UIL: VALORIZZARE I MERITI PER RIDARE EFFICIENZA AL LAVORO PUBBLICO/2

Definizione degli incrementi contrattuali in continuità ed in analogia con i protocolli degli anni 2002 e 2005, ridefinizione dei comparti, piano di stabilizzazione del “precariato” nelle pubbliche amministrazioni, formazione e aggiornamento del personale tramite  un’offerta formativa arricchita e migliorata, semplificazione delle procedure di contrattazione e valorizzazione della contrattazione integrativa, previdenza integrativa: questi alcuni dei temi toccati da Paolo Pirani nella seconda parte della sua relazione al seminario Uil sul pubblico impiego svolto a Roma il 9 gennaio 2007. Obiettivo centrale, valorizzare il lavoro pubblico come strumento fondamentale per lo sviluppo sociale ed economico del Paese. 
di Paolo Pirani, Segretario confederale della Uil 

Abbiamo condotto a termine la riforma del rapporto di lavoro pubblico, con il decreto 29 del 1993.
Abbiamo dovuto superare le resistenze che pure c’erano nelle nostre organizzazioni e tra la nostra gente, le ostilità di altre organizzazioni – o sedicenti tali – e le reticenze di una politica che vedeva sconvolgersi un sistema al quale, nobilmente o meno, si era abituata e che essa stessa aveva alimentato e voluto.
La privatizzazione del rapporto di lavoro ed il principio della responsabilità dirigenziale sono stati affermati e sono divenuti istituti normativi.
Ancor oggi, il decreto 29, come rivisitato dal D. Lgs 165 – e successive modificazioni, è l’asse portante del lavoro pubblico.

Vogliamo rinnovare qui oggi questa sfida, e lo facciamo dicendo alcune delle cose che crediamo si possano  fare, e quale cammino proponiamo per farle.
L’indicazione per i contratti, di risorse importanti – e comunque molto maggiori di quanto era nelle prime riflessioni della finanziaria – è una vittoria del sindacato. Così come la difesa della biennalità degli effetti economici dei CCNL, e la fissazione di tempi certi – e sensibilmente più brevi di quelli che di fatto si realizzavano – per l’esigibilità dei contratti sono due dati positivi importanti.Se il Governo saprà e vorrà stringere i tempi – pensiamo alla sottoscrizione del protocollo sul lavoro pubblico che, ricordo, non può che partire dalla considerazione della valenza positiva della Pubblica Amministrazione e, in essa, di quella del lavoro e dei lavoratori.

Da questo momento di alta condivisione dovrà prendere avvio un serrato confronto che definisca impedimenti derivanti da norme di legge e modifiche legislative della cui promozione si farà carico il Governo.
Insieme, dovranno essere individuati criteri generali utili alla misurazione dell’efficacia e qualità dell’azione della Pubblica Amministrazione, prevedendo anche sistemi di valutazione basati sulla percezione di cittadini ed imprese.
In ciò potrà aiutare un approccio nuovo che tenga, ad esempio, conto delle riflessioni delle organizzazioni rappresentative degli utenti e delle parti sociali. Ovviamente, senza cedere a stravaganti modernismi che confondano i ruoli e le responsabilità amministrative e contrattuali delle amministrazioni pubbliche e del sindacato. Si possono ipotizzare vere e proprie conferenze di servizio per le diverse amministrazioni e i diversi enti, nonché la creazione di consigli di vigilanza ed indirizzo con la completa accessibilità e trasparenza dei risultati dei nuclei di valutazione esistenti.
Contemporaneamente, nel confermare appieno la valenza della contrattazione collettiva e della sua impalcatura strutturale, si dovranno definire indirizzi e temi sui quali i prossimi CCNL individueranno misure e norme conseguenti.

Cito alcune delle materie su cui il sindacato ritiene che si debba confrontare:

  • definizione degli incrementi contrattuali in continuità ed in analogia con i protocolli degli anni 2002 e 2005;
  • ridefinizione dei comparti, semplificandone il numero, e battendo le logiche separatiste e parcellizzanti;
  • piano di stabilizzazione del “precariato” nelle pubbliche amministrazioni, allo scopo di fissare le operatività necessarie ad applicare le specifiche norme della finanziaria e, cosa non secondaria, per evitare che, nei CCNL e nelle contrattazioni di secondo livello, qualcuno voglia innescare, ad esempio sul terreno delle risorse, una sorta di guerra tra poveri, i precari e gli stabili;
  • formazione ed aggiornamento del personale, materia che deve fare un salto di qualità generalizzato sia nella qualità-vastità dell’offerta formativa che nella previsione di risorse ad hoc;
  • previdenza integrativa, recuperando un immotivato e penalizzante gap relativamente all’impiego privato. Ricordo che il sistema previdenziale pubblico vede un progressivo abbassamento del tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra ultima retribuzione e pensione, che studi del Centro Analisi delle Politiche Pubbliche del Ministero del Lavoro prevedono, per il 2050, per un valore pari al 30%.;
  • politiche occupazionali, uscita anticipata dal servizio e pianificazione compartimentale del turn over, e mobilità, da considerare, e sostenere con norme specifiche, se strumento positivo di sostegno dei processi di riforma;
  • riassetto normativo-economico della dirigenza, della sua contrattazione e degli specifici sistemi di valutazione;
  • l’accesso all’impiego pubblico, per il quale deve restare privilegiata la via del pubblico concorso, ricercando nuove forme più modernamente adatte dei soli età e titolo di studio per individuare arruolamenti di qualità;
  • semplificazione delle procedure di contrattazione, ancora oggi, nonostante gli emendamenti passati in finanziaria, appesantite e subissate da troppi elementi pubblicistici;
  • qualità ed obiettivi della contrattazione integrativa, da valorizzare, quale occasione di riconoscimento  delle specificità di singola amministrazione e per il riconoscimento del livello d’impegno individuale.

Per questi motivi va aperta al più presto la stagione dei rinnovi contrattuali.
Vorremmo farlo, a valle di una grande intesa, che credo sia dovuta ai lavoratori pubblici, un grande patto, del quale ho accennato alcuni possibili tratti. E questo, per evidenti motivi di consequenzialità e di organicità.
Ma, se non sarà possibile, noi le contrattazioni le faremo comunque, e, ancora comunque, non cederemo di una virgola rispetto alle nostre idee ed alle nostre impostazioni.
I contratti dovranno consentire il pieno riconoscimento del ruolo del sindacato quale componente positiva per il funzionamento della macchina pubblica.
Di conseguenza, il sistema delle relazioni sindacali andrà potenziato in modo omogeneo – oggi da comparto a comparto è fortemente differenziato – e le contrattazioni integrative e decentrate dovranno essere liberate per consentire loro di garantire, nella singola amministrazione e nel singolo territorio, la migliore aderenza del servizio pubblico alle realtà specifiche.

Questa è la nostra sfida, non è il ritorno al vecchio. Non è statalismo ma è la necessità di far leva sul fatto che un lavoro sempre più personalizzato e intelligente è la chiave di volta di una società avanzata. Ed è in questo quadro più ampio che vanno riproposte le grandi questioni sociali. E’ partendo da qui che si capisce meglio la rinnovata centralità della questione sociale. Il capitale umano, la sua qualità, e la condizione per reggere questa sfida, è il lavoro qualificato che non solo richiede conoscenza ma crea, al tempo stesso, un nuovo contesto sociale più aperto e più civile. E quindi produce conoscenza. Così diventa chiara la necessità di un nuovo patto sociale basato non sulla precarietà e sullo svilimento del lavoro ma sulla sua valorizzazione. Realizzare tutto ciò comporta prima di tutto la ricostruzione di quel patto di cittadinanza senza il quale una comunità non sta insieme: l’uguaglianza della legge, l’equilibrio dei poteri e il rispetto delle istituzioni neutrali e di garanzia, la libertà di informazione e la separazione tra interesse pubblico e affari privati.
Al tempo stesso, va attuata la riforma e la modernizzazione del sistema istituzionale. Insomma un’opera non semplice di ricostruzione della democrazia italiana su basi più solide e sui valori di fondo condivisi. Basi, dunque, non soltanto politiche ma economiche e sociali.

Di qui la necessità di una nuova alleanza tra le forze più creative del lavoro, dell’impresa e dell’intelligenza, interessate a smantellare il grumo di conservatorismi vecchi e nuovi che attraversano la società italiana. Ma non può trattarsi di una riedizione della vecchia alleanza tra produttori, non solo perché al posto della vecchia società industriale c’è una società molecolare e dei servizi e, quindi, i grandi patti neo-corporativi non sono riproponibili.
Ma anche perché meno che mai i soggetti si definiscono solo in base al reddito, più che mai contano la coscienza di sé, i valori, la consapevolezza che i propri interessi immediati non sono difendibili se non in un contesto di espansione delle libertà.
Un’idea della libertà intesa come piena  possibilità di affermazione delle proprie facoltà, in un mondo nel quale sempre più la volontà di ciascuno di determinare il proprio destino lavorativo diventerà la condizione del vivere. Ed è evidente che la condizione per affermare se stessi è la cultura e la formazione, ma è anche la sicurezza come costruzione di nuove reti di protezione, come nuove funzioni pubbliche e come produzione di nuovi beni collettivi.

Quel che sarà l’Italia nei prossimi anni dipende anche da noi e dalle nostre scelte. Quanto più saremo capaci di guardare al futuro tanto più la nostra funzione dirigente sarà utile all’Italia.
Quanto più saremo fattore di coesione e di cambiamento, tanto più i cittadini si riconosceranno in noi e nella nostra politica.
Ed è con la consapevolezza di questa enorme responsabilità che noi della UIL dobbiamo guardare agli uomini e alle donne che da noi attendono risposta alle loro ansie, ai loro bisogni e alle loro speranze.
Che non il pregiudizio ideologico ci muova, né l’appartenenza politica ma in primo luogo l’amore per questa nostra Italia.

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