(10.12.08) Se sequestrare una persona è reato, dovrebbe esserlo anche sequestrare capolavori dalla bellezza unica come le opere della collezione Torlonia, la raccolta di arte classica privata più importante del mondo. Degno discendente degli spregiudicati antenati che da modesti cambiavalute erano diventati i padroni di Roma prestando soldi a strozzo a papi, principi e cardinali, negli anni Sessanta Alessandro Torlonia, ottenuto il permesso di restaurare il tetto del palazzo di famiglia in via della Lungara, ha approfittato, già che c'era, per "restaurare" anche le sale interne, trasformandole in 93 miniappartamenti. Ma che fare delle sculture che ingombravano il palazzo? No problem, le ha ammassate negli scantinati. Sorte analoga è stata riservata agli straordinari affreschi che nell'Ottocento i suoi familiari avevano staccato dalla tomba Francois di Vulci, tenuti da allora in condizioni disastrose e – per fortuna – recentemente restaurati a spese dello Stato italiano. Rifiutati però ostinatamente dai Torlonia – dopo un breve periodo di esposizione nel castello ai margini del parco archeologico di Vulci – ai curatori di mostre di arte etrusca, come quella ora in corso a Roma al palazzo delle Esposizioni (chi può si affretti a visitarla, chiude il 6 gennaio). Di fonte a tanta arroganza sarebbe il caso che lo Stato provvedesse ad espropriare questa preziosa collezione, sistemando le statue greco romane in una sede adeguata (come potrebbero essere, ad esempio, i palazzi comunali di via dei Cerchi) e riportando gli affreschi della tomba Francois nei loro luoghi di origine, come da tempo chiede il comune di Montalto di Castro. Che ne dicono il ministro Bondi e il sindaco di Roma Alemanno?
Articolo di Antonio Scaglione
Il notevole successo della mostra sulla civiltà etrusca nel Lazio, attualmente in corso presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma, ripropone l'annoso problema della collezione Torlonia, la raccolta di arte classica privata più importante del mondo.
La mancanza – nell'interessante percorso espositivo – dei celeberrimi affreschi della tomba Francois, presenti solo in copia a causa del rifiuto dell'amministrazione dei beni Torlonia di metterli a disposizione dei visitatori nonostante siano stati di recente restaurati a spese e a cura della competente soprintendenza, dimostra ancora una volta l'assoluto disinteresse di tale amministrazione per il grande valore che i beni da essa posseduti possono avere per l'arricchimento culturale dei nostri giovani, per il turismo più evoluto, per l'intera collettività.
Ma cosa c'è tra gli innumerevoli reperti acquisiti, attraverso vicende spesso romanzesche, dagli spregiudicati banchieri Torlonia? Oltre agli affreschi staccati dalla tomba Francois – l'ipogeo più imponente tra tutti quelli scoperti nelle necropoli etrusche – la collezione vanta capolavori di valore assoluto come l'Atleta di Mirone, l'Hestia Giustiniani, l'Afrodite Anadiomene, il Diadumeno di Policleto, la Pallade di Porto, la colossale Testa di Apollo di Kanachos, il rilievo di Portus con la rappresentazione degli edifici, delle navi, delle divinità protettrici e della vita commerciale dell'antico Porto di Roma, insieme ad altre opere di squisita fattura come il sarcofago delle fatiche di Ercole e i ritratti imperiali, considerati dagli studiosi più importanti di quelli dei Musei Capitolini e Vaticani.
La mancanza – nell'interessante percorso espositivo – dei celeberrimi affreschi della tomba Francois, presenti solo in copia a causa del rifiuto dell'amministrazione dei beni Torlonia di metterli a disposizione dei visitatori nonostante siano stati di recente restaurati a spese e a cura della competente soprintendenza, dimostra ancora una volta l'assoluto disinteresse di tale amministrazione per il grande valore che i beni da essa posseduti possono avere per l'arricchimento culturale dei nostri giovani, per il turismo più evoluto, per l'intera collettività.
Ma cosa c'è tra gli innumerevoli reperti acquisiti, attraverso vicende spesso romanzesche, dagli spregiudicati banchieri Torlonia? Oltre agli affreschi staccati dalla tomba Francois – l'ipogeo più imponente tra tutti quelli scoperti nelle necropoli etrusche – la collezione vanta capolavori di valore assoluto come l'Atleta di Mirone, l'Hestia Giustiniani, l'Afrodite Anadiomene, il Diadumeno di Policleto, la Pallade di Porto, la colossale Testa di Apollo di Kanachos, il rilievo di Portus con la rappresentazione degli edifici, delle navi, delle divinità protettrici e della vita commerciale dell'antico Porto di Roma, insieme ad altre opere di squisita fattura come il sarcofago delle fatiche di Ercole e i ritratti imperiali, considerati dagli studiosi più importanti di quelli dei Musei Capitolini e Vaticani.
