PIERSANTI: I MALI DELLA SANITA’ VENGONO DALLA LOTTIZZAZIONE, ABOLIRLA E’ IL VERO RIFORMISMO

l'espresso

Che ci sia un giornalismo agguerrito, di denuncia e di ricerca, è una condizione importante perché un paese sia veramente democratico: Nixon sarebbe rimasto presidente fino al termine del mandato se non fosse stato per il coraggio di due giornalisti del Washington Post. Ma se per portare alla luce lo sfruttamento degli immigrati del terzo mondo, l'incredibile stato di alcuni ospedali o gli sperperi continuati di risorse pubbliche dobbiamo affidarci unicamente ai giornalisti dell'Espresso e di Report allora in Italia siamo veramente messi male. Della vicenda del Policlinico, che si presta a molte riflessioni su questo ed altri temi, abbiamo parlato con Felice Piersanti, già primario ospedaliero e profondo conoscitore e studioso dei problemi della sanità. Piersanti è stato anche direttore tecnico scientifico della sanità nella prima giunta Rutelli e coautore della prima proposta di servizio sanitario nazionale fatta dalla Cgil. Contrappunti ha pubblicato poche settimane fa un suo articolo su "La sanità impazzita"

Intervista di Giancarlo Fornari

Piersanti, a quanto pare chiunque può farsi passare per addetto alle pulizie e girare indisturbato l'ospedale un intero mese scoprendo armadi con sostanze radioattive a disposizione di tutti, nessun rispetto dei divieti di fumo perfino nei locali comunicanti con la terapia intensiva infantile, escrementi di cane non puliti nei corridoi e simili piacevolezze. Cose, però, che tutti noi sapevamo, a cominciare da governatori e ministri. Che, al solito, solo dopo questa denuncia si sono mossi mandando controllori e promettendo provvedimenti: con il rischio, forte, che una volta spento lo scandalo tutto rimanga come prima. Bisognerebbe invece per una volta andare a fondo delle responsabilità di queste situazioni. 

Individuare le responsabilità è complesso, perché presuppone un’analisi dello sviluppo della sanità in Italia partendo dal modo in cui si è realizzato il rapporto pubblico-privato, dalle tradizioni di correttezza nella gestione della spesa pubblica differenziate nelle varie regioni e altro ancora. Ma un primo tentativo di individuare le responsabilità è possibile.

Fino agli anni Novanta la sanità è stata gestita dagli Enti locali, tramite i Comitati di gestione nominati praticamente dai partiti. Dopo Tangentopoli, che coinvolse anche la sanità, la crisi del sistema dei partiti e l’egemonia ideologica del sistema manageriale e imprenditoriale furono le cause di un profondo rivolgimento della gestione della sanità, che si espresse nella legge di riforma proposta da Rosy Bindi. Si pensò, allora, di risolvere il problema dell’efficienza della sanità trasformando le Usl in aziende e affidandole a Direttori generali con ampi poteri, capaci di gestirle con metodi manageriali.

Così a prima vista non sembrerebbe una cattiva idea.

Certamente. Il guaio però è che così fu creata una figura con poteri che non hanno eguali nella società italiana. Infatti i Direttori generali delle aziende private sono sottoposti a verifica da parte di Consigli di amministrazioni e la verifica si effettua utilizzando una tecnica elementare, quella del risultato economico.
 
Nella sanità non è così?

Tutt'altro, i poteri dei Direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere sono amplissimi e quasi privi di controllo. Consistono innanzitutto nella nomina, a loro insindacabile giudizio, del Direttore sanitario, del Direttore amministrativo, dei Direttori dei dipartimenti e perfino dei primari. Nessun Consiglio di amministrazione li controlla.
Si tratta di un vero e proprio potere monocratico al quale non dovrebbero corrispondere solo privilegi, anche economici, data la notevole entità dei loro compensi, ma anche precise responsabilità.
Se, come è avvenuto nel Policlinico Umberto I di Roma, le cose vanno male; se  il Direttore generale, sempre rinchiuso nel suo studio, non è stato capace di controllare la struttura che dirige; se è lui che ha nominato un responsabile dell’igiene ospedaliera, il quale non si è accorto del degrado denunciato da un giornalista infiltrato per un mese nei reparti, di chi è la responsabilità? In primo luogo del Direttore generale. Da notare che nel Policlinico, pochi anni or sono, quattro cittadini operati per la più comune e banale degli interventi chirurgici, l’asportazione della cataratta, persero la vista per una infezione oculare. Con questi precedenti sarebbe stato necessario il più rigoroso e costante controllo delle condizioni igieniche dell’ospedale. Il controllo è stato effettuato, ma dal giornalista.
 
