Un nuovo polo della cultura è stato inaugurato pochi giorni fa, a Roma, nella centralissima Via Giulia, ai civici 19-21. Si tratta dell’Off-Off Theatre, l’altro Teatro, un posto che il Presidente Antonio Venturi e il direttore artistico Silvano Spada vogliono rappresenti un’isola, come dice il nome stesso, “fuori”, “fuori” dalla stasi, “fuori” dalla routine, “fuori” dai soliti nomi della cultura, uno spazio dedicato ai giovani talenti, non solo in termini di età.
L’Off-Off nasce, quindi, dalla volontà di creare un nuovo spazio di libertà nella Capitale, che dia voce alla cultura producendo una mentalità diversa e un’atmosfera capace di allargare le fasce di pubblico mettendo in dialogo pubblici nuovi e diversi.
Quale spettacolo migliore per parlare di libertà e cultura di uno spettacolo sul carcere? E’ così che nella serata inaugurale del 20 ottobre, la direzione artistica dell’Off-Off ha scelto per il lancio del nuovo teatro, Dentro la tempesta, scritto e diretto da Salvatore Striano con Carmine Paternoster e Beatrice Fazi e scene di Alessandro Chiti, in scena fino al 29 ottobre.
Il tema del carcere è il perno del racconto. Nello spazio angusto e spoglio di due celle attigue con un wc in bella vista, Sasà (Salvatore Striano) e Carmine (Carmine Paternoster), due detenuti condannati per reati minori come furto, spaccio, detenzione d’armi e associazione a delinquere, scontano la loro pena, accomunati dalle origini partenopee e da un’amicizia nata tra le amare rinunce a cui la loro condizione li sottopone. Si sa, le amicizie nate tra le difficoltà, gettano radici forti e rappresentano un fondamentale sostegno per sopravvivere all’amaro dell’esistere e allo scorrere lento di un tempo di reclusione che appare infinito.
Seduta in platea, osservando attentamente i volti dei protagonisti, persi nei silenzi e nella frustrazione, il ricordo è subito andato al repertorio dei Presi per Caso, storica band, ideata e diretta da Salvatore Ferraro, nata a Rebibbia e poi trasferitasi fuori dal carcere, capace di raccontare con amara ironia, tra musica e canzoni, l’universo carcerario di chi vive il tempo fermo delle sbarre.
Il taglio dei Presi per Caso è ironico e molto diverso da quello più drammatico e serio di Striano, ma il senso ultimo è per l’appunto questo: la narrazione a chi sta fuori di ciò che avviene dentro. Con gli spettacoli Radio Bugliolo (2004) e Delinquenti (2005), entrambi per la regia di Michele La Ginestra, e Recidivo Recital (2008) per la regia di Enrico Maria Lamanna, e poi, ancora, con Nella mia ora di libertà (2012), i Presi per Caso hanno, da oltre un decennio, il merito di commuovere e divertire, emozionando il pubblico per avvicinarlo ai problemi dei detenuti, umanizzandoli e rendendoli meno distanti.
Lo spettacolo di Striano si inserisce, quindi, in maniera riuscita in questo filone, volto a raccontare la vita di chi sta dentro, a quelli che stanno fuori.
Insieme, sul palco, Sasà e Carmine, si fanno coraggio e affrontano la burocrazia disumana, la ripetitività alienante, la spersonalizzazione, la lontananza dagli affetti, le perquisizioni e l’ora d’aria, lo scorrere esterno della vita a cui, in bene e in male, non possono più partecipare.
Il penitenziario conosce solo le regole dettate con ferreo rigore dalla sua direttrice, algida e bella, quanto seria e dispotica, impersonata brillantemente da Beatrice Fazi.
Se Salvatore la osserva diffidente, in quanto personificazione stringente della disumana condizione carceraria in cui ogni singolo smette di essere una persona per diventare solo un detenuto, dall’altra parte Carmine, privato da tempo dei piaceri del sesso, fa di lei il suo sogno erotico, strappando all’amico qualche risata nella triste condizione in cui versano.
Carmine e Salvatore non tentano giustificazioni ai loro errori e riconoscono di aver sbagliato. Non cercano, insomma, né pietà né assoluzione. Cercano però un senso a questo mal di vivere che li tormenterà a lungo e si interrogano sull’utilità di questo tipo di pena che strappa un uomo all’essere uomo e non può quindi pretendere di renderlo migliore. Come dice Salvatore, ad un tratto, se uno ha tolto la vita a qualcuno, viene deprivato della sua stessa vita. Il carcere, insomma, è vendetta, non recupero.
Nel frattempo, l’unico spiraglio di libertà, nel chiuso della loro condizione, sembra farsi strada con la cultura, con i libri e la magia del teatro in un giardino del cortile del penitenziario, appena la Direttrice sembra comprendere che, invece di ingabbiare senza scopo chi nella vita ha sbagliato, per poi restituirlo uguale o addirittura peggiore al mondo esterno, si può dare la possibilità a questi uomini di un recupero, insieme all’occasione di mostrarsi diversi e di riscattare gli errori commessi.
“Un ramo non fa l’albero”, disse un giorno, mentre ero poco più che adolescente un professore di filosofia morale, sui banchi dell’università. Un uomo, insomma, è molto di più delle singole azioni che commette e un sistema di recupero dei carcerati permetterebbe alla stessa società esterna di vivere più serena, in vista della loro restituzione al mondo “libero”.
Questa frase che ha accompagnato anche la visione, al cinema, del bellissimo capolavoro Cesare deve morire dei fratelli Taviani, in cui proprio Striano fece la parte di Bruto, anche stavolta, è riemersa nella prima dell’Off Off, a racchiudere tutto il senso dello spettacolo, diretto e impersonato con maestria da Salvatore Striano, insieme all’ottimo Carmine Paternoster, che proprio dal carcere e dalla criminalità provengono, eppure sono diventati due grandissimi artisti.
Nemmeno in posti asfittici e alienanti come i penitenziari, il buono degli uomini scompare del tutto, nella vita vera, come in questi giorni all’Off Off, ma è sempre solo la cultura a poter toccare le corde dell’umano, risvegliando la fiducia nel proprio riscatto.
Con pathos, irruenza e desolante precisione, Striano colloca il suo spettacolo in un riuscito filone di sensibilizzazione nei confronti della condizione carceraria e concede un’ora d’aria a tutti quelli che lo vedranno.