Dopo aver esaminato il “pasticciaccio brutto” dei CAP (il motore di ricerca dopo qualche giorno ha ripreso a funzionare…), Gino Nobili torna sui monopoli di fatto, e in particolare su Telecom, facendo propria la proposta di restituire la rete telefonica allo stato. Non è detto che l’idea sia da condividere, ma lo sono senz'altro le ragioni da cui muove. Ragioni simili a quelle che hanno ispirato il ministro delle infrastrutture Di Pietro ad annunciare il proposito (che speriamo venga portato fino in fondo) di rivedere tutte le concessioni autostradali, e lo stesso Presidente Prodi, nel suo intervento alla Camera il 28 settembre, a sostenere la necessità di riesaminare l’intero sistema delle concessioni statali. Il che non significa voler ritornare allo statalismo, significa solo non voler regalare beni pubblici ai privati e non voler permettere agli stessi privati di arricchirsi a dismisura sulle spalle dei consumatori grazie a servizi al di sotto degli standard e a tariffe da ladrocinio
articolo di Gino Nobili
Senza rete
La cessione della rete – sia essa telefonica, autostradale, postale – è il fattore più costoso per la collettività e meno considerato dai media quando si parla di privatizzazioni. Dopo le cessioni fatte di queste reti la collettività non ha solo perso la possibilità di far quadrare i costi di gestione di un carrozzone, ha anche perso il patrimonio che il carrozzone ora privato si porta con sé.
La cosa per quanto riguarda le Poste era forse inevitabile. Ma altre privatizzazioni hanno intaccato patrimoni pubblici che erano intoccabili per natura, e per opportunità. Tanto è vero che per elettricità e ferrovie si è perlomeno separato rete e gestione prima di privatizzare. Semmai, una volta realizzata questa operazione, l’ostacolo può essere di natura materiale: perché, se non per questo fattore, le tariffe aeree da quando il settore è stato aperto alla concorrenza si sono notevolmente abbassate, e invece nelle ferrovie i prezzi continuano a salire mentre i servizi peggiorano? La rete ferroviaria, con quello che è costata alla collettività nei secoli, non può essere “espropriata allo Stato”; inoltre, se il Paese è stretto e lungo, e densamente abitato e montagnoso, e vicino ad altri Paesi solo da un lato, peraltro corto e protetto da monti altissimi, le compagnie ferroviarie dei paesi limitrofi, che potrebbero cogestire delle tratte in concorrenza con Trenitalia, lo fanno con difficoltà, e solo nelle zone a loro vicine. Per il resto del Paese, visto che non può nascere da zero un’altra compagnia ferroviaria a fare concorrenza a quella che hai privatizzato, si consegna a quest’ultima il monopolio di fatto, e si lasciano i cittadini in balia di un soggetto che quando una linea non rende la chiude, e concentra sulle linee più redditizie del centro/nord i suoi investimenti e le sue attenzioni, lasciando ai treni per il sud le carrozze più vecchie, sporche e magari neanche più tanto bene controllate dal punto di vista dell’affidabilità e della sicurezza (questo problema c’è anche per gli aerei, a dire il vero…).
La cessione della rete – sia essa telefonica, autostradale, postale – è il fattore più costoso per la collettività e meno considerato dai media quando si parla di privatizzazioni. Dopo le cessioni fatte di queste reti la collettività non ha solo perso la possibilità di far quadrare i costi di gestione di un carrozzone, ha anche perso il patrimonio che il carrozzone ora privato si porta con sé.
