Tanaquilla è un’affascinante eroina etrusca che il Teatro Arcobaleno, dal 13 al 22 gennaio, nell’arco di due weekend nei giorni di venerdì, sabato e domenica, presenta al pubblico capitolino in un monologo portato in scena da Isabel Russinova per la regia di Rodolfo Martinelli Carraresi, che racconta la femminilità in chiave di ammaliante determinazione e, insieme, gli esordi di Roma, la nostra Città Eterna.
L’etrusca Tanaquilla, ci racconta Isabel Russinova nei panni dell’eroina vissuta nel VI secolo a.C., è stata sposa di Lucumone il greco, conosciuto ai più col nome di Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, come da profezia della sua consorte.
Il testo, di cui la stessa Russinova è autrice, è tratto dal volume Reinas, storie di grandi donne, edito da Curcio Edizioni nel 2016, e ce la svela seducente, colta, intelligente, ambiziosa e capace di leggere i segni. Una donna, Tanaquilla, dedita al marito, ma che, pur scegliendo di vivere nella sua ombra, ne indirizzò sapientemente l’agire decretando, per prima, la fortuna della Città Eterna.
La Russinova è sola sulla scena arredata con una sedia di stampo etrusco, ha un bracciale regale stretto al braccio e una fluente chioma bionda che le cade su una tunica d’antica foggia. Sono le luci ad arredare, con sapienza, quel buio mentre la sua voce narrante per un’ora e un quarto fa compagnia agli spettatori in sala.
Tarquinio Prisco, racconta Tanaquilla, amato ed acclamato dal popolo, regnò per ben 38 anni, un regno lungo e prosperoso, retto dalla sua generosità e dalla sua abilità militare. Lo aveva predetto Tanaquilla, quel giorno lontano, all’arrivo a Roma, nei pressi del Gianicolo, quando giunti nell’Urbe a bordo di un carro, un’aquila scese in picchiata a rubare il copricapo al marito, per poi tornare indietro a depositarlo nuovamente sulla sua testa. Non poteva che essere un segno d’investitura regale.
In effetti, sin dal suo arrivo in città, Tarquinio si fece strada grazie alle sue qualità e al supporto prezioso della moglie, tanto che, ben presto, il re Anco Marzio, chiese di conoscerlo e, nel tempo, decise di adottarlo, affidandogli l’incarico di proteggere i suoi figli.
Se questa fu la fortuna di Tanaquilla e Tarquinio, da qui giunse anche la loro disgrazia perché il maggiore dei figli di Anco Marzio, nella speranza di ottenere il trono che riteneva gli fosse stato usurpato dal pupillo di suo padre, organizzò un complotto per ucciderlo riuscendo nel suo omicidio.
Tarquinio cadde e Tanaquilla, alternando disperazione e fermezza, lucidità e strazio, sceglie, in quei momenti di raccontarci la sua storia in un monologo che, in realtà, è una riflessione intima che la nobile etrusca declama ad alta voce, parlando con se stessa, nel chiuso della propria stanza regale.
E’ un monologo, quindi, che ci presenta una Tanaquilla donna, moglie e madre, intenta nei suoi ragionamenti personali su ciò che è stato e su ciò che intende fare. Uno sguardo è al passato e l’altro rivolto a progettare un piano che riconsegni alla sua discendenza il trono rivendicato dall’assassino.
I piani del ribelle, di fronte a tanta intelligenza, non poterono che naufragare, arginati proprio da lei, la fedele e abile Tanaquilla, che, dopo aver aiutato suo marito a diventare re e a restarlo per decenni, fece in modo che il popolo romano eleggesse suo genero Servio Tullio come sesto re di Roma, ottenendo così un seguito regale per la sua discendenza e garantendo la futura prosperità di Roma.
Una donna eccezionale Tanaquilla che questo spettacolo ha il pregio di restituire alla città che lei stessa ha contribuito a rendere grande.
Di sicuro però, questo, è un monologo complesso e la sua intensità e la sua durata non lo rendono agevole per tutti. Tanaquilla, pur affacciandosi al pubblico, rispetta così la sua tradizione di eroina per pochi intenditori.