CAPITALISMO ALLE VONGOLE, TELEFONIA IN SALSA CILENA, AVREMO LA CIA ALL’ALTRO CAPO DEL FILO?

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La situazione creatasi con l'offerta di acquisto di Telecom da parte di  AT&T non è di quelle in cui il governo possa fare da spettatore, in ossequio passivo a presunte regole di mercato. Anche perché in questo caso quello con cui abbiamo a che fare non è un vero mercato ma piuttosto una sua degenerazione, un mercato a luci rosse, qualcosa che sta al mercato come la borsa nera sta alla borsa valori. E considerati i precedenti della AT&T e della stessa Telecom, il rischio che le intercettazioni, anche quelle legali, anziché sulle scrivanie dei magistrati finiscano su quelle degli agenti della Cia e del Pentagono non è certo da accantonare. Tutto sommato, non sono pochi i motivi che dovrebbero indurre il governo a considerare tutt'altro che “sacre” le scelte speculative di un campione del capitalismo “mordi e fuggi” come Tronchetti Provera
articolo di Giancarlo Fornari


Che bello, siamo sui mercati,
tutti ci comprano. Tra telefonia fissa e mobile – ultimo caso, Fastweb – compagnie aeree, industrie alimentari, supermercati se ne sta andando, un pezzo alla volta, tutto il bel paese. Tra poco toccherà a Colosseo e Fori imperiali, San Pietro si salverà solo perché di proprietà del Vaticano. Siamo al punto che Alitalia potrebbe essere rilevata dalla compagnia russa Aeroflot, che appena quindici anni fa era la più scalcinata del mondo, nei voli internazionali pure pure si salvava ma in quelli interni vedevi i finestrini tenuti su con lo scotch e le anziane matrone dai sederi voluminosi che facevano da hostess correre su e giù per l'aereo quando c'era qualcosa da riparare.

Adesso un'accoppiata Usa-Messico
sta per comprarsi Telecom, cioè un'azienda strategica per le comunicazioni italiane, e Berlusconi elogia l'”abile Tronchetti”, Capezzone e Bonino, Boselli e Fini richiamano al realismo quanti si permettono di esprimere preoccupazione: “E' il mercato, bellezze”. Qualcuno nel governo vorrebbe opporsi ma “la decisione del Cda è sacra” lo richiama, sottovoce come in chiesa, il “portavoce unico” di Prodi, Sircana.  Non è rispettabile, insindacabile, incontestabile anche se magari discutibile e criticabile. No, è “sa-cra”. Tutti zitti, per favore, attendiamo le decisioni del Cda, quali che siano, in religioso silenzio.
Ma è proprio il mercato quello con cui in questo caso abbiamo a che fare, o non è piuttosto una sua degenerazione, un mercato a luci rosse, qualcosa che sta al mercato come la borsa nera sta alla borsa valori?

Vediamo per punti.

1. Tronchetti non è il padrone
di Telecom, semplicemente è uno che ne ha il controllo come azionista di riferimento. Come osserva Massimo Giannini, grazie a una colossale leva finanziaria, che parte da Sapa e scende a cascata fino a Telecom attraverso Olimpia e Pirelli, Tronchetti governa un gruppo che capitalizza 43 miliardi possedendo lo 0,3% del suo capitale. Con 1 euro dei suoi ne movimenta 5 mila dei suoi soci minori (i cosiddetti “buoi”).

2. L'offerta di AT&T
e della sua associata messicana non riguarda Telecom ma Olimpia, la cassaforte in cui Tronchetti custodisce il pacchetto di controllo di Telecom. L'offerta di acquisto di Olimpia sfugge alle regole dell'Opa, che avrebbero premiato anche i piccoli azionisti Telecom mettendoli in condizioni di scegliere se aderire o meno: ma comunque allo stesso prezzo spuntato dall'azionista di riferimento.
Questo non è capitalismo di mercato, è capitalismo da repubblica delle banane. Il tragico è che questa degenerazione dell'italico capitalismo – un capitalismo fatto solo di gherminelle finanziarie,  un capitalismo che specula e non costruisce, che depreda la ricchezza e non la crea – trova pure i boccaloni che come abbiamo visto lo esaltano, lo accettano in blocco così com'è, si inchinano rispettosi alle sue scelte.
Certo, che Berlusconi elogi “l'abile Tronchetti” si può capire. Uno che acquista il controllo di una grande impresa con i soldi delle banche, poi quando si accorge che non è capace di risollevarla perché troppo indebitata decide di rivenderla realizzando plusvalenze stratosferiche su cui forse – la cosa è da approfondire – rischia di non pagare neppure un euro di tasse: Berlusconi può approvare, elogiare, anzi addirittura invidiare un personaggio come questo. Ma che non si dica che quello di Tronchetti è un esempio del capitalismo di mercato. E' solo un esempio della sua degenerazione.