La cosa per quanto riguarda le Poste era forse inevitabile. Ma altre privatizzazioni hanno intaccato patrimoni pubblici che erano intoccabili per natura, e per opportunità. Tanto è vero che per elettricità e ferrovie si è perlomeno separato rete e gestione prima di privatizzare. Semmai, una volta realizzata questa operazione, l’ostacolo può essere di natura materiale: perché, se non per questo fattore, le tariffe aeree da quando il settore è stato aperto alla concorrenza si sono notevolmente abbassate, e invece nelle ferrovie i prezzi continuano a salire mentre i servizi peggiorano? La rete ferroviaria, con quello che è costata alla collettività nei secoli, non può essere “espropriata allo Stato”; inoltre, se il Paese è stretto e lungo, e densamente abitato e montagnoso, e vicino ad altri Paesi solo da un lato, peraltro corto e protetto da monti altissimi, le compagnie ferroviarie dei paesi limitrofi, che potrebbero cogestire delle tratte in concorrenza con Trenitalia, lo fanno con difficoltà, e solo nelle zone a loro vicine. Per il resto del Paese, visto che non può nascere da zero un’altra compagnia ferroviaria a fare concorrenza a quella che hai privatizzato, si consegna a quest’ultima il monopolio di fatto, e si lasciano i cittadini in balia di un soggetto che quando una linea non rende la chiude, e concentra sulle linee più redditizie del centro/nord i suoi investimenti e le sue attenzioni, lasciando ai treni per il sud le carrozze più vecchie, sporche e magari neanche più tanto bene controllate dal punto di vista dell’affidabilità e della sicurezza (questo problema c’è anche per gli aerei, a dire il vero…).
Monopolio di fatto? SIPuò!
Ma se per Enel ed Fs la materialità, oserei dire, delle linee ha forse aiutato a pensarci, per la Sip nessuno si è posto il problema, prima di regalarli a Telecom SpA, che tutti quei milioni di chilometri di cavi erano stati srotolati a spese di Pantalone in oltre un secolo. La telefonia è stato forse il settore più dinamico degli ultimi 15 anni in tutto il mondo, e anche noi, anche se in minor misura che altrove, abbiamo potuto godere i benefici di una vera concorrenza per quanto riguarda quella mobile. Basta ricordare quanto costava una telefonata col cellulare nel 96… Nel fisso no: gli altri operatori, in questi anni, hanno pagato e pagano il “pizzo” alla Telecom, quindi voi clienti di Infostrada, Tiscali o Teledue, anche se avete sfruttato la possibilità giustamente conferita dalle norme sulla concorrenza di passare ad una di queste nuove compagnie come operatore esclusivo, magari in cambio dell’azzeramento del pagamento del canone (azzeramento virtuale, perché compreso nella tariffa di abbonamento al nuovo operatore, che paga lui il vostro canone a Telecom…), avete continuato a pagare la Telecom per vie traverse anche in questi anni. Quindi la montagna di debiti che Tronchetti Provera ha accumulato, e che sta alla base della “strategia industriale” (virgolette obbligatorie…) di acquisto e scorporo nel giro di due anni della redditizia Tim, è stata accumulata nonostante:
Ma se per Enel ed Fs la materialità, oserei dire, delle linee ha forse aiutato a pensarci, per la Sip nessuno si è posto il problema, prima di regalarli a Telecom SpA, che tutti quei milioni di chilometri di cavi erano stati srotolati a spese di Pantalone in oltre un secolo. La telefonia è stato forse il settore più dinamico degli ultimi 15 anni in tutto il mondo, e anche noi, anche se in minor misura che altrove, abbiamo potuto godere i benefici di una vera concorrenza per quanto riguarda quella mobile. Basta ricordare quanto costava una telefonata col cellulare nel 96… Nel fisso no: gli altri operatori, in questi anni, hanno pagato e pagano il “pizzo” alla Telecom, quindi voi clienti di Infostrada, Tiscali o Teledue, anche se avete sfruttato la possibilità giustamente conferita dalle norme sulla concorrenza di passare ad una di queste nuove compagnie come operatore esclusivo, magari in cambio dell’azzeramento del pagamento del canone (azzeramento virtuale, perché compreso nella tariffa di abbonamento al nuovo operatore, che paga lui il vostro canone a Telecom…), avete continuato a pagare la Telecom per vie traverse anche in questi anni. Quindi la montagna di debiti che Tronchetti Provera ha accumulato, e che sta alla base della “strategia industriale” (virgolette obbligatorie…) di acquisto e scorporo nel giro di due anni della redditizia Tim, è stata accumulata nonostante:
- il vantaggio iniziale di avere tutti i clienti in portafoglio, e il vantaggio iniziale aggiuntivo di vedersi regalata la rete
- i numerosi tentativi di accaparrarsi surrettiziamente con mirabolanti offerte il cosiddetto “ultimo metro” (che è VOSTRO, ricordatevelo se vi vengono a offrire “gratis” di sostituirlo con la fibra ottica, come hanno fatto a tanti qualche anno fa)
- i soldi del canone sempre aumentato man mano che la concorrenza spingeva l’ex monopolista a diminuire il costo delle telefonate
- il “pizzo” su canone e rete pagato dai concorrenti e quindi indirettamente da voi.
