Lettera aperta a Joaquin Navarro Valss, opinionista de “La Repubblica”
p.c. a Ezio Mauro e Eugenio Scalfari, direttore e fondatore de “La Repubblica”
A cominciare dal passo in cui Lei scrive di non comprendere il significato del testamento biologico. “Una persona che vive in uno stato temporaneamente prolungato di vita vegetativa non è capace di vivere attualmente una vita cosciente. E tuttavia si sostiene che malgrado tale stato di vita cosciente non ci sia più, la sua volontà passata – riportata dalla testimonianza di altri – debba valere lo stesso per decidere la sua vita e la sua morte futura. Tutto questo è poco comprensibile”.
Sembra strano, Monsignore, che Lei abbia difficoltà a capire cose tanto elementari. Proviamo a spiegargliele in modo semplice, ci segua e vedrà che capirà anche Lei.
Per fortuna abbiamo ancora una Costituzione
Il Suo problema nasce dal fatto che come molti suoi colleghi d'oltre Tevere (ma anche come molti politici al di qua), non ha dimestichezza con la nostra Costituzione. All'art. 32 questa stabilisce espressamente che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Ciò significa che qualunque attività terapeutica, o presunta tale, deve sempre trovare l'approvazione del paziente (il cosiddetto “consenso informato”). Non siamo in un regime di dittatura sanitaria, se la cura proposta dai medici non ci sta bene possiamo rifiutarla, anche se dovesse andarne della nostra vita.
Per solito, naturalmente, ci sottoponiamo, più o meno convinti, alle cure che ci vengono proposte. Lo facciamo, però, di nostra volontà, non per obbligo. Anche se i concetti di libertà individuale a voi non piacciono tanto questa, caro Monsignore, è la nostra Costituzione. Così, ad esempio, un malato di tumore può decidere di non farsi più tagliare dai chirurghi e lasciare l'ospedale dopo aver firmato una liberatoria; un altro può rifiutare una trasfusione salvavita per motivi di superstizione religiosa; una donna (fatto realmente accaduto due anni fa) può respingere l'amputazione di una gamba pur sapendo che questo rifiuto la farà morire; è accaduto perfino che un Papa, che forse Lei conosceva, abbia detto “Ora basta, lasciatemi morire nella mia casa”.
Speriamo, caro Monsignore, che sarà d'accordo che queste decisioni non sono atti di suicidio ma libere scelte dell'individuo in merito alla propria esistenza. E il medico che accetta di non iniziare oppure di interrompere le cure non è un assassino. E' semplicemente uno che rispetta la volontà del paziente sapendo – proprio in base all'art. 32 – che costui “non può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Il testamento
Se ci ha seguiti fin qua, forse potrà capire un po' meglio le motivazioni del testamento biologico. Se, infatti, io sono arbitro di me stesso, e in piena coscienza posso decidere se accettare o rifiutare i trattamenti che mi vengono proposti, cosa accade quando invece dovessi trovarmi – per un malaugurato incidente o per una malattia totalmente invalidante – in una situazione di coma prolungato; se, quindi, dovessi perdere in modo irreversibile la capacità di intendere e volere? Dovrei, allora, non potendo esprimere alcuna volontà, rimanere puro ostaggio nelle mani dei medici, che potrebbero fare del mio corpo quello che vogliono, legarmi a qualunque macchina, prolungare artificialmente per anni e anni la mia vita animale? E qui entra di nuovo in ballo, se permette, la libera determinazione a cui fa riferimento l'art. 32. Ci può essere qualcuno – come per esempio Lei – che accetta tranquillamente l'idea di essere tenuto per diciassette anni in stato vegetativo irreversibile attaccato alle macchine o alimentato con le sonde gastriche – come la povera Eluana – e qualcuno – come chi scrive – che rifiuta in modo drastico un'ipotesi di questo tipo. Lei potrebbe desiderare di vivere ventisette anni in uno stato di Halzheimer totale, in cui non ha più alcuna funzione autonoma e le manca la minima coscienza di chi è Lei e chi sono quelli che le stanno accanto, affidato per tutti questi anni, giorno e notte, alla straziata carità dei suoi familiari? Buon per Lei, si accomodi. Per quanto ci riguarda – lo abbiamo scritto in una poesia in prosa intitolata “Testamento dell'Uomo-Albero” che è stata il primo “manifesto” dell'associazione “Libera Uscita” – non accetteremmo di sopravvivere neanche un anno in queste condizioni. E quindi auspichiamo ci venga data la possibilità di esprimere in via anticipata, con il cosiddetto testamento di fine vita o biologico, le nostre direttive circa i trattamenti che siamo disponibili ad accettare o non accettare in caso di malattia grave e irreversibile.
