Effetti collaterali
Effetto positivo della riforma Dini è stato rimettere sotto controllo le prospettive della previdenza, disastrate dall’aumento della durata della vita e dalla riduzione dell’occupazione. Effetto collaterale negativo non di poco conto, come ha osservato Di Nicola, è stato però quello di prevedere percentuali di pensione sull’ultima retribuzione molto più basse che in precedenza, spesso non in grado di garantire un reddito sufficiente e/o soddisfacente. In pratica si è convenuto uno scambio tra riequilibrio del bilancio pubblico e una forte riduzione delle pensioni future (a cui ovviare con uno sviluppo della previdenza integrativa). Ma se a questo primo effetto se ne aggiunge un secondo – e cioè il favore accordato al rapporto di lavoro precario, che i datori di lavoro sono indotti a privilegiare grazie a condizioni contributive meno gravose – e poi un terzo – e cioè la relativa scarsità delle stesse occasioni di lavoro precario, che fanno sì che i giovani abbiano a intermittenza periodi di attività e periodi di inoccupazione – e poi un quarto – gli incentivi fiscali alla previdenza complementare, che premiano i redditi più elevati e chi può allocare maggiori quote del proprio risparmio – si crea una generazione di giovani doppiamente esclusi. Esclusi – di fatto – sia dal mondo del lavoro regolare sia da quello della pensione. Futuri anziani umiliati da una quasi totale dipendenza dall’assistenza dello Stato.
Il meccanismo
Tecnicamente, la spiegazione di questo meccanismo è semplice. Le figure dei “parasubordinati” sono caratterizzate, come abbiamo visto, da basse retribuzioni e, soprattutto, basse contribuzioni previdenziali (19,3% dal 2004), pari a poco più della metà di quelle accantonate per un dipendente (32,7%). Un primo effetto di ciò è che qualsiasi datore di lavoro viene “incentivato” dal sistema pubblico ad utilizzare lavoro flessibile parasubordinato piuttosto che dipendente, con un effetto distorsivo (verso una maggiore quota di lavoro precario) rispetto alle scelte che sarebbero state fatte in regime di neutralità fiscale e contributiva.
Un secondo effetto è che il mix di bassi livelli di reddito (che consentono un risparmio previdenziale aggiuntivo modesto), e livelli di contribuzione altrettanto modesti e per di più saltuari (stante la precarietà di queste figure lavorative), fa prospettare per i parasubordinati un futuro pensionistico spesso vicino alle condizioni di povertà e molto peggiore della condizione lavorativa attuale. In sostanza: oggi lavorano poco. Se, e quando, riescono a lavorare sono pagati poco e pagano pochi contributi. Di conseguenza, avranno quasi niente di pensione domani.
Le misure da prendere, secondo Di Nicola, dovrebbero essere almeno di tre tipi:
- equiparare i contributi di qualsiasi figura lavorativa, stabilendo la neutralità del sistema rispetto alle scelte di combinazione delle diverse tipologie di lavoro fatte dall’imprenditore;
- rendere più omogenei i trattamenti fiscali della previdenza obbligatoria e complementare, riducendo gli enormi vantaggi concessi a regime a quest’ultima;
- utilizzare, infine, parte delle risorse non più allocate sul secondo pilastro per sostenere, in maniera assistenziale ma trasparente, i parasubordinati a carriera intermittente e a forte rischio di futura povertà tramite contribuzioni di tipo virtuale o figurativo.
La discussione ha registrato una sostanziale convergenza attorno a queste proposte. Paolo Sestito (esperto di problemi previdenziali) ha convenuto sia sull’analisi sia sull’urgenza di realizzare interventi correttivi. Anche per lui le aliquote contributive differenziate sono fonte di distorsioni, i futuri trattamenti pensionistici potranno essere inadeguati specie per i gruppi a bassa contribuzione, gli incentivi allo sviluppo del "pilastro" integrativo sono troppo regressivi. Sestito ha detto di condividere anche le proposte di Di Nicola, tranne la terza: i contributi figurativi sono infatti un istituto “vecchio e abusato”, che rischia di accentuare i disincentivi al lavoro ufficiale in certi segmenti di mercato. “Piuttosto servirebbe introdurre una esplicita logica redistributiva nel primo pilastro (la previdenza obbligatoria) rafforzando il rendimento dei contributi dei soggetti a basso reddito, ma dei contributi effettivi”. La principale soluzione del problema della adeguatezza delle pensioni future “sta nel prolungamento della vita lavorativa. Favorire il rendimento dei contributi effettivi dei soggetti marginali è congruente con questa direttrice”.
Mauro Marè, presidente del MEFOP (Società di sviluppo del mercato dei fondi pensione promossa dal ministero dell’Economia e dal Mediocredito centrale) ha difeso il decreto sulla previdenza complementare, sottolineandone l’importanza. "Certo saranno necessari aggiustamenti e miglioramenti ma è un netto passo in avanti. Se non si sviluppa definitivamente la previdenza complementare sarà infatti inevitabile rimettere mano alla previdenza obbligatoria. La partita si giocherà in buona parte sull’informazione, sia per i lavoratori che per gli iscritti, che dovrà essere ampia e diffusa".
Silvano Miniati, segretario generale UIL Pensionati, ricorda di aver lanciato l’allarme sulla situazione attuale e futura dei giovani precari in numerose occasioni e anche di recente in un libro scritto a più mani con il titolo “Generazioni perdute – un infausto destino per i giovani e per gli anziani”. Miniati conferma che la legge Dini, “dopo le inadempienze di chi doveva applicarla e le aggressioni subite con interventi di controriforma del governo, richiede oggi di essere rivisitata. Il sistema contributivo che oggi abbiamo fa risparmiare molto ma uccide l’avvenire previdenziale dei giovani, mentre il mancato aggancio delle pensioni condanna milioni di pensionati attuali ad un avvenire di disperazione. Se si prende atto che i giovani e gli anziani, nella loro maggioranza, sono oggi penalizzati occorre fare presto con interventi che rilancino la riforma accentuandone il carattere solidaristico ed universalistico”.
Per Giorgio Benvenuto, deputato ds, le sperequazioni a carico dei più deboli di cui soffrono non solo il sistema previdenziale ma anche quello del mercato del lavoro sono molte, a cominciare dalla penalizzazione del TFR – dal quale il governo riesce a prelevare annualmente ben 500 milioni di tasse.
In particolare "occorre modificare con urgenza la sperequazione del sistema dei contributi che produce effetti perversi sia incentivando i datori di lavoro ad assumere con rapporti precari anche quando potrebbero assumere a tempo indeterminato sia precostituendo futuri trattamenti pensionistici fatalmente al di sotto dei livelli di sussistenza (si prevedono infatti trattamenti di pensione che in molti casi non arriveranno ai 350 euro)".
Inoltre una “struttura dell’occupazione precarizzata e mal retribuita determina una progressiva perdita di competitività del sistema Paese, in quanto incide in modo negativo sulla qualità dei prodotti e dei servizi. A sua volta l’avvio della previdenza complementare rischia di favorire i redditi medio alti a scapito di quelli meno elevati. Il governo che uscirà dalle prossime elezioni dovrà affrontare con urgenza questi problemi con interventi che tocchino sia il sistema dei contributi (perequandoli con modalità diverse in relazione alla diversa base imponibile) sia il sistema previdenziale”.