(8.1.09) Sarebbe davvero importante – come è stato proposto da varie parti – cogliere l'occasione della crisi per riflettere su cosa c'è di sbagliato nelle nostre società affluenti e cercare di recuperare un modello di sviluppo meno squilibrato, più rispettoso delle esigenze ambientali e sociali. Si può arrivare ad una riflessione di questo tipo anche partendo, come suggerisce questo articolo, dalla lettura di libri apparentemente di evasione come quelli di Follett e di Le Carrè. Attraverso i quali si può capire l'importanza di tornare ai vecchi valori della semplicità, della ricerca dell'essenziale, del rifiuto del consumo usa e getta. Cercando di vedere se è possibile, superando tante delusioni, tornare all’impegno civile per contribuire tutti insieme alla forza della nostra comunità.
di Lorenzo Spignoli
Ci sono molti modi di cercare di capire la crisi finanziaria che sta scuotendo il mondo. Io vorrei farlo partendo da due libri, in apparenza di puro intrattenimento, che ho appena finito di leggere e che mi hanno insegnato qualcosa. Due romanzi: “Mondo senza fine” di Ken Follett e “Yssa il buono” di John Le Carrè.
Follett racconta della vita di una cittadina inglese del 1300 attraverso le storie, che si incrociano, delle sue figure migliori e peggiori. Illustra i meccanismi del progresso e svela anche quelli della politica nelle sue piccole dimensioni (ma chi ha detto che quelli della grande politica siano poi diversi?). Il priore e il feudatario, l’architetto e il vescovo, il servo della gleba che si ribella e la badessa sono descritti ampiamente, attraverso una serie progressiva di cerchi concentrici.
Le Carrè propone una storia dei nostri giorni, ambientata in una grande città tedesca, dove l’eredità dei vecchi intrighi internazionali si incastra nel confronto fra etnie e religioni diverse. Sullo sfondo gli inquietanti poteri della finanza e della tecnologia, la rivalità fra servizi e agenzie di spionaggio che nel nuovo ordine mondiale non hanno ancora trovato il loro assetto. I protagonisti sono proposti attraverso schizzi nervosi che ne svelano alcuni tratti e fanno intuire magistralmente cosa sta nei loro coni d’ombra.
I personaggi di Follett sono quelli di un mondo ancora bisognoso di migliorare le condizioni minimali di vita della gente: nutrirsi, scampare le malattie, evitare le scorribande e le razzie di uomini armati. I più acuti e intraprendenti fra loro sanno che si deve e si può cambiare e le loro ambizioni di progresso sono concrete, comprensibili, a portata di mano: realizzare un nuovo ponte, ampliare il mercato dei tessuti. Il loro è un mondo pieno di confini e steccati, che costituiscono limitazioni, ma che sono anche elementi di protezione e rassicurazione: la contea, la città, la corporazione, i raccolti ed i piccoli commerci da cui dipende tutta la loro economia.
I personaggi di Le Carrè sono quelli del nostro oggi, senza più certezze né capacità di controllo sui problemi. Gente che corre il più velocemente possibile senza sapere se la direzione è quella giusta, preda di mille condizionamenti e manipolazioni. Niente più protezioni e rassicurazioni, poche speranze. Vengono travolti da vicende che certamente avvengono anche nella realtà e le loro storie sono metafore e spesso sintesi di tante nostre storie.
Ecco allora che noi, loro contemporanei, viviamo in questo mondo dove le ideologie muoiono e i sistemi politici contano sempre meno dinanzi a finanza e tecnologia. Ormai sono diventati troppi, fra noi, quelli che pensano che il benessere sia farsi un lifting o comprarsi un suv. Guardiamo attoniti le borse mondiali che crollano e ascoltiamo il rimbombo delle nostre paure. Ci sarà pericolo per i miei risparmi? E la ditta in cui lavoro sopporterà la crisi? Rischio il licenziamento? Il tasso del mutuo che sto pagando salirà ancora?
Al primo, violento insorgere della crisi finanziaria c’è stato chi è corso in banca a prelevare il proprio denaro pensando che il vecchio materasso sia tornato più sicuro, chi ha cominciato ad uscire di meno, chi ha cambiato abitudini di acquisto.
A tratti pareva – e pare tuttora – di essere in un formicaio che sta impazzendo. Come al solito tv e molti giornali hanno fatto la loro bella parte. Contribuiscono anche politici impulsivi che sparano bischerate dannose che poi smentiscono un paio d’ore dopo, aggiungendo danno al danno. Certo è che il panico da crisi è più pericoloso della crisi stessa.
Io credo che siano forti le responsabilità di chi non molto tempo fa ha sfidato il mondo dicendo che lo stile di vita degli americani non era negoziabile. Anche se gli si faceva notare che gli USA da troppo tempo producono 10 e consumano 30. Io credo siano altrettanto forti le responsabilità di aver voluto guerre stupide e aver orientato la spesa pubblica mondiale in modo massiccio sulle armi. Penso che anche i capi di governo europei che ne hanno condiviso la visione e l’hanno servita abbiano responsabilità. Ma possiamo proseguire per cent’anni a cercare di elencare i troppi colpevoli o sospettabili della situazione che ci è piombata addosso. I finanzