Dal canto nostro pensiamo che la cosa più opportuna sia far parlare direttamente Riccardo Lombardi riportando i brani più significativi del documento (consultabile nel testo originale nel sito www.fondazionebrunobuozzi.it).
Difendere "tutti" i lavoratori
"Compito (della confederazione) .… che non può limitarsi ad essere … soltanto quello della difesa e della rappresentanza degli interessi di singole categorie di lavoratori (d’ordinario quelle meglio organizzate o dotate, per circostanze diverse, di maggior forza di pressione politica ed economica), ma deve estendersi … alla rappresentanza e difesa degli interessi di tutto il popolo lavoratore: e aggiungiamo ancora non soltanto dei lavoratori già provvisti di lavoro continuativo o appartenenti a categorie ben definite economicamente e sindacalmente, ma altresì dei lavoratori potenziali, cioè principalmente dei disoccupati (..).
"Oggi l’esperienza del ventennio tra le due guerre mondiali ci avverte che le mutate condizioni economiche generali…rendono permanente in tutti i paesi un forte esercito di disoccupati; e ciò si noti bene non soltanto in relazione alle fasi di depressione della congiuntura economica (il che avveniva anche prima) ma altresì nelle fasi alte della congiuntura stessa. È questo un fenomeno del quale la politica confederale deve tenere il massimo conto se non vuole errare profondamente nella impostazione della sua azione sindacale.
La politica sindacale e i pericoli del tripartitismo
"Oggi … la realtà impone una vera e propria politica sindacale e fa della Confederazione, se essa si rende cosciente dei suoi compiti storici, il massimo organismo politico del Paese, portatore di una sua politica che può trovare e non trovare rispondenza nella politica dei diversi partiti, ma non coincide necessariamente con quella di nessuno fra questi.
"La prima richiesta perciò che noi facciamo alla Confederazione è quella di reagire nei modi e nelle forme opportune, con gradualità ma con continuità, contro la pratica crescente del sistema del tripartitismo (PCI, PSI e DC, n.d.r.) che non esitiamo a definire letale per il sindacalismo moderno.
"Troppi sono i casi … nei quali le elezioni delle cariche sindacali si fanno su liste concordate fra diversi partiti (e anche col nostro), defraudando di fatto i lavoratori del diritto di autoeducarsi nella lotta e nei contrasti e quasi codificando una loro incapacità a determinarsi spontaneamente senza la tutela dei diversi partiti politici; questa pratica minaccia di svigorire gli organismi sindacali, di renderli pallidi o non sempre convinti coadiutori della politica dei partiti.
Gli interessi dei disoccupati
"Nell’azione futura della Confederazione si dovrà dare sempre maggiore considerazione agli interessi dei disoccupati: abbiamo già altra volta, con il coraggio che ci ha sempre distinto nelle nostre posizioni, denunciato il pericolo che una politica salariale di determinato tipo potesse condurre ad una frattura – esiziale per la democrazia – fra operai occupati e operai disoccupati, ovvero – il che è un altro aspetto dello stesso pericolo – ad approfondire i contrasti fra lavoratori del nord e lavoratori del sud.
"È per questo, che, per portare un esempio, noi siamo stati e siamo ancora contrari alle richieste di aumenti generali di retribuzioni, aumenti che chiaramente, appunto per la loro generalità, si traducono per necessità in un aumento dei prezzi dei consumi delle classi popolari frustrando gli effetti benefici ripromessisi: che incidendo anche sulle industrie economicamente depresse costringono queste a chiudere o a mortificare la loro espansione con effetti negativi immediati sulla occupabilità di mano d’opera. Mentre invece siamo sempre stati e siamo pienamente favorevoli ad aumenti di retribuzioni nei settori economicamente attivi o suscettibili di maggior attività, settori i quali, appunto per la pratica corporativa degli aumenti o diminuzioni generali di retribuzioni, lucrano rilevanti rendite comprimendo i salari e gli stipendi alla stregua non già delle loro possibilità economiche ma di quelle delle industrie depresse.
Il blocco dei licenziamenti
"Per la stessa ragione … siamo contrari a mantenere il blocco dei licenziamenti nelle industrie depresse, blocco che si traduce in un abbassamento del rendimento del lavoro, in un aumento del costo di produzione e inevitabilmente conduce ad un aumento della disoccupazione nello stesso settore considerato, in quanto provoca necessariamente il fallimento, o, ciò che fa lo stesso, l’accollamento del passivo allo stato, e in tutti gli altri settori della produzione, perchè aumenta i prezzi dei materiali forniti a tutte le industrie in attività, senza considerare il danno che ne viene alle masse povere non qualificate e non protette in tutto il paese ma specie nel Sud, chiamate esse in definitiva a pagare con un aumento nel prezzo dei consumi elementari, la protezione assicurata ad una ristretta cerchia di operai privilegiati (povero privilegio certamente, ma sempre privilegio).
"Laddove invece una vera politica confederale moderna e conscia dei suoi compiti, avrebbe potuto principalmente rivolgersi a facilitare la smobilitazione in quei settori di industrie, predisponendo con opera continuativa e lungimirante le condizioni propizie per il riassorbimento della mano d’opera resasi libera dallo sbocco.
