Una larga parte della manovra finanziaria di quest'anno – realizzata sia attraverso due decreti legge, quello della cosiddetta manovra d'estate e quello “anticrisi”, sia con la legge finanziaria – è stata basata sui tagli alla spesa pubblica nei ministeri, nella sanità, nella scuola. Dando luogo – in quest'ultimo settore – a un vero e proprio movimento di lotta di studenti e docenti.
Diciamo subito che non abbiamo condiviso fino in fondo questa protesta. La scuola italiana è in posizioni disastrose nelle classifiche internazionale in più o meno tutti i settori, tranne che nella scuola elementare. Forse sarebbe stato meglio lasciarla tranquilla. Invece nell'Università e nelle scuole medie, se non vogliamo condannare il paese a una futura condizione di sottosviluppo, c'è un grande bisogno di riforme, ovviamente a condizione che siano realizzate in modo serio. Un primo obiettivo è senza dubbio limitare gli sperperi che anche qui esistono. Basta citare la proliferazione dei corsi e delle università. Oramai non esiste un piccolo centro che non punti ad avere almeno una qualche sezione staccata, non di agraria o informatica ma possibilmente di scienze della comunicazione, che tanto vanno di moda tra i giovani. In una università di provincia, non certo però l'ultima, in cui abbiamo insegnato negli anni scorsi, ci è capitato di fare lezione davanti a tre studenti, a volte due, perché il corso di laurea in cui era inserita la nostra materia, nuovo per quell'anno, era praticamente il duplicato di un altro già affermato. Sprecato il nostro tempo, sprecato il compenso, per quanto modesto, nostro e degli altri docenti, sprecato tutto l'impegno finanziario e organizzativo del corso.
Ma il problema non è solo quello, che preoccupa principalmente il ministro Tremonti, di controllare l'uso delle risorse, è anche e soprattutto quello di raggiungere una maggiore efficienza nel processo formativo in modo da risollevare la preparazione complessiva e il livello culturale dei nostri giovani. Quando si legge che i candidati al concorso in magistratura non solo fanno brogli ma commettono, nei temi, errori grossolani tipo scrivere scuola con la q, viene da domandarsi con tristezza come sarà questo paese tra una decina d'anni. Riteniamo che più ancora che alla destra, spetterebbe alla sinistra – almeno quella che proclama di ispirarsi ai principi del riformismo – farsi carico di questa grave situazione.
Le novità fiscali
Molto numerose, come sempre, le novità fiscali. Alcune finalizzate unicamente all'esigenza di fare cassa anticipando entrate che comunque sarebbero arrivate, all'insegna dei “pochi, maledetti e subito”. E' questo il caso della nuova possibilità di adesione ai verbali di constatazione e agli inviti a comparire: una scelta criticabile perché invece di puntare sull'adesione volontaria e sul ravvedimento spontaneo si finisce con l'incentivare l'evasione, divenuta ancora più attraente dopo che si sa di poter contare – nell'improbabile ipotesi di essere scoperti – su una riduzione quasi a zero delle sanzioni.
Nello stesso senso va lo smantellamento progressivo di tutte le misure che l'ex ministro Visco si era ingegnato ad inventare per controllare i movimenti di cassa degli operatori: dalla eliminazione della soglia massima di 5000 euro per l'utilizzo di contante e assegni trasferibili (portata a 12.500 euro) all'abrogazione dell'obbligo per autonomi e professionisti di utilizzare un conto corrente specifico per l'attività imprenditoriale e di altri obblighi strumentali quali la trasmissione telematica dei corrispettivi e la comunicazione dell'elenco clienti e fornitori.
Intendiamoci, l'ex ministro aveva probabilmente esagerato nella sua ricerca esasperata di strumenti di controllo che in molti casi non servivano realmente a contrastare le evasioni e in compenso causavano fastidi agli operatori onesti e ai loro clienti. Tra poco Visco, se fosse rimasto al governo, ci avrebbe obbligato a pagare con un assegno non trasferibile o col bancomat anche il tramezzino al bar. Tuttavia questa puntigliosa operazione di abbattimento di tutte le sue escogitazioni antievasione può essere facilmente interpretata come un segnale preciso per avvertire che la musica è cambiata, che l'attenzione sul fenomeno – anzi, per meglio dire, sulla piaga – dell'evasione non è più quella di prima. Un incoraggiamento di cui gli evasori non sentivano certo il bisogno. Anche se la manovra governativa prevede un rafforzamento dell'attività antievasione in alcune direzioni – verifiche più frequenti nei confronti delle imprese medio grandi, utilizzo più spinto dei controlli con il redditometro, rafforzamento dei poteri degli incaricati della riscossione – non sembra ci sia da essere ottimisti. Staremo a vedere.