La collezione fantasma
Molte di queste opere provenivano dalle collezioni delle grandi famiglie romane – i Caetani-Ruspoli, i Carpi, i Cesarini, i Giustiniani – che quando si trovavano con l'acqua alla gola facevano fronte ai loro debiti con i Torlonia cedendogliele a prezzi di saldo. Molte venivano dagli scavi effettuati nelle immense proprietà dei Torlonia, come quelle di Canino e di Vulci (da cui provengono appunto i reperti etruschi) o dalle antiche ville romane saccheggiate dalla famiglia (come la "Villa dei Quintili" sull'Appia Antica, la più grande villa del suburbio romano, conosciuta come "Statuario" per la ricchezza delle opere d'arte).
La collezione era già off limits quando era custodita nelle sale del Palazzo Torlonia alla Lungara, tanto che si racconta che il grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli nel 1947, quand'era Direttore generale delle Antichità e delle Arti, per visitare il museo dovette addirittura travestirsi da spazzino. Ma dopo l'abuso edilizio compiuto da Alessandro Torlonia è diventata per tutti assolutamente invisibile.
Il Torlonia venne all'epoca ritenuto responsabile dalla Corte di Cassazione (Sezione III penale) del reato di rimozione abusiva di cose di interesse storico artistico sottoposte a vincolo ai sensi della legge n. 1089 del 1939; con la stessa sentenza, la Cassazione aveva ribadito che «il privato che abbia disperso o distrutto una cosa artisticamente protetta … è condannato al pagamento in favore dello Stato di una somma pari al valore della cosa perduta o della diminuzione di valore subìta per effetto del suo comportamento, secondo il dettato dell'articolo 59, comma 3, della legge n. 1989 del 1939».
Da allora, mentre la sentenza è rimasta inapplicata, l'intera collezione è stata sottratta alla pubblica fruizione ed è tuttora, come si è detto, ammassata senza alcuna garanzia di adeguata conservazione nei seminterrati delle proprietà dei Torlonia.
Gli affreschi
Torniamo agli affreschi della tomba Francois – così chiamata dal suo scopritore, il famoso archeologo fiorentino Alessandro Francois – destinata alla sepoltura dei membri di una facoltosa famiglia etrusca, i Saties, e arricchita da dipinti di bellezza paragonabile alle più celebrate pitture delle necropoli di Tarquinia, Cerveteri, Volterra. Nelle pareti della tomba – scavata nella roccia a ventisette metri di profondità – erano raffigurati ad opera dei migliori artisti dell'epoca episodi della storia etrusco romana (come la liberazione di Celio Vibenna) e della storia greca fino alla guerra di Troia (come il sacrificio da parte di Achille dei prigionieri troiani per vendicare la morte di Patroclo o come Aiace che minaccia con la spada Cassandra).
Gli affreschi – ridotti in uno stato penoso dall'incuria dei Torlonia e restaurati dalla soprintendenza alle Belle Arti – sono stati esposti per un breve periodo prima in Germania e poi, come si è detto, nel Museo del Castello della Badia adiacente al parco archeologico di Vulci: un sito recentemente riorganizzato che offre percorsi di grande bellezza non solo archeologica ma anche naturalistica – come il laghetto del Pellicone formato dalle cascate del fiume Treia – insieme al Castello della Badia con il vicino ponte etrusco sul Treia, detto “del Diavolo” per la sua forma ardita.
Il grande successo della esposizione degli affreschi tenuta tre anni fa nel Castello (33.000 visitatori paganti in 6 mesi) ha dimostrato quanto potrebbe essere importante, anche per lo sviluppo del turismo locale, la collocazione definitiva di questi capolavori nei pressi del luogo al quale erano destinati.
E' dimostrato che i turisti stranieri si fermano mediamente due, al massimo tre giorni nella capitale e poi ripartono per altri lidi; indurli a prolungare il loro soggiorno con escursioni nelle aree limitrofe, come il litorale della Tuscia, potrebbe contribuire molto all'economia laziale. E non a caso il comune di Montalto di Castro ha sollecitato più volte la regione Lazio e lo stessa famiglia Torlonia perché queste straordinarie opere potessero essere liberate dall'abbandono e destinate alla fruizione collettiva. Per l'acquisto erano pronti 7 milioni di euro offerti da una cordata formata da regione Lazio, Comune di Montalto e soprintendenza, cifra stimata congrua dalle perizie. Ma i Torlonia, che inizialmente sembravano disponibili, li hanno rifiutati. Il sindaco di Montalto Salvatore Carai e l'assessore al Turismo Gabriele Rossi hanno chiesto un intervento ai più alti livelli, al limite come quello fatto per il vaso di Eufronio tornato dal museo americano dei Getty grazie allo Stato. Ma inutilmente.
