tempo. Nessuno sano di mente, infatti, metterebbe di tasca propria tutti quei soldi in un’impresa del genere, specie dopo la fallimentare esperienza del tunnel sotto la manica…
Dunque, il programma dell’Unione è rispettato ed il ponte sul nulla è stato fermato. Ma adesso attendiamo al più presto:
- una quantificazione precisa dei soldi che non si sono spesi sul ponte e si intendono spendere altrove in infrastrutture per il Sud
- una elencazione precisa di quali infrastrutture andranno a beneficiare di questa “deviazione”.
Non ci si può accontentare, infatti, della generica dichiarazione che “coi soldi del ponte si finiranno la Salerno – Reggio Calabria e le autostrade della Sicilia”. E’ peraltro dubbio che la prima utilità delle infrastrutture per il meridione siano le autostrade. Ed è opportuno aprire una riflessione sui lavori di ammodernamento della A3 in corso da un decennio, per i quali il ministro Di Pietro ha dichiarato che i cantieri saranno completati entro il 2009, il che significa che (forse) entro quella data saranno INIZIATI i lavori su tutto il percorso, mentre nessuno sa quando saranno FINITI.
Se si percorre la A3, infatti, si scopre che su 443 chilometri l’ammodernamento è completo per una cinquantina, e per la maggior parte del tratto restante non è neanche iniziato. Visto che da rifare restano quasi tutti i viadotti e le gallerie, mentre i lavori ultimati riguardano in massima parte i più “facili” tratti “appoggiati” su terrapieno, e visto che comunque la terza corsia è prevista solo nella cinquantina di chilometri vicino a Salerno, ci chiediamo se è ancora possibile, visto che è certamente più opportuno, BLOCCARE l’assurdo progetto in attuazione tra Campagna e Reggio Calabria, che consiste nel rifacimento totale della carreggiata per sostituire le attuali due corsie secche con due più una di emergenza. Il solo scopo del progetto, costoso quasi quanto il rifacimento in tre corsie, è evidentemente di poter continuare a chiamare autostrada un’arteria che una volta ultimata non cambierebbe comunque la sua portata di flusso, al costo di vederla però fortemente ridotta per tutti i decenni (sic!) che occorreranno per i lavori. Molto più in fretta, e con molti meno soldi di quelli previsti (e MAI stanziati) dal precedente governo, si potrebbero mettere in sicurezza gli attuali viadotti e gallerie, dotarli di asfalto drenante e illuminazione decente, e riclassificare l’arteria in superstrada con limite a 110 km/h, come la Orte/Ravenna per intenderci.
Coi soldi risparmiati, l’elenco delle cose da fare sarebbe infinito, ma proviamo a pensarci a braccio:
- realizzazione di moderni allacciamenti al sistema viario e ferroviario del porto di Gioia Tauro
- completamento reale (e non la buffonata di Berlusconi e company, che l’hanno inaugurata a scopi elettorali in tutta fretta, cosicché il giorno dopo furono costretti a richiuderla) della Messina/Palermo
- rifacimento del sistema viario della Sicilia centro/meridionale, da Mazara a Siracusa su fino a Enna e Caltanissetta
- messa in sicurezza della SS 106 Jonica in tutto il tratto calabrese, con spartitraffico svincoli e viadotti
- realizzazione (tramite ristrutturazione, ampliamento e in qualche caso creazione ex novo) di una rete di porti commerciali di piccolo cabotaggio su tutta la costa tra Napoli e Foggia, isole comprese, da collegare con la già migliore rete portuale esistente nel resto della costa italiana
- creazione di un nuovo standard di container per le merci destinate al mercato interno, di dimensioni più piccole (magari sottomultiple, di modo da permetterne l’integrazione) rispetto allo standard internazionale che viaggia per mare o ferrovia e viene agganciato sui tir. Il nuovo “minicontainer” dovrebbe vedere incentivata la sua adozione (eventualmente anche da totale defiscalizzazione) fino a diventare progressivamente obbligatorio, mentre i porti italiani dovranno essere tutti attrezzati di strutture agili per lo scarico veloce e il montaggio del nuovo minicontainer su un nuovo tipo di furgoni, a regime gli unici ad avere libero accesso alle città italiane. I costi dell’iniziativa dovrebbero compensarsi con i benefici all’ambiente, i risparmi sugli investimenti in autostrade, e una mano all’industria automobilistica nazionale che potrebbe approfittare dal vedere un nuovo standard affermarsi nel proprio paese
- in primis, per vicinanza alla “fonte” dei finanziamenti, rifacimento fuori dai centri abitati e potenziamento dei porti di Messina e Villa San Giovanni, e di servizi e viabilità relativi.
Con quest’ultimo provvedimento, si avranno perlomeno gli stessi risultati in termini di smaltimento di traffico del fantomatico ponte, ad un costo di centinaia di volte inferiore; con il complesso di questi provvedimenti, si sarà ottenuto un miglioramento in termini di infrastrutture per il sud, e anche di semplice riduzione dei tempi percorrenza verso la Sicilia di persone e merci, di decine di volte superiore ai benefici indotti dalla presenza del ponte, ammesso e non concesso che fosse stato mai costruito.
Ma ci vuole un piano di dettaglio, con soldi e tempi, diciamo al massimo nella prossima finanziaria, visto che ci dicono che questa è l’ultima di risanamento e la prossima sarà tutta di sviluppo. Prendendosi l’anno che manca per sviluppare una lista di “cose da fare” necessariamente meglio ragionata di quella qui tratteggiata a titolo esemplificativo.