Il potenziamento dei poteri della riscossione riguarda anche l'evasione da condono, ossia il mancato pagamento delle rate da parte dei contribuenti che si erano avvalsi delle sanatorie varate a tambur battente dall'allora ministro delle finanze Tremonti a fine 2002. E' vero, ci disse il loro autore, i condoni non sono una bella cosa ma portano soldi alle casse dello Stato, evitando la necessità di aumentare le tasse. La Corte dei Conti, con grande scorno di Tremonti, ha fatto sapere che negli incassi che dovevano arrivare da queste misure ci sarebbe un buco di ben 5,2 miliardi. Tale cifra, secondo il governo, andrebbe ridimensionata. Ma anche se fossero solo 3 miliardi, sarebbe sempre un'enormità. Con l'aumento dei poteri degli esattori adesso questi geni della finanza contano di recuperarne alcune gocce, e cioè 300 milioni l'anno per i prossimi tre anni. Anche questa forse una chimera, almeno stando al giudizio di alcuni commentatori.
I favori alle imprese
I tre provvedimenti della manovra traboccano di misure di vario tipo in favore delle imprese, tra cui quelle che depotenziano tutti o quasi i meccanismi di controllo fiscale messi in campo dal precedente governo, di cui abbiamo già parlato. A queste vanno aggiunti altri provvedimenti da tempo oggetto di rivendicazione del mondo imprenditoriale come la velocizzazione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione e la possibilità di pagare l'Iva al momento dell'incasso e non più all'emissione della fattura, insieme ad altre misure come l'ulteriore proroga – che ha suscitato le violente proteste delle associazioni dei consumatori – dell'entrata in vigore della class action, l'azione collettiva a tutela dei clienti danneggiati da un'impresa. Una particolare citazione meritano le misure che hanno cancellato i risultati del famoso protocollo sul Welfare introducendo ulteriori flessibilità in materia di contratto a termine e apprendistato.
Il bottino sarebbe davvero completo se i settori della maggioranza che da tempo premono per un depotenziamento degli studi di settore tramite il passaggio dell'onere della prova di sottodichiarazione dei ricavi dagli operatori al fisco, riuscissero nel loro proposito in sede di conversione del decreto. Riteniamo che se non altro per motivi di gettito non ci siano molte probabilità che Tremonti accetti di seguirli su questa strada.
Tagli ma non per tutti
Per concludere il discorso dei tagli: non è stato certo opportuno l'aver stabilito una riduzione lineare di risorse dei vari ministeri senza distinguere tra settori di spesa produttivi e meno produttivi. L'ulteriore abbattimento dei fondi per la ricerca – in un paese già penultimo in Europa – è una scelta ancora più negativa. Come lo è (in un paese largamente dipendente dall'estero quanto alle fonti di energia) la decisione di limitare il bonus per i risparmi energetici, e di farlo, oltretutto, in modo retroattivo, con cinica indifferenza di fronte ai gravi problemi che si creeranno – se la norma non verrà cancellata in sede di conversione – ai danni degli almeno centomila contribuenti che si sono impegnati in interventi di questo tipo nel corso del 2008. Mentre continua invece a mancare qualunque misura di contenimento dei costi spropositati della cosiddetta casta, la classe politica più numerosa e meglio pagata dell'intero mondo occidentale. Che anzi aumenta le sue pretese, se è vero – come riferito nelle scorse settimane dal quotidiano Italia Oggi – che i bilanci di Camera, Senato e Presidenza della Repubblica prevedono per il 2010 aumenti di spesa per oltre 29 milioni di euro. Anche i tagli alla sanità, sempre dolorosi, sono privi di qualunque misura tendente a rendere meno rilevante l'influenza della politica, che continua a rappresentare una fonte di sperperi e di clientelismo, oltre che spesso di corruzione, in questo delicato settore.
