“Parole, parole, parole”… così cantava Mina, riflettendo sul legame tra amore e linguaggio ma stavolta, a porre al centro questo binomio è Gigi Proietti, che porta in scena al Teatro Umberto di Roma, fino al 9 ottobre, una storia d’amore molto particolare, che corre tra l’onirico e il virtuale e intreccia sogno e realtà, modernità e antichi cliché.
Il bravo Matteo Vacca e la spumeggiante figlia del regista, Carlotta Proietti, sono i protagonisti di questa pièce teatrale di Adriano Bennicelli, orchestrata dal comico romano.
Quanto pesano le parole? E quanto contano per farci innamorare? Fino a che punto aiutano a conoscere l’altro? Quanto ci servono a farci conoscere? E’ questa la riflessione cardine attorno a cui ruota lo spettacolo che trova il suo titolo nel noto motivetto della canzone di Mina.
Laura e Valerio, i due protagonisti, si incontrano senza incontrarsi. L’immagine di lei, infatti, appare, muta, tutti i giorni sugli schermi del circuito di sorveglianza della banca dove lavora lui, balbuziente da sempre. E l’amore scatta: Valerio si innamora. Ma di chi se in fondo non sa niente di lei? Della Laura reale o della sua proiezione dal nome vagheggiante i sonetti di Petrarca?
E’ un amore vecchio stampo, letterario senza dubbio, e infatti da La Fontaine a D’annunzio, da Pascoli a Dante, molte sono le citazioni che si succedono sul palco.
Se Valerio ha problemi di linguaggio, Laura invece ha fatto delle lingue la sua passione e si diletta a giocherellare con le varianti di pronuncia delle varie parole nei molteplici dialetti regionali, frustrata per non aver potuto tradurre questo talento in un lavoro.
Tutti e due quindi, seppur in modi differenti, hanno messo la parola al centro della loro vita, sia esaltandola che affrontando le difficoltà che da questa gli derivano. Gli sketch architettati da Proietti – in generale nella sua carriera artistica appassionato umorista del vocabolo –, servono qui a far emergere il ruolo della parola nello spettacolo.
Nonostante questa centralità del linguaggio nella vita dei protagonisti, il regista lascia emergere come alle parole però non sempre corrisponda un’effettiva capacità di comunicazione. A volte le parole ingannano, altre nascondono, a volte esternano sentimenti prendendoli in prestito ai poeti e calando registri alti in vicende più prosaiche della quotidianità, ottenendo un effetto di scollamento.
A volte le parole confondono, altre rivelano. Di sicuro non sempre comunicano. Valerio si innamora di Laura senza nemmeno conoscerne la voce, o forse proprio perché lei non conosce la sua, stentata e impappinata come se avesse un nodo sulla lingua, e quando cominceranno ad incontrarsi e a parlarsi, lo faranno in un clima da sogno… sogno che oscilla tra romantiche illusioni o toni da incubo…
E tra tutte queste Parole, Parole, Parole, scorre la vita, immaginata o vissuta, finché tocca svegliarsi e decidere se si voglia vederla per quello che è, oppure continuare a inventarla e a favoleggiarla…
Uno spettacolo di risate leggere in cui la capacità di parlare è sicuramente al centro.