Del resto non mancano i precedenti in questo senso fuori dal nostro Paese. Può darsi Lei non sappia che a livello internazionale il testamento biologico è stato riconosciuto come valido dalla Convenzione di Oviedo, alla quale anche l'Italia ha dato la sua adesione. Ma quanto meno dovrebbe essere al corrente che proprio dal clero della sua Spagna – a quanto pare più avanzato di quello nostro, come quasi tutto ormai purtroppo in quel paese – arrivano opinioni del tutto contrarie alla sua e a quella del clero italiano, da sempre schierato “perinde ac cadaver” contro qualunque ipotesi di riconoscimento dei diritti di fine vita. Si dà il caso che invece in Spagna la Conferenza dei Vescovi non solo non sia contraria ma addirittura abbia elaborato un proprio modello di testamento biologico in cui si spinge ad affermare che “la vita in questo mondo è un dono e una benedizione di Dio, però non è il valore supremo assoluto”. E in un documento più ampio sulla difesa della vita si schiera contro l’eutanasia arrivando tuttavia a riconoscere al malato terminale il diritto a “decidere su se stesso”. In particolare il documento del Vescovi spagnoli, come può vedere dal loro sito, riconosce come propri della persona in fin di vita il diritto a una autentica morte degna; il diritto a non soffrire inutilmente; il diritto a che si rispetti la libertà di coscienza; il diritto a conoscere la verità sulla propria situazione; il diritto a decidere su se stesso e sugli interventi ai quali si dovrebbe sottometterlo. Lo chiami come vuole, ma dovrà ammettere che quello della Chiesa cattolica di fronte al testamento biologico – favorevole in Spagna, contraria in Italia – è un relativismo etico bello e buono, peggiore di quello che essa ama rimproverare a noi laici..
La dignità non c'entra
La cosa da sottolineare, comunque, è che in tutti i modelli di testamento biologico il punto discriminante non è rappresentato dalla decisione di soggetti esterni ma dalla volontà dell'interessato. Al contrario di quello che Lei ritiene la scelta di fine vita non è una questione di “dignità” ma di volontà. Se Lei decide che vuole stare ventisette anni in stato di coma vegetativo permanente, non è che qualcuno di noi viene e le stacca la spina perché giudica questa sua vita poco dignitosa. Per noi è una scelta assurda ma è la “sua” scelta, la rispettiamo, affar suo. Allo stesso modo Le chiediamo di rispettare la nostra scelta di non essere condannati a sopravvivere in modo artificiale in una vita che non è più vita ma solo uno stato animalesco, in cui lo spirito, la memoria, la coscienza, la mente, tutto ciò che forma la nostra individualità è irrimediabilmente perduto e ciò che rimane è solo il sostrato materiale su cui quella individualità era fondata.
Si tratta, ripetiamo, di scelte individuali. E quindi, ce lo lasci dire, Lei manca di onestà intellettuale quando sposta il discorso sulla considerazione della maggiore o minore dignità della vita insinuando che per i sostenitori del testamento biologico il problema sarebbe quello di stabilire se la vita altrui – ad esempio la vita senza coscienza – ha o no dignità e merita di essere vissuta e rispettata. Perché in tal caso, qualora si ritenesse che certe vite, tipo quella di Eluana, non hanno dignità, si potrebbe tranquillamente sopprimerle.
Questa è una versione totalmente falsata perché il problema (lo ripetiamo – ci scusi – per farci meglio capire) non è la dignità ma la volontà. Per intenderci: se si pensa, come chiede da sempre il padre e come hanno stabilito i giudici, che si debba mettere fine, dopo diciassette anni, al forzato e artificiale prolungamento della vita-non vita di Eluana, non è perché qualcuno dall'esterno giudichi che quella vita non è degna e che quindi la ragazza meriti la morte (come cerca di far credere Lei) ma perché è la stessa Eluana – stando a quello che hanno stabilito i magistrati – che ha detto che in quelle condizioni non avrebbe voluto essere obbligata a sopravvivere. E' la “sua” volontà, non quella del padre né quella dei giudici – si vada a leggere la bella e argomentata sentenza della Cassazione – ad aver precostituito questa soluzione.