La collezione era già off limits quando era custodita nelle sale del Palazzo Torlonia alla Lungara, tanto che si racconta che il grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli nel 1947, quand'era Direttore generale delle Antichità e delle Arti, per visitare il museo dovette addirittura travestirsi da spazzino. Ma dopo l'abuso edilizio compiuto da Alessandro Torlonia è diventata per tutti assolutamente invisibile.
Il Torlonia venne all'epoca ritenuto responsabile dalla Corte di Cassazione (Sezione III penale) del reato di rimozione abusiva di cose di interesse storico artistico sottoposte a vincolo ai sensi della legge n. 1089 del 1939; con la stessa sentenza, la Cassazione aveva ribadito che «il privato che abbia disperso o distrutto una cosa artisticamente protetta … è condannato al pagamento in favore dello Stato di una somma pari al valore della cosa perduta o della diminuzione di valore subìta per effetto del suo comportamento, secondo il dettato dell'articolo 59, comma 3, della legge n. 1989 del 1939».
Da allora, mentre la sentenza è rimasta inapplicata, l'intera collezione è stata sottratta alla pubblica fruizione ed è tuttora, come si è detto, ammassata senza alcuna garanzia di adeguata conservazione nei seminterrati delle proprietà dei Torlonia.
Gli affreschi
Torniamo agli affreschi della tomba Francois – così chiamata dal suo scopritore, il famoso archeologo fiorentino Alessandro Francois – destinata alla sepoltura dei membri di una facoltosa famiglia etrusca, i Saties, e arricchita da dipinti di bellezza paragonabile alle più celebrate pitture delle necropoli di Tarquinia, Cerveteri, Volterra. Nelle pareti della tomba – scavata nella roccia a ventisette metri di profondità – erano raffigurati ad opera dei migliori artisti dell'epoca episodi della storia etrusco romana (come la liberazione di Celio Vibenna) e della storia greca fino alla guerra di Troia (come il sacrificio da parte di Achille dei prigionieri troiani per vendicare la morte di Patroclo o come Aiace che minaccia con la spada Cassandra).
Gli affreschi – ridotti in uno stato penoso dall'incuria dei Torlonia e restaurati dalla soprintendenza alle Belle Arti – sono stati esposti per un breve periodo prima in Germania e poi, come si è detto, nel Museo del Castello della Badia adiacente al parco archeologico di Vulci: un sito recentemente riorganizzato che offre percorsi di grande bellezza non solo archeologica ma anche naturalistica – come il laghetto del Pellicone formato dalle cascate del fiume Treia – insieme al Castello della Badia con il vicino ponte etrusco sul Treia, detto “del Diavolo” per la sua forma ardita.
Il grande successo della esposizione degli affreschi tenuta tre anni fa nel Castello (33.000 visitatori paganti in 6 mesi) ha dimostrato quanto potrebbe essere importante, anche per lo sviluppo del turismo locale, la collocazione definitiva di questi capolavori nei pressi del luogo al quale erano destinati.
E' dimostrato che i turisti stranieri si fermano mediamente due, al massimo tre giorni nella capitale e poi ripartono per altri lidi; indurli a prolungare il loro soggiorno con escursioni nelle aree limitrofe, come il litorale della Tuscia, potrebbe contribuire molto all'economia laziale. E non a caso il comune di Montalto di Castro ha sollecitato più volte la regione Lazio e lo stessa famiglia Torlonia perché queste straordinarie opere potessero essere liberate dall'abbandono e destinate alla fruizione collettiva. Per l'acquisto erano pronti 7 milioni di euro offerti da una cordata formata da regione Lazio, Comune di Montalto e soprintendenza, cifra stimata congrua dalle perizie. Ma i Torlonia, che inizialmente sembravano disponibili, li hanno rifiutati. Il sindaco di Montalto Salvatore Carai e l'assessore al Turismo Gabriele Rossi hanno chiesto un intervento ai più alti livelli, al limite come quello fatto per il vaso di Eufronio tornato dal museo americano dei Getty grazie allo Stato. Ma inutilmente.