Scossone e Riscoss(i)one
Che quella delle privatizzazioni sia una modernità solo illusoria, e una moda che forse sta per passare, lo conferma la vicenda della riscossione coattiva dei crediti tributari: abbiamo sperimentato per un bel po’ di anni i “concessionari della riscossione”, soggetti privati che hanno operato in regime di concessione con il Ministero delle Finanze prima e l’Agenzia delle Entrate dopo, toccando il fondo forse della storia del fisco in termini di rapporto tra somme esigibili e somme effettivamente “esatte”. Per tentare di recuperare un minimo di efficienza in questa attività – nonché per coordinare meglio la riscossione delle entrate pubbliche sia nazionali che locali – è stata recentemente creata, e sarà operativa dal 1° ottobre, la società Riscossione SpA, che ha acquistato almeno il 51% delle azioni di ciascuna delle trentotto aziende concessionarie (assorbendone parte del personale), contestualmente cedendo agli azionisti delle stesse proprie azioni entro il limite del 49% del capitale sociale, che i propri soci pubblici (Agenzia delle Entrate e Inps, rispettivamente al 51% e al 49%) sono tenuti a riacquistare entro il 2010.
Sarà un successo? Di sicuro è un cambiamento a 180° di strategia. La riscossione deve stare in mano pubblica perché ha una finalità di pubblico interesse, identico per committente (l’ente pubblico impositore) e esecutore (società esattrice): la massimizzazione del gettito. Con la riscossione affidata ai privati questi ultimi invece naturalmente badavano innanzitutto alla massimizzazione dei loro profitti, attraverso i meccanismi che la legislazione e il rapporto di concessione gli consentiva.
Che quella delle privatizzazioni sia una modernità solo illusoria, e una moda che forse sta per passare, lo conferma la vicenda della riscossione coattiva dei crediti tributari: abbiamo sperimentato per un bel po’ di anni i “concessionari della riscossione”, soggetti privati che hanno operato in regime di concessione con il Ministero delle Finanze prima e l’Agenzia delle Entrate dopo, toccando il fondo forse della storia del fisco in termini di rapporto tra somme esigibili e somme effettivamente “esatte”. Per tentare di recuperare un minimo di efficienza in questa attività – nonché per coordinare meglio la riscossione delle entrate pubbliche sia nazionali che locali – è stata recentemente creata, e sarà operativa dal 1° ottobre, la società Riscossione SpA, che ha acquistato almeno il 51% delle azioni di ciascuna delle trentotto aziende concessionarie (assorbendone parte del personale), contestualmente cedendo agli azionisti delle stesse proprie azioni entro il limite del 49% del capitale sociale, che i propri soci pubblici (Agenzia delle Entrate e Inps, rispettivamente al 51% e al 49%) sono tenuti a riacquistare entro il 2010.
Sarà un successo? Di sicuro è un cambiamento a 180° di strategia. La riscossione deve stare in mano pubblica perché ha una finalità di pubblico interesse, identico per committente (l’ente pubblico impositore) e esecutore (società esattrice): la massimizzazione del gettito. Con la riscossione affidata ai privati questi ultimi invece naturalmente badavano innanzitutto alla massimizzazione dei loro profitti, attraverso i meccanismi che la legislazione e il rapporto di concessione gli consentiva.
Allo stesso modo, la rete telefonica deve essere statale, e gli operatori devono pagare allo Stato un canone uguale per tutti, in modo da agire in perfetta concorrenza tra loro. Le ferrovie dello Stato devono tornare tali di nome e di fatto, visto che la concorrenza nel settore in Italia è materialmente impossibile, e visto che non è concettualmente impossibile – come si è a lungo creduto mentre invece la vicenda Agenzia delle Entrate ha dimostrato il contrario – che un soggetto pubblico possa essere gestito con criteri di economicità ed efficienza restando pubblico. E in quei settori come le poste, dove la concorrenza è in teoria possibile, devono essere approntati dei meccanismi per far si che essa sia di fatto realizzata, e una griglia normativa che impedisca a tutti i concorrenti di privare i cittadini dei servizi fondamentali. Rivoglio il mio CAP, subito.
(2 – fine – leggi qui l'articolo precedente)