Al Vittoriano fino al 12 febbraio 2017 le opere dell’artista statunitense che ha saputo raccontare i luoghi e le emozioni profonde del proprio Paese, dalle metropoli alle grandi distese verdeggianti.
Colori e oscurità, ombre e luci, praterie sconfinate e scale solitarie in un interno parigino. Edward Hopper, il più popolare tra gli artisti statunitensi del XX secolo, ha indagato per tutta la propria vita molteplici contesti all’interno dei quali riusciva a scovare la realtà, vista con gli occhi dell’introspezione e di una romantica riflessività.
Una mostra che traccia un percorso di tutta la produzione pittorica dell’artista attraverso oltre 60 opere degli anni 50 e 60, dagli acquerelli ai paesaggi, fino agli scorci cittadini.
“Forse non sono troppo umano”, diceva di sé, “ma il mio scopo è stato semplicemente quello di dipingere la luce del sole sulla parete di una casa”. Cogliere la vita nella sua essenza significa abbandonarsi all’osservazione di ciò che accade attorno, senza filtri razionali che possano nascondere la bellezza racchiusa nelle piccole cose. “La mia unica ispirazione sono stato io”, disse ancora.
E così, da questo suo indagare il vero evidenziandone le emozioni e i sentimenti, prendevano forma stazioni di benzina ai margini di strade che tagliano il nulla pieno di silenzio, forse il tema più importante e ricorrente di tutto il cimena americano on the road. Oppure un uomo che cammina nella notte con la propria ombra come unica compagnia.
E poi paesaggi luminosi influenzati dall’impressionismo, case lontane che sorvegliano passaggi a livello immersi nel verde, sognanti soggetti femminili spiati in pose sensuali.
La vita in tutte le sue colorazioni. Edward Hopper è stato tutto questo, un artista che amava sedersi in un caffè e guardare l’esistenza dipanarsi. Che amava frequentare le strade e scorgere i volti, le espressioni. Una mostra, quella del Vittoriano, che permetterà ai visitatori di inoltrarsi nella vita e nella psicologia di un autentico simbolo, il pittore della solitudine.