Dalla Danimarca alla Francia, l’incanto chiamato teatro
E’ tornato in scena da ieri al Teatro La Comunità, per il terzo anno di repliche, Amletò – Gravi incomprensioni all’Hotel Du Nord. Per chi conosce Giancarlo Sepe, regista ed ideatore dello spettacolo, è certo facile aspettarsi un lavoro del genere: quello che si vede in scena è infatti l’intensa attività sul corpo dell’attore, unito alla forte tensione emotiva con cui scavare nel profondo delle emozioni e realizzare dunque il personaggio.
Il suo Amletò sposta l’azione dalla Danimarca shakespeariana cinquecentesca alla Francia del 1939, muovendo dalle torri di Elsinore all’Hotel Du Nord di Parigi. Un grammelot con cui la storia di Amleto viene costruita meticolosamente dall’azione attoriale: poche parole e in una lingua inventata che fa l’occhiolino al francese, una scena riempita ogni istante dal perpetuo muoversi, immagini e ambienti che talvolta sembrano tableau vivant tal altra dei film.
Bravi gli interpreti, cui va innanzi tutto il plauso di aver calcato le tavole del palcoscenico senza soluzione di continuità, in un perenne moto costruttivo e suggestivo. Tra gli altri spiccano certamente Manuel D’Amario nel ruolo del re-fantasma, esilarante in alcune brevi battute, Alessio De Caprio nella parte di Claudio, eccezionale nell’espressione del viso capace di mostrare ben oltre le parole e l’accorata bambola Ofelia di Federica Stefanelli.
Amletò – Gravi incomprensioni all’Hotel Du Nord riesce davvero a far brillare quel teatro di ricerca a cui così tanto ci hanno fatto disabituare i circuiti istituzionali. Supera i confini del testo e del solito teatro di prosa, riportando l’attenzione su quanto invece ci sia dietro uno spettacolo. Gli attori qui sono in un certo senso materia nelle mani di un grande regista, un artista capace di far parlare gli sguardi ed i gesti, i piedi, le mani, le gambe, gli occhi.
Così il suo Amletò, dapprima burattino, diviene poi individuo pensante e capace di vendetta. Il sogno poi grande protagonista dell’opera originale, torna anche qui a dettare le regole della messinscena fino all’esplosione delirante di un incubo.
Uno spettacolo che occorre vedere soprattutto per comprendere quanto altro ancora possa essere il teatro. Non solo parola, ma impulso, impressione, attrazione. Un linguaggio immenso che può superare senza dubbio i confini della lingua parlata e abbracciare la complessità di tutti gli altri sensi. Bello.