Lo scandalo degli aggi
Un'altra cosa che fa a pugni con la politica dei tagli realizzata con i due decreti è il regalo fatto alle società incaricate della riscossione, che si vedono generosamente aumentare il loro aggio – finora contenuto tra il 6,5 e il 7% – fino a ben il 10 per cento. Con un colpo di mano degno dei manipolatori del gioco delle tre carte nei banchetti del mercato – “la mano è più veloce dell'occhio” – Tremonti e il suo probabile ispiratore Befera hanno stabilito (all'art. 32 del decreto anticrisi) che l’attività degli agenti della riscossione sarà d'ora in poi remunerata con un aggio pari al dieci per cento delle somme iscritte a ruolo e dei relativi interessi di mora. Se il debitore paga oltre i sessanta giorni dalla notifica della cartella, l'aggio del 10% è interamente a suo carico. Se, come accade nella maggior parte dei casi, paga nei termini, la percentuale di aggio da lui pagata si riduce al 4,65% ma l'esattore – assurdamente – incassa lo stesso il 10%. E chi gliela dà la differenza? Che domande, gliela dà lo Stato. Il quale si arrabatta, investendo enormi risorse, per scoprire gli evasori, li individua dopo anni, passa i loro elenchi agli esattori, il cui unico compito consiste nell'inviare agli indirizzi degli evasori un avviso di pagamento. A questo punto il contribuente scoperto paga e sulle somme così faticosamente riscosse lo Stato (o il Comune, se del caso) devono regalare il 5,35 per cento di questa somma agli esattori. Veramente geniale.
E' augurabile che in sede di conversione le Camere abbiamo il pudore di cancellare questa norma, come chiedono molti emendamenti presentati alle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera, o altrimenti di far scendere l'aggio dal dieci almeno all'otto come propongono altri emendamenti, tra cui molti anche dell'Udc. Così come è augurabile si sopprima l'altro incomprensibile regalo di Natale fatto dallo stesso art. 32: 50 milioni che passano dal bilancio dello Stato a quello di Equitalia, la società – fondata e fino a poco tempo fa diretta dallo stesso Befera – che coordina l'attività della riscossione. E che non si capisce proprio perché mai abbia diritto a tale gratifica a spese dello Stato, cioè di tutti noi. A meno che non si vogliano far passare queste misure come facenti parte della politica anticrisi. Una specie di “bonus famiglie” per gli esattori.
I meriti del governo
Al di là delle critiche, occorre riconoscere che un aspetto positivo – e certo non secondario – dell'attività del governo in questi mesi è stato rappresentato dalla prontezza nel rispondere alla crisi globale. In un altro governo i ministri avrebbero cominciato ad accapigliarsi tra loro, i vertici della maggioranza si sarebbero susseguiti tra contrasti infuocati senza arrivare a decisioni, un partito della maggioranza avrebbe organizzato una manifestazione di massa a Roma per festeggiare il crollo del capitalismo, il ministro delle infrastrutture avrebbe preso il megafono per contestare davanti a Palazzo Chigi l'inerzia del governo.
Di fronte alle turbolenze dei mercati, la capacità di un governo, più ancora che nel prendere i provvedimenti appropriati, sta nel prenderli rapidamente e senza incertezze. Questa capacità l'attuale esecutivo ha dimostrato di averla. Certo, di fronte ad una crisi che ogni giorno morde più in profondità occorreranno delle serie misure espansive per contrastare il rischio che l'emorragia di posti di lavoro già in atto inneschi un circolo vizioso di riduzione dei consumi, nuova caduta della produzione, ulteriore falcidia di posti di lavoro, e via di seguito. Sarà essenziale che queste misure vengano prese rapidamente, il più possibile in sintonia con le istituzioni e le altre nazioni europee.
E c'è da augurarsi che il governo sappia fare scelte che tengano conto degli interessi delle varie componenti sociali, diversamente da come ha fatto con molti dei provvedimenti assunti nella seconda metà del 2008, sbilanciati dal lato delle imprese almeno quanto quelli del precedente governo lo erano dal lato dei lavoratori. L'alternanza dei governi ci propina purtroppo politiche che oscillano ora di di qua ora di là, come un pendolo. Chissà se mai potremo raggiungere un soddisfacente punto di equilibrio, quel centro di gravità permanente di cui cantava Battiato.