Fino al 25 febbraio all’Ambra Jovinelli Uno Zio Vanja con Vinicio Marchioni e Francesco Montanari
“Ti si accostano ghignando, ti guardano in cagnesco, ti squadrano, ti etichettano: «Questo, è uno psicopatico» oppure «Quello è un parolaio». E quando non sanno che etichetta appiccicarti in fronte, dicono: «È un uomo strano, proprio strano!» Amo le foreste: è strano. Non mangio carne: anche questo è strano. Un rapporto diretto, pulito, libero con la natura e con la gente non c’è più…”
(Anton Čechov, Zio Vanja)
Un grande classico varca il sipario del Teatro Ambra Jovinelli ancora fino al 25 febbraio. Vinicio Marchioni, regista ed interprete, sposta l’azione dalla piantagione originaria cechoviana all’Italia, in un paese distrutto dal terremoto: cuore del dramma un vecchio teatro di provincia alle prese con le difficoltà di sopravvivere non solo alla morte territoriale, ma ancor di più a quella sociale e culturale, in un paese ormai sopraffatto dall’inedia, da qualunquismi e pregiudizi che ora più che mai prendono forza. Una vecchia balia, Sebrijakov il professore scorbutico ed infelice, sua figlia Sonja ed il suo amore non corrisposto per Astrov, un medico insoddisfatto e ormai stanco, Zio Vanja con la sua sensibilità ed il dolore per un’esistenza affannata, la superba radical chic zia Marjia, Elena la seconda moglie del professore. Così Uno Zio Vanja prova a raccontarsi.
La scena di Marta Crisolini Malatesta si apre nella sala di un teatro, qualche costume appeso da una parte, uno squarcio sul fondo che mostra la distruzione, morale soprattutto, un tavolo e qualche sedia. Da qui parte l’azione, uno scambio da subito molto concitato che fa immergere in un mondo che non c’è più, una completa perdita di valori e quella delicatezza di un tempo che adesso appare completamente smarrita. I protagonisti si fanno conoscere da subito con i loro caratteri ben definiti, ognuno si racconta e si presenta. Francesco Montanari, irreprensibile nella sua interpretazione di Astrov, Vinicio Marchioni splendido nel ruolo di Zio Vanja e l’ottimo Lorenzo Gioielli nei panni di Sebrijakov sono il perno maschile intorno cui ruotano le figure femminili della bella Elena e della giovane Sonja.
“I temi universali della famiglia, dell’arte, dell’amore, dell’ambizione e del fallimento… sono il centro della messa in scena” dice il regista “Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita?”. Eh già, cosa rimane degli entusiasmi della giovinezza una volta che la routine inizia a fagocitare ognuno di noi, quando tutto quello che sognavamo diviene sempre più una chimera? Čechov rimane ancora oggi un maestro, un drammaturgo che è stato capace di porre questioni annose, di metterci di fronte grandi interrogativi con la forza del teatro.
Qui dell’opera di questo autore si respira forse l’intenzione profondissima, pur con qualche incertezza che a tratti lascia un po’ perplessi. Peccato. Di sicuro però le debolezze umane descritte da Čechov emergono con chiarezza ed i grandi, enormi temi, che chi conosce l’autore è abituato ad affrontare, tornano ancora una volta protagonisti assoluti della pièce. Le sfaccettature dei personaggi divengono quasi archetipi di una visione del mondo contrastante, da un lato l’emozione e la voglia di fare, le speranze giovanili, dall’altro il senso di fallimento e di impotenza derivati dall’età. Uno Zio Vanja è un bel progetto che necessita ancora di qualche limatura, manca un po’ forse di quella freschezza che ci si sarebbe aspettati, ma che di sicuro si fa apprezzare per le necessarie riflessioni che stimola.