di Fabrizio Cuccu
Sotto la direzione dell’acclamato direttore Antonio Pappano, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nelle date del 13 e 14 gennaio, commuove il pubblico con il Concerto n° 4 per pianoforte e orchestra di Beethoven e la Sinfonia n° 7 di Bruckner, presso l’Auditorium Parco della musica di Roma che si conferma, come sempre, polo di eccellenze e di eventi musicali di estrema qualità.
La prima parte del concerto, dedicato alla memoria del Maestro George Pretre, scomparso il 4 gennaio di quest’anno, già direttore dell’orchestra di Santa Cecilia e considerato uno fra i più grandi interpreti del nostro Novecento, è inaugurata dal grande Ludwig van Beethoven con il suo Concerto n° 4 per pianoforte e orchestra, un brano originale e avvincente che presenta, tra i cinque concerti per pianoforte e orchestra composti dall’artista, nell’arco della sua vita, un’interessante innovazione.
In questo suo concerto n° 4, infatti, Beethoven, sceglie di affidare l’enunciazione del primo tema al pianoforte invece che all’orchestra e proprio questa decisione trascina lo spettatore di fronte all’apertura di un sipario su un paesaggio di suoni che l’orchestra ripete e completa, realizzando una piena integrazione con il solista.
L’autorevole rivista dell’epoca Allgemeine musikalische Zeitung (Giornale musicale generale) definì il concerto come “il più ammirevole, il più singolare, il più artistico e difficile” e, anche sotto la direzione di Pappano, emerge un Beethoven non titanico ed eroico, ma dolcemente poetico.
Al pianoforte siede (non sulla tradizionale panca, ma su una sedia) il rinomato pianista Radu Lupu, definito da sempre come schivo, un grande solitario dotato di carisma ammaliatore, capace di sfumature ricercatissime e di profonda ispirazione.
Durante l’intensa pièce, Lupu dialoga con l’orchestra in modo incantevole, passando dall’affettuoso colloquio del primo movimento (Allegro Moderato) al più travagliato secondo movimento, dalla cui tensione, il pianoforte emerge con un’intensa e dolce melodia, una luce di ansiosa ma intima preghiera.
L’opposizione fra solo e tutti è ribadita nel finale, dove però il tono generale è quello di un divertito rondò. Lo spirito di danza pervade questo movimento ed il pianista mostra una bravura sempre intimamente legata a una forte necessità d’espressione.
Applaudito a lungo dal pubblico, Radu Lupu ha concesso un delicatissimo bis che ha animato l’intera sala avviando a conclusione la prima parte.
Si è così giunti alla seconda parte del concerto, stavolta dedicato alla Sinfonia n° 7 di Anton Bruckner, di cui esistono diverse revisioni ma che noi abbiamo ascoltato secondo la revisione di Leopold Novak.
Tale sinfonia ci trasporta sin dalle prime note nell’intensità della musica sinfonica centroeuropea del secondo Ottocento e, più precisamente, proprio nel mondo di Anton Bruckner, uomo profondamente mistico, autore anche di partiture sacre.
Ci troviamo così di fronte ad un tappeto sonoro di forte impatto emotivo, un mondo di suoni e colori incandescenti e malinconici.
La Sinfonia di Bruckner è costruita sui classici quattro movimenti, ma è l’intensità dei primi due a essere particolarmente coinvolgente.
Nel primo movimento, Allegro moderato, l’orchestra suona una melodia larga e malinconica in un’atmosfera non cupa ma pervasa di reminiscenze wagneriane.
Il successivo movimento (Adagio), invece, ci appare come un ologramma in cui vediamo la sovrapposizione di profonde malinconie.
Riferendosi egli stesso alla sua opera, Bruckner stesso, rivelò che l’idea dell’Adagio gli venne come presagio della morte di Wagner negli ultimi giorni della vita del grande maestro quindi aggiunse una Coda al movimento per esprimere un profondo senso di perdita, una sorta di ode funebre per il musicista da lui più venerato.
Potremmo definire il movimento come un grande arcobaleno sonoro che fa da ponte tra la vita terrena e l’armonia dell’universo, un cammino in cui finisce ogni lotta ed inizia un percorso di contemplazione e fede.
Nei successivi due movimenti (Scherzo e Finale) l’atmosfera si alleggerisce. Se lo Scherzo è squillante e sonoro, un momento di rigenerazione e positività, il Finale, anch’esso molto sonoro, è un crescendo di tensioni che aprono la vista su un orizzonte non delimitato nel tempo e nello spazio.
Il concerto è, senz’altro, un’imperdibile occasione per apprezzare una classica che non stanca mai e che, grazie all’abilità di Pappano, di Lupu e dell’Orchestra tutta, innamora sempre.