3. C'è poi un ultimo aspetto di cui sembra nessuno si preoccupi. Negli ultimi tempi Telecom, oltre a consentire lo scambio delle telefonate degli italiani, si divertiva ad ascoltarle. Si intercettavano i calciatori quando si sospettava che la notte andassero in discoteca invece che a dormire, i politici e i giornalisti quando si pensava che le loro conversazioni potessero tornare utili per i propri fini. Tramite Telecom ci si introduceva nei computer dell'amministratore delegato della Rcs e del vicedirettore del Corriere della sera (si legga il libro-denuncia “Il baco del Corriere” di Massimo Mucchetti) per spiare i documenti archiviati nei loro hard disk.
Che di tutto questo la persona ai vertici dell'azienda, ossia il Signor Tronchetti Provera, non abbia mai saputo nulla, capito nulla, sospettato nulla è uno dei misteri dell'esistenza. Ma lasciamo stare, diamo retta a Carducci quando realisticamente ci suggerisce “meglio oprando obliar, senza indagare, questi immensi mister dell'universo”.
Resta il fatto incontrovertibile che la Telecom come azienda – e senza, naturalmente, che il suo massimo responsabile nulla sospettasse – ha operato per anni come una autentica centrale di spionaggio. Resta il fatto che la stessa Telecom, per combinazione, è anche l'azienda incaricata di realizzare, questa volta legittimamente, tutte le migliaia e migliaia di intercettazioni che i nostri magistrati ritengono opportuno effettuare (solo il buon Woodcock ne ordina a palate).  

E adesso si viene a sapere che il futuro acquirente di questa centrale spionistica, lecita e illecita, sarebbe – guarda caso – il più grande spione della telefonia mondiale, la AT&T.
Forse sono passati troppi anni per ricordare il ruolo svolto dalle major telefoniche americane nel terzo mondo e in particolare nell'America latina, dove erano sinonimo di corruzione politica ed economica e sgabello compiacente e interessato delle peggiori dittature. Per ricordare il ruolo svolto da loro in Cile in combutta con la Cia all'epoca di Nixon, prima per evitare a tutti i costi l'ascesa al potere del socialista Allende, poi per rovesciarlo, assassinarlo e portare al potere il famigerato dittatore Pinochet.
Ma lasciamo stare il passato, parliamo di quello che sta succedendo ora in America, dove grazie al Patriot Act, dopo l'11 settembre le compagnie telefoniche, con in testa la AT&T, si sono trasformate in un'immensa centrale di ascolto. Negli Stati Uniti la AT&T – ha raccontato Giulietto Chiesa su “La Stampa” – si è messa al servizio senza la minima obiezione (come invece ha fatto qualche altra compagnia) della National Security Agency  mettendo in piedi un apparato destinato a spiare milioni di persone, in linea di principio tutti i cittadini, ficcando il naso nella loro posta, inclusa quella elettronica e registrando le loro telefonate da qualunque apparecchio mobile o fisso. La Electronic Frontier Foundation, un gruppo che difende i diritti umani, ha denunciato la AT&T per violazione della privacy ma la causa è stata archiviata su richiesta del Dipartimento della Giustizia, il quale ha sostenuto che  “la natura segreta delle attività dell'NSA ci impedisce di investigare sulle sue eventuali violazioni della privacy”.  
Adesso che la AT&T sbarca in Italia, è forse paranoia pensare che l'organizzazione di  spionaggio parallela messa in piedi da Tavaroli & C – senza, ovviamente, che il Tronchetti Provera mai nulla sospettasse, questo lo abbiamo già appurato – potrebbe rifunzionare alla grande, in modo anche più perfezionato? E sarebbe proprio da escludere che parte di queste informazioni, invece di andare al buon Woodcock e ai suoi colleghi, arrivassero in qualche suite riservata dell'ambasciata americana? Insomma, che compiti così delicati siano affidati a una compagnia straniera è cosa politicamente assai delicata, non sembra un affare su cui un consiglio di amministrazione possa avere la libertà di decidere in maniera sovrana.
E lasciamo pure stare gli altri rischi, e cioè l'attesa fideistica che gli americani di AT&T sbarchino in Italia per fare i grandi investimenti che Tronchetti, occupato solo a mungere, non è stato ovviamente in grado di fare. Lasciamo stare il rischio dello spezzatino – metà agli americani da utilizzare come testa di ponte per l'espansione in Europa, metà ai messicani di Mòvil per l'espansione in Sudamerica.
Questo è il mercato, d'accordo. Almeno però, si abbia il buon senso di non chiamare in causa il rapporto di reciprocità, come fa la Bonino citando gli esempi della tentata espansione di Enel in Spagna. Perché una cosa sono i rapporti con l'Europa, dove siamo vincolati a rispettare l'apertura dei mercati, una cosa quelli con l'America. Anche il presunto divieto di usare la golden share, di cui parla qualcuno, è un fatto europeo, non riguarda i rapporti con gli americani. E in ogni caso, si faccia a meno di dire che questi sono affari personali dell'azionista di riferimento.

Come giustamente ha detto il ministro Gentiloni, va  rivendicato il diritto del Governo di indicare gli interessi generali messi in gioco nella vicenda: “Così come è perfettamente legittimo che Pirelli faccia gli interessi dei suoi azionisti, è altrettanto legittimo e forse più rilevante che il Governo segnali al mercato quali sono gli obiettivi di interesse generale” in un settore  “strategico per l’economia e l’assetto del Paese".

E' purtroppo vero, come ha detto lo stesso ministro, che il Governo ha pochi strumenti per intervenire, se per intervento si intende "bloccare o modificare queste dinamiche". Ma il governo non può però limitarsi a indicare gli interessi generali e poi assistere passivamente, come un qualunque spettatore, a questa vicenda. Non sono pochi, lo abbiamo visto, i motivi che dovrebbero indurlo a considerare tutt'altro che "sacre" le scelte di convenienza di un campione del capitalismo “mordi e fuggi” come Provera.

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