"Su questo così sensibile terreno, dobbiamo dire con rude franchezza che, a nostro avviso, l’opera della Confederazione è stata fino ad oggi particolarmente priva di un piano organico e conseguente, ispirandosi assai più a suggestioni di carattere politico che non all’esame obiettivo degli interessi permanenti dei lavoratori.
La politica annonaria e degli alloggi
"Come altrettanto caotica e per di più, troppo spesso consigliata da improvvisazioni, è stata spesso l’azione nei riguardi della politica annonaria e degli alloggi: per la prima Confederazione ha agito troppo avventatamente nel sanzionare e far proprie le rivendicazioni del tipo di quella del calmiere, escogitazione infantile nelle condizioni in cui si è pensato di formularla e che, per essere efficace, doveva essere inquadrata in ben altro sistema di provvedimenti economici (primo ed essenziale la sottrazione ai privati, mediante imposte, dell’eccesso di potere di acquisto detenuto dagli abbienti, che provoca direttamente il caro vita, e la lotta contro l’esportazione di capitali); per la politica degli alloggi si è incoraggiato il sistema dei blocchi indiscriminato: ora il sistema dei blocchi a nostro avviso va smobilitato, perché da tale smobilitazione dipende in gran parte l’occupazione della mano d’opera edilizia e in generale l’occupazione operaia; ma va smobilitato in modo da incidere per nulla o per pochissimo sui lavoratori a basso tenore di vita e da evitare che di provvedimenti giustissimi a favore di questi ultimi si facciano indebito scudo, per mantenere una situazione privilegiata, categorie ben diverse a favore delle quali il sistema attuale di blocco degli affitti gioca in misura ben più rilevante che a favore dei poveri.
L’esercito volontario del lavoro
"Si tratta sostanzialmente di un vasto programma di migrazioni interne che, bene organizzato e dotato dei mezzi, anche di una parte soltanto dei mezzi, di cui normalmente dispone un esercito anche di modesta efficienza, potrebbe costituire un contributo efficacissimo ad eliminare la disoccupazione risolvendo in pari tempo problemi di lavori pubblici che altrimenti non sarebbero possibili o, quando possibili, non sarebbero economicamente convenienti.
"Basti pensare a quello che si sarebbe potuto fare quando si manifestò contemporaneamente una forte restrizione della produzione del carbone di Sardegna per mancanza di mano d’opera mineraria e la disoccupazione quasi totale dei minatori delle miniere di ferro dell’isola d’Elba, ed ai vantaggi che si sarebbero potuti ritirare da un rapido spostamento di disoccupati, organizzati con sistemi di efficienza militare, organizzando cioè i trasporti, gli alloggi, i viveri e la assistenza collettiva. Ad un istituto di questo genere si dovrà inevitabilmente arrivare, date le prospettive di permanenza di una disoccupazione cronica specie di mano d’opera non qualificata: è della massima importanza non solo che si spingano gli organi pubblici in tal senso, ma che ad organizzare un simile istituto non siano organi burocratici ma organi autonomi e che godano della fiducia dei lavoratori.
"Il controllo pubblico sulle aziende
"È troppo chiaro che le condizioni obiettive in cui versa il paese in conseguenza del fascismo e della guerra non consentono e non consentiranno per un pezzo un reale elevamento del tenore di vita dei lavoratori. Da qui la ineluttabilità, per parecchi anni ancora, di forti sacrifici nel tenore di vita dei lavoratori una volta che una forte quota del nuovo reddito prodotto dovrà essere destinato, anziché all’acquisto di beni di consumo, all’acquisto invece di beni strumentali, del cui reddito si avvertiranno i benefici solo dopo anni. In queste condizioni è chiaro che anche un vasto sistema di nazionalizzazioni non risolverebbe il problema.
"Ai lavoratori però si potranno chiedere dei sacrifici solo se ed in quanto essi abbiano il controllo – e con esso il modo di influire – sulla gestione delle aziende e soprattutto – e questa è la cosa essenziale – sul modo in cui vengono reinvestiti i profitti. In sostanza i lavoratori possono consentire la formazione del profitto a un patto solo: che esso non sia dilapidato o male investito, che esso sia profitto-risparmio e venga speso non già nell’aumentare i consumi di lusso degli abbienti o in investimenti unicamente rivolti al maggior guadagno privato, bensì in modo che obiettivamente e controllatamente sia rivolto all’interesse del lavoratore; la ricerca di tali investimenti non si può lasciare all’interesse individuale dei privati ma deve essere indirizzata secondo un piano controllato dai lavoratori.
"Nella situazione attuale, a nostro avviso, gli investimenti dei profitti dovrebbero essere indirizzati in quel senso che assicuri il massimo di occupazione continuata al lavoratore. Per questo occorre impostare il problema del controllo pubblico sulla gestione delle aziende da servire non solo agli effetti fiscali, ma altresì agli effetti del controllo sulla bontà della gestione stessa e soprattutto del reinvestimento dei profitti. È questo un problema di enorme interesse per i lavoratori, e che non è risolto dai consigli di gestione, i quali nella migliore delle ipotesi – passata la fase rivoluzionaria – sono organi di collaborazione di classe agli effetti ristretti della azienda in singola e perfino troppo facilmente degeneranti in compromessi corporativi fra padroni e operai."