Ovviamente in tutti i casi in cui una volontà di questo tipo non è stata manifestata le cose seguono il loro corso. Il malato è nelle mani del medico che decide secondo scienza e coscienza (e, come sappiamo, quando vede che non c'è più niente da fare pensa lui a staccare la spina più o meno surrettiziamente. Ma questo i sostenitori duri e puri della “vita a oltranza” fingono ipocritamente di non saperlo). Se, però, la volontà di far cessare l'accanimento terapeutico è stata precedentemente espressa dal paziente – meglio se in forma scritta, con tutte le garanzie del caso – il medico è tenuto a rispettarla. Per Lei invece non deve rispettarla per non diventare un assassino. “Altrimenti – conclude – l'alternativa è sostenere l'idea spartana che gli imperfetti si buttano già dalla torre. Sembrerebbe, in questo caso, di ascoltare l'eco della macabra sinfonia suonata il secolo scorso in alcune zone dell'Europa tra il '40 e il '45”.
La malafede
Ci permetta di dire, caro Monsignore, che questa conclusione non le fa onore. Assimilare i sostenitori del testamento biologico ai nazisti che uccidevano gli ebrei è un modo davvero meschino di polemizzare. E visto che parla di ebrei, ci costringe a ricordarle di quando erano proprio i suoi colleghi spagnoli e poi italiani, a cominciare dal suo glorioso predecessore e connazionale Tomàs de Torquemada, a processarli in massa insieme ai presunti eretici, omosessuali, illuministi, streghe. Non in base alle prove ma al semplice sospetto, perché le prove se le procuravano con la tortura, usata ampiamente per “ripulire l'anima”. E chi confessava veniva strangolato mentre chi non lo faceva veniva bruciato. Si contano 8.000 persone arse vive nei 18 anni di azione di Torquemada e almeno altri 32.000 morti – ma c'è anche chi parla di 135.000 vittime di quella “pulizia spirituale”. Quella “macabra sinfonia” di cui Lei parla, caro Monsignore Navarro, ve la suonavate e ve la cantavate voi, nelle lugubri processioni dei vostri autodafé. E a ben guardare questo della Chiesa cattolica, cos'era, se non una forma di nazismo ante litteram?
E infine, non sarebbe meglio che Lei prudentemente si astenesse dall'evocare quel regime, quando tutti sappiamo che se un certo Papa – che adesso state per proclamare santo – avesse avuto il coraggio di alzare la voce contro i suoi misfatti, forse la storia avrebbe potuto andare diversamente?
Per combinazione proprio ieri, sullo stesso giornale che le ha pubblicato quell'articolo che tanto poco ci è piaciuto, c'erano due notizie. La prima: “Sacerdote condannato per pedofilia, sposi chiedono annullamento delle nozze”. Si tratta di due coniugi che hanno appreso dai giornali di essere stati uniti in matrimonio da un prete che era stato poi scoperto essere un ignobile pedofilo, e la cosa li ha disgustati al punto da desiderare di ottenerne l'annullamento. La seconda notizia, sempre lo stesso giorno: “Preti pedofili, interrogato il vescovo”. Si tratta del Suo collega responsabile della diocesi di Santa Rufina, a cui il P.M. ha chiesto come mai non prese provvedimenti nei confronti di due sacerdoti colpevoli di abusi ai danni di bambini, limitandosi a trasferirli (così – come accadeva in America – potevano continuare a soddisfarsi con nuove vittime). Casi che sono la punta dell'iceberg di un fenomeno assai più diffuso e preoccupante. Domanda: perché, partendo da queste notizie, non ci fa leggere una bella riflessione sui rapporti tra pedofilia e clero cattolico: un tema di rilevanza etica non meno inferiore, ci sembra, del testamento biologico?
I nipotini di Pannunzio
Un'ultima domanda per gli illustri colleghi Scalfari e Mauro, per sapere come mai è stato loro possibile arruolare – come opinionista di una testata che si richiamava, almeno agli inizi, ai gloriosi precedenti laici e liberali dell'azionismo – l'ex Capo Ufficio stampa del Vaticano. Pluralismo? E perché non prendere come opinionisti anche la Binetti? Bondi? Pera? L'ateo devoto Ferrara? Chi se ne importa se il buon Pannunzio si starà rivoltando nella tomba.