Le responsabilità sono tutte e solo dei Direttori generali?

Penso che accanto alle responsabilità primarie del Direttore generale ci siano altre responsabilità istituzionali. La legge Bindi che, come abbiamo visto, ha tolto ai Comuni la gestione della sanità, gli ha conservato i compiti di programmazione, verifica e controllo, che dovrebbero essere svolti dai delegati del Sindaco nelle Aziende sanitarie e direttamente dal sindaco nelle Aziende ospedaliere. A parte la programmazione, che in questa sede non ci interessa, l’esercizio dei poteri di verifica e controllo affidati ai sindaci in rappresentanza dei cittadini potrebbe prevenire situazioni di degrado quali quelle del Policlinico Umberto I. Ma il Sindaco di Roma nei confronti delle Aziende ospedaliere è stato completamente assente. Anche lui ha delegato il giornalista dell’Espresso.
E’ ovvio, naturalmente, riconoscere che la situazione di degrado e il cattivo funzionamento di alcuni ospedali dipende anche da altre figure professionali – il Direttore sanitario, i Direttori dei dipartimenti, i primari, i dirigenti del personale infermieristico – ma si tratta di persone scelte dal Direttore generale, al quale, quindi, spetta la responsabilità definitiva, visto che, in caso di inefficienza, ha il diritto-dovere di privarli della loro carica.

Il ministro della Salute è intervenuto con molta decisione a posteriori, dopo scoppiato lo scandalo. Ma neanche quello precedente aveva fatto nulla per ovviare a queste situazioni. Anzi… 

Sono d'accordo, il precedente ministro, riammettendo il doppio lavoro dei medici, ha contribuito a peggiorare in modo tragico la situazione degli ospedali. Ma in generale i ministri della Salute, anche quelli sicuramente animati dalla sincera intenzione di migliorare il nostro Servizio sanitario, intervengono con ritardo o non intervengono affatto perché non riescono, per la loro formazione, a rendersi conto dei danni provocati da quel complesso sistema di lottizzazione partitica della sanità, a cominciare dai Direttori generali, che rappresenta il vero male oscuro che ne impedisce il miglioramento. Sono  convinto che non si riuscirà mai a superare i problemi della sanità se non si procede a una verifica rigorosa delle attività delle aziende e della loro capacità di rispondere alle esigenze del cittadino malato. Ma questa verifica contrasta con i vari interessi di partito che si sostengono e si giustificano reciprocamente, determinando immobilismo e inazione.

Ci sono altre cose che è possibile fare?

Ci sarebbe molto da fare per migliorare la situazione, a cominciare dalla condivisione delle esperienze. Accanto ai casi disgraziati come quelli di cui si parla in questi giorni abbiamo per fortuna molti esempi di ospedali che funzionano in modo adeguato. Viene da sorridere pensando a quei presunti  “manager” che si divertono a organizzare convegni nei quali scimmiottano la terminologia delle aziende private, parlando di benchmarking. Un consiglio al ministro della Sanità: organizzi seriamente un po’ di benchmarking inviando i dirigenti delle aziende sanitarie e ospedaliere del Lazio, della Campania, della Sicilia a confrontarsi con le esperienze dell’Emilia-Romagna, della Toscana o della Lombardia, dove la sanità funziona meglio. E se non sono capaci di imparare la lezione chieda agli assessori regionali di sostituirli con altri scelti per le loro capacità e non secondo criteri di lottizzazione.

Una risposta può essere quella di eliminare le strutture ospedaliere obsolete?

Credo che sulla programmazione ospedaliera abbia pienamente ragione il prof. Veronesi. La medicina è cambiata radicalmente negli ultimi decenni, i vecchi ospedali sono superati. E’ indiscutibile che l’ambiente degradato favorisce il degrado. Bisogna programmare ospedali nuovi, supertecnologici, con degenze limitate a pochissimi giorni, affiancandoli con una grande rete diagnostica e alberghiera ed una efficace assistenza domiciliare. Alla fine di questa operazione ci sarebbe anche un vantaggio economico. Questo è il vero riformismo nella sanità, non quello che si basa sui tagli  della spesa e l’introduzione di ticket.

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