Un abuso che dura da troppi anni
La segregazione forzata della collezione fantasma dei Torlonia è un delitto contro la cultura, contro l'arte, la bellezza. Le opere sono sotto vincolo, ma visto che sono state acquisite in un'epoca in cui il proprietario del terreno diventava anche proprietario dei ritrovamenti effettuati nel terreno stesso, sono tuttora private. Ma proprietà privata non vuol dire che il possessore possa farne ciò che vuole. La proprietà, lo dice anche la Costituzione, deve essere esercitata rispettando i fini sociali. E i beni culturali, in particolare, appartengono moralmente alle collettività nelle quali e per le quali sono nati, non possono essere sequestrati da privati che con disprezzo per il carattere universale dell'arte li nascondono nei seminterrati. Quello compiuto dai Torlonia su questi capolavori è uno scandalo infinito, visto che già nel 1990 Antonio Cederna su Repubblica ne faceva denuncia, definendolo “un vero e attentato contro il nostro patrimonio storico-artistico».
Da allora, nonostante la sentenza della Cassazione e nonostante tante parole, articoli, convegni, disegni di legge, interrogazioni parlamentari, la situazione di quei capolavori non è cambiata di una virgola da quando Alessandro Torlonia ebbe l'idea – degna di un vero principe – di trasformare in un residence il museo familiare.
Purtroppo, nessuno dei ministri dei beni e delle attività culturali da allora succedutisi ha ritenuto di procedere all'esproprio a titolo gratuito dei beni stessi, come gli avrebbe consentito la legge e la sentenza della Cassazione e neppure – avvalendosi della forza contrattuale datagli da tale possibilità – ha provveduto a intavolare con i Torlonia trattative serie per acquisire allo Stato, anche dietro compenso, la famosa collezione. Sulla quale circolano anche strane voci: si dice, ad esempio, che Silvio Berlusconi avrebbe tentato di acquistarla dai Torlonia per farne dono agli italiani ma si sarebbe tirato indietro a causa del prezzo eccessivo. Si dice anche che i Torlonia sarebbero disponibili a cederla ma solo a patto di ottenere il permesso di costruzione di un maxi parcheggio sotto Villa Albani.
La segregazione forzata della collezione fantasma dei Torlonia è un delitto contro la cultura, contro l'arte, la bellezza. Le opere sono sotto vincolo, ma visto che sono state acquisite in un'epoca in cui il proprietario del terreno diventava anche proprietario dei ritrovamenti effettuati nel terreno stesso, sono tuttora private. Ma proprietà privata non vuol dire che il possessore possa farne ciò che vuole. La proprietà, lo dice anche la Costituzione, deve essere esercitata rispettando i fini sociali. E i beni culturali, in particolare, appartengono moralmente alle collettività nelle quali e per le quali sono nati, non possono essere sequestrati da privati che con disprezzo per il carattere universale dell'arte li nascondono nei seminterrati. Quello compiuto dai Torlonia su questi capolavori è uno scandalo infinito, visto che già nel 1990 Antonio Cederna su Repubblica ne faceva denuncia, definendolo “un vero e attentato contro il nostro patrimonio storico-artistico».
Da allora, nonostante la sentenza della Cassazione e nonostante tante parole, articoli, convegni, disegni di legge, interrogazioni parlamentari, la situazione di quei capolavori non è cambiata di una virgola da quando Alessandro Torlonia ebbe l'idea – degna di un vero principe – di trasformare in un residence il museo familiare.
Purtroppo, nessuno dei ministri dei beni e delle attività culturali da allora succedutisi ha ritenuto di procedere all'esproprio a titolo gratuito dei beni stessi, come gli avrebbe consentito la legge e la sentenza della Cassazione e neppure – avvalendosi della forza contrattuale datagli da tale possibilità – ha provveduto a intavolare con i Torlonia trattative serie per acquisire allo Stato, anche dietro compenso, la famosa collezione. Sulla quale circolano anche strane voci: si dice, ad esempio, che Silvio Berlusconi avrebbe tentato di acquistarla dai Torlonia per farne dono agli italiani ma si sarebbe tirato indietro a causa del prezzo eccessivo. Si dice anche che i Torlonia sarebbero disponibili a cederla ma solo a patto di ottenere il permesso di costruzione di un maxi parcheggio sotto Villa Albani.
Non si sa quanto fondamento abbiamo queste voci. Sta di fatto che quelle meravigliose opere continuano ad essere sottratte in modo inaccettabile alla fruizione pubblica. La strada più giusta per portarle via dagli scantinati sarebbe naturalmente l'esproprio. Ma a quanto pare – ci piacerebbe tanto essere smentiti dal ministro Bondi – il nostro Stato è troppo imbelle per osare tanto.