Personalmente sono tra coloro che speravano che al cambio di maggioranza facesse seguito un modo diverso, più serio e moderno, di affrontare i problemi della previdenza.
Purtroppo, stanno invece riconquistando la scena “i signori del taglio”, che stanno ottenendo un primo risultato negativo, di cui dovrebbero essere chiamati a rendere conto. Vogliono ritardare l’andata in pensione ma si muovono in modo così improvvisato e maldestro da spingere alla fuga coloro che hanno già acquisito il diritto alla pensione. Tornano, così, le “pensioni della paura”.
Nel frattempo non si aggiornano i calcoli, né si fa una seria riflessione su quanto la legge 335/95 (la legge di riforma della previdenza più comunemente nota come “legge Dini”) ha già fatto risparmiare e su quanto si potrebbe ancora risparmiare, applicandola integralmente e a tutti. Tra i politici e gli esperti c’è davvero troppa gente che ama discutere dei sacrifici a senso unico, quelli degli altri, e preferisce presentarsi al confronto con le carte truccate.
Consideriamo, invece, quella enorme massa di risorse definita oggi spesa previdenziale e dividiamola per tre: spesa per pensioni, spesa per assistenza e spesa per il sostegno alla produzione. In questo modo, sarà chiaro che per le pensioni in Italia non si spende di più che negli altri Paesi europei.
Facciamo, poi, un inventario serio dei settori non ancora coperti dall’armonizzazione e ci accorgeremo che la corretta e completa applicazione della legge 335 può fornire risultati importanti.
Decidiamo, allora, che anche ai deputati, ai senatori, ai parlamentari europei, ai consiglieri regionali, ai componenti delle Authority e alle altre cariche elettive o per nomina si applica la legge 335 e vale il principio di una pensione, e una soltanto, per tutto l’arco dell’intera vita lavorativa.
Introduciamo la totalizzazione completa di ogni forma di contribuzione, reale o figurativa che sia, andando oltre alla legge approvata recentemente e realizzando una sorta di ‘codice previdenziale personale unico’. Ciò vuol dire, concretamente, che qualsiasi tipo di contribuzione, di qualsiasi durata, proveniente da qualunque tipo di lavoro – indeterminato, determinato, tipico, atipico, dipendente o autonomo – deve confluire in una unica posizione previdenziale che il cittadino si porta dietro per tutta la sua vita lavorativa.
In questo modo si porrebbe fine alla inaccettabile situazione di privilegio dei beneficiari di cariche elettive che – ripeto – possono usufruire, legalmente, di diversi trattamenti pensionistici o vitalizi tutti costruiti nello stesso arco di tempo.
Si garantirebbe, inoltre, ai giovani, che cambiano ormai molte volte modalità di lavoro e di contratto e rischiano di avere pensioni assolutamente insufficienti, la possibilità di mettere insieme tutti i contributi in modo semplice e diretto.
Ai tanti che parlano di diminuire i costi della politica chiediamo di partire da qui, dall’applicazione a tutti della legge 335. Si potrebbero risparmiare molti soldi e dare un segnale visibile che si vuole voltare pagina. Si dimostrerebbe anche di aver capito che l’avvenire infausto per i giovani è evitabile cancellando i privilegi.
Sono francamente sorpreso dell’assordante silenzio delle donne, alle quali si vorrebbe innalzare l’età della pensione. “Vivono più a lungo degli uomini – si dice – perché mai dovrebbero andare in pensione addirittura prima?”. Questa è la motivazione ufficiale, più benevola e razionale dell’altra, sottintesa: “Avete voluto la bicicletta (la parità)? Allora pedalate”.
A entrambe queste motivazioni, si può rispondere con alcune verità elementari.
Le donne hanno redditi inferiori a quelli degli uomini (e di conseguenza pensioni minori) e sono schiacciate dal lavoro di cura, destinato a crescere anche in relazione all’allungamento della vita. Oltre all’attività lavorativa, infatti, si occupano dei figli, dei nipoti, dei coniugi (spesso più anziani), dei genitori e dei suoceri. Lavorano, quindi, di più e più duramente degli uomini, cominciano a farlo prima e continuano a farlo anche dopo la pensione, fino a quando conservano l’autosufficienza. E da anziane si ritrovano spesso sole.
