Articolo di Marco Vitale (da il Riformista, 23-01-2008)
Del "mastellismo", come fase suprema del "partitismo", il ritratto forse più penetrante, che ne è stato fatto, è quello tracciato da Giancarlo Fornari in un libro prezioso (L'imbarbarimento del linguaggio politico, Ediesse, 2006). Vale la pena di rileggere alcuni suoi passaggi. «Di pari passo con il mascheramento si diffonde un nuovo costume politico che potremmo chiamare mastellismo. Un genere di trasformismo da non confondere con il classico trasformismo che dall'epoca di Giolitti ha inquinato tanta parte della politica italiana. Con il trasformismo, fenomeno sempre attuale, si cambia casacca passando dal centro alla destra o alla sinistra o viceversa, spesso come reazione a qualche sgarbo di tipo clientelare o elettorale.
"Con il mastellismo non si espatria, si rimane nel proprio schieramento ma sempre con i piedi sul confine e le valigie in mano. "Non volete darmi quello che chiedo? Non fate quello che dico? Ebbene, io resto con voi, però non potete aspettarvi che sia un alleato disciplinato. Vi darò il mio appoggio ma sarà tutt'al più un appoggio esterno, condizionato". Ci si colloca in questo modo in una posizione borderline sul mercato politico, una posizione che dà potere e consente di ottenere risultati – tipo un importante posto da ministro, la presidenza di una commissione della Camera o magari, perché no, la stessa presidenza della Camera – cui altrimenti non si avrebbe titolo. Il vero mastellismo doc non è naturalmente quello una tantum ma quello permanente che abita la no man's land e si spinge fino al confine senza mai varcarlo completamente in modo che il pericolo di abbandono, seppure improbabile e però sempre possibile, possa dar luogo a una negoziazione continua e quindi a successive lucrose plusvalenze politiche". (..)
"Giocato fino in fondo il mastellismo – che ovviamente non nasce con Mastella ma trova in lui, grazie alle sue superiori doti, il caposcuola e l'interprete più autentico – si esprime nella capacità di comunicare al meglio le proprie diverse identità, di recitare allo stesso tempo più ruoli in contraddizione tra loro, di essere insieme governo e opposizione, governante e governato, contestatore e collaboratore, ministro e tifoso, e magari tifoso della Juve però anche della Roma e perché no della Lazio per essere amico di tutti e non scontentare nessuno.
"L'Udeur del resto, per esplicita definizione del suo leader-fondatore è "un partito prepolitico, basato sulle amicizie personali". E il 3 settembre 2006, alla festa annuale del partito, la paragona alla forza Onu nel libano: "Siamo una forza di confine, non spariamo contro chi sta dall'altra parte ma evitiamo anche che ci sia un'offensiva dei nostri contro gli avversari" (e per questo dichiara di opporsi fermamente a una legge sul conflitto di interessi che danneggi l'ex premier Berlusconi).
"Ecco allora che acquista senso il neo-ministro della Giustizia Mastella che prima ancora di discutere l'indulto in Consiglio dei ministri va ad annunciarlo a Regina Coeli insieme ad Andreotti ricevendone in cambio acclamazioni da stadio e canta "O sole mio" insieme ai detenuti; il ministro della giustizia che si presenta come testimonial televisivo a difesa dell'ex d.g. della Juve Moggi, indagato per associazione a delinquere («è un mio amico»); il ministro che afferma che l'indulto non è materia di governo ma del parlamento e poi quando è stato approvato se ne appropria («ho vinto») e lo definisce «un successo dello spirito laico» ma lo dedica a Giovanni Paolo II."
Osserva correttamente Fornari: «L'espandersi del mastellismo non è ovviamente un accidente del caso ma rappresenta il frutto avvelenato di un sistema elettorale che ha assegnato alla maggioranza un cospicuo premio elettorale alla Camera e glielo ha negato al Senato. Un meccanismo escogitato dalla maggioranza al potere nella scorsa legislatura proprio per assicurare la destabilizzazione del sistema in caso di vittoria dell'opposizione. Si creano così mini-aggregazioni politiche che si uniscono o si separano caso per caso dalle loro maggioranze, partiti formati da tre-quattro-otto persone o addirittura partiti individuali, che nelle occasioni decisive monetizzano il loro potere di interdizione. Il ruolo di Ghino di Tacco, che il vecchio Craxi interpretava avendo però alle spalle un vero partito, è oggi ricoperto da personaggi che in molti casi, al di là dei segretari di partito che li hanno messi in lista, e dei loro simpatizzanti, hanno alle spalle solo la loro ombra».
Ecco allora tracciate le linee di fondo sulle quali bisognerebbe muoversi. In primo luogo occorre una legge elettorale che assorba ed elimini questi partitini tribal-familisti che non hanno altra ragione di esistere se non quella di occupare posizioni di potere e di affari. Ma non basta. Bisogna ripensare il concetto di politica. È stato detto giustamente (Mancino): «È politica degenerata quella che decide tutto. Anche i posti alle Asl». Questa politica genererà sempre scontri e conflitti: con la magistratura, con i giovani, con i consumatori, con i malati, con chiunque soffre per questa indegna ed indecorosa politica. Non c'entra il moralismo. C'entra che a furia di affidare Asl, aeroporti, porti e via dicendo agli amici in quanto amici, il Paese non funziona e affonda. E, dunque, cerca di ribellarsi. La ribellione maestra sarebbe il voto. Ma il voto è uno strumento che la casta ha resto molto debole. Infatti "la politica degenerata" non è monopolio del mastellismo ma è trasversale; con l'esercizio del voto non si possono più promuovere o bocciare le persone; l'opposizione è quasi sempre inesistente sui fatti concreti; con il "pizzo del voto" è più facile stare in sella che con il buongoverno.
Guardiamo a Napoli. È evidente che Bassolino e Jervolino, in qualunque paese civile, dovrebbero dimettersi. Ma chi c'è dietro a loro che si sta preparando sui fatti concreti e che ha le soluzioni reali da proporre, qualcosa che sia più forte del "pizzo del voto"?
Tra le tante bestemmie che si sono sentite in questi giorni, si è sentito ripetutamente un parallelismo tra il mastellismo e lo "spoil system" americano. Lo "spoil system" americano interessa un numero preciso e limitato di posizioni di governo, alle quali possiamo aggiungere qualche premio di prestigio (ambasciate e simili) ai grandi elettori. Ma nessun presidente federale o governatore degli stati americani e tanto meno i loro partiti si sognerebbe mai di nominare, per meriti politici e di appartenenza, direttori di ospedali o di aeroporti. E se anche si sognassero di volerlo fare il sistema glielo impedirebbe. Dunque bisogna, una volta per tutte, introdurre delle innovazioni istituzionali per impedire che le mani della politica, quelle fetide, si stendano su tutto e su tutti. Di questo sta morendo il nostro Paese. Dobbiamo essere grati al mastellismo: è uno specchio posto di fronte a noi tutti.