Lo stretto di Messina è sicuramente uno dei tratti di mare più trafficati del mondo. E il traffico si è moltiplicato da quando le rotte dei traghetti che uniscono le due sponde sono intersecate non più solo da occasionali cargo sulla direttrice Genova/Suez ma dall’immensa mole di traffico portacontainer generata dal porto di Gioia Tauro.
- se il servizio fosse satellitare e superautomatizzato, cioè in grado di fermare automaticamente le navi potenzialmente in rotta di collisione (ce n’è, installati su tutte le barche di medio lusso…), sullo stretto non si navigherebbe più, o quasi (per una lontana idea del traffico, vedi la foto sotto il titolo o quelle qui sopra);
- il servizio attuale, quello chiuso al momento dell’incidente, prevede in pratica che dalla “torre di controllo” si contattino le navi “a rischio” – si presume dicendo loro in sostanza “occhio”, “frena”, eccetera;
- la dinamica dell’incidente e le foto degli scafi (se l'impatto fosse avvenuto con l'aliscafo in velocità, lo squarcio nel Segesta sarebbe diverso: vedi invece qui sotto com'è netto…) paiono dimostrare (ovviamente le conclusioni poi spettano alla magistratura…) che l’aliscafo abbia visto il traghetto, virato e frenato per evitarlo, finendo (forse proprio per questo?) sotto la prua del cargo sopraggiungente – tra l’altro, le poche testimonianze accreditano questa ipotesi, che scongiurerebbe peraltro il tentativo in atto di addossare all’unico che non può difendersi, il defunto comandante dell’aliscafo, tutte le colpe;
- questi, fra l’altro, era persona del luogo e molto esperta della navigazione in quel tratto di mare: che questo sia il fattore più di tutti in grado di garantire la sicurezza è dimostrato dal fatto che i cargo in transito da un certo tonnellaggio in su (purtroppo non quelli “piccoli” come l’investitore…) sono obbligati a cedere i comandi al pilota, uno esperto del posto che “abborda” con un rimorchiatore la nave, come in un qualsiasi grosso porto del mondo.
Il fattore tecnologico
Se lo stretto è un porto, è velleitario pensare che un sistema di controllo automatico radar sia risolutivo. Ma ciò non significa che non sia utile. La metafora adatta è di nuovo quella automobilistica: avere auto con l’abs, l’esp e mille altri marchingegni, fissare limiti di velocità e introdurre la patente a punti può essere utile, ma non esime dalla necessità di dare la patente solo a chi ha imparato a guidare bene. Si potrebbe anche sostenere che se si fosse fatto questo, anziché perseguire gli interessi delle lobby del petrolio, dei costruttori di auto e delle autoscuole vendi-patenti, forse ci sarebbero un decimo delle auto in circolazione e quindi non ci sarebbero né traffico né incidenti, ma non voglio spingermi a tanto. Il fattore tecnologico è importante e va perseguito: per cui ben venga, magari con parte dei soldi risparmiati per il ponte, una moderna “torre di controllo dello Stretto” modellata su quella degli aeroporti o delle grandi stazioni ferroviarie. Solo, non illudiamoci che sarebbe stata risolutiva per il Segesta, e quindi non pensiamo che sia sufficiente per la sicurezza.
Il fattore economico
Quello che serve infatti è un profondo ripensamento dell’intera area. È uno scalo obbligatorio, abbiamo detto? Dunque, pilotina per tutti i mezzi in transito, obbligo di aggancio alla “torre” anche per le imbarcazioni private di piccola stazza (non immaginate quante volte i traghetti sfiorano le barche dei pescatori e dei turisti…), ma soprattutto un piano di investimenti per tutta l’area dello Stretto.
Il ragionamento è semplice: se già il servizio attuale rende inutile la costruzione del ponte (ci sono code agli imbarchi solo per pochi giorni l’anno, e il ponte chiuderebbe per vento molto più spesso di quanto i traghetti si fermino per mare grosso…), cosa succederebbe con un servizio di traghettazione moderno ed efficiente? E cosa bisogna fare perché lo diventi?
Da tempo i cittadini di Messina e Villa San Giovanni si lamentano perché è proprio su di loro che ricadono gli svantaggi maggiori dell’attuale sistema: quando si creano code, esse vanno a ripercuotersi nel tessuto urbano delle due città, e anche quando il traffico è scorrevole è fonte di un enorme inquinamento atmosferico ed acustico. Urge quindi la costruzione di due nuovi imbarcaderi per i traghetti, più distanti dai centri abitati e meglio attrezzati per i mezzi in transito e in sosta. La nuova dislocazione dovrebbe fra l’altro evitare l’incrocio delle rotte tra i mezzi sulla rotta da e per Villa San Giovanni e quelli sulla rotta da e per Reggio Calabria, incrocio che è, oggettivamente, una delle cause della recente tragica collisione (il grafico di Repubblica.it, giocoforza non preciso, rende bene l'idea).
L'altrettanto urgente rinnovo del “parco macchine” (alcune delle navi sono visibilmente vecchiotte…), in un quadro di infrastrutture rinnovate, e quindi di nuovi margini di redditività per il servizio, forse non necessiterebbe nemmeno di incentivi. E in questo contesto il radar sarebbe solo il fiore all’occhiello di un sistema di trasporti integrato nell’area dello Stretto che da un lato sarebbe degno di un Paese industrializzato, dall’altro farebbe da volano alla creazione di quella Città Metropolitana dello Stretto di cui i politici di tutti gli schieramenti parlano da decenni ma che di fatto esiste solo nella testa di quelle migliaia di messinesi e reggini che vivono, per motivi di studio lavoro svago affetti eccetera, l’altra città come un quartiere periferico della propria.
Per inciso, e per chiudere, il nuovo imbarcadero di Messina, dotato di adeguato interporto, dovrebbe fare da terminale anche ad una potenziata rotta da Napoli o Salerno, cui già oggi molti automobilisti ricorrono piuttosto che rischiare la pelle sulla A3, e cui domani dovrebbero essere OBBLIGATI a ricorrere tutti coloro che volessero ancora portare dei TIR in Sicilia. Altro che ponte!