Anziché uno sforzo, anche culturale, per impostare una riflessione a tutto campo sul rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro, tra lavoro riconosciuto e lavoro necessitato e obbligato, ci si attarda a proporre di portare l’età pensionabile obbligatoria a 65 anni, senza spiegare, oltretutto, quante sarebbero le donne, impiegate nei centri commerciali così come nelle fabbriche, a non essere licenziate prima di quella età.
In tutto il dibattito sulla sostenibilità del sistema pensionistico, l’attenzione va quasi sempre ai requisiti per la maturazione del diritto a pensione, cioè ai futuri pensionati, quasi mai ai pensionati attuali e alla loro condizione, purtroppo destinata a peggiorare a causa del meccanismo di adeguamento delle pensioni al costo della vita. Infatti da un lato abbiamo dei coefficienti Istat che nonostante le rassicurazioni ufficiali non riflettono adeguatamente l’andamento di un’inflazione che spinta dai prezzi del petrolio sta ricominciando a crescere. Non lo riflettono in generale ma ancor più per quanto riguarda la situazione degli anziani, che richiederebbe probabilmente un paniere a parte. Dall’altro lato c’è il fatto che l’adeguamento è comunque solo parziale, almeno a partire da certi livelli di reddito; con il risultato che il potere di acquisto dei relativi trattamenti pensionistici viene eroso progressivamente. Come sindacato dei pensionati avete in programma delle iniziative per affrontare questo problema?
In effetti, negli ultimi anni abbiamo assistito al progressivo impoverimento di milioni di anziani.
Le politiche del precedente governo di centro destra hanno, inoltre, prodotto una redistribuzione delle ricchezze e dei risparmi a tutto vantaggio dei redditi più elevati, mentre il reddito fisso, nelle sue varie forme, è stato duramente colpito.
Per questo, noi chiediamo al governo che le prime risorse disponibili siano utilizzate per aumentare i redditi da pensione e da lavoro, contribuendo così alla ripresa dei consumi e migliorando la condizione di milioni di cittadini che vivono ormai al di sotto o ai limiti della soglia di povertà.
Come Uilp, insieme ai sindacati dei pensionati di Cgil e Cisl, sollecitiamo da tempo l’apertura di uno specifico tavolo di trattativa in cui valutare l’incremento delle pensioni anche in rapporto alla crescita del Pil. La legge 335 del 1995, peraltro, ricollegandosi al decreto 503 del 1992, individua le modalità attraverso le quali sarebbe possibile ristabilire un collegamento delle pensioni alla dinamica dei salari e all’andamento dell’economia, prevedendo l’istituzione di un tavolo di confronto tra il governo e le parti sociali. Questo tavolo, tuttavia, più volte richiesto negli ultimi anni dai sindacati confederali dei pensionati, non è stato mai istituito.
In queste settimane, su nostra richiesta, abbiamo avuto incontri con esponenti del governo e della maggioranza, in particolare, con il Presidente della Camera Bertinotti, i ministri Bindi e Ferrero, il sottosegretario Patta, gli onorevoli Battafarano, Zanotti e Lucà. Abbiamo loro chiesto impegni precisi a favore degli anziani e dei pensionati nella stesura della legge finanziaria e nelle misure del governo. Altri incontri sono in programma.
Come Uilp, in particolare, riterremmo necessario: la modifica della normativa sulla perequazione automatica al costo della vita; la revisione radicale della legge che ha erogato l’aumento al milione di lire delle pensioni di importo più basso, così da rendere giustizia agli esclusi; interventi sulla leva fiscale (detrazioni e/o deduzioni collegate all’età anagrafica, restituzione del fiscal drag, tutela degli incapienti, innalzamento della no tax area, ecc.); politiche di contenimento dei prezzi e delle tariffe; incremento dei servizi alla persona gratuiti; agevolazioni sugli affitti e le spese connesse all’abitazione. Oltre, naturalmente all’istituzione di un Fondo nazionale e di una legge ad hoc a tutela della non autosufficienza, richiesta comune dei tre sindacati confederali dei pensionati, che a tal fine hanno anche elaborato una proposta di legge di iniziativa popolare – consegnata al Parlamento nel gennaio scorso, con oltre 540mila firme – la cui discussione è già calendarizzata alla Camera dei Deputati per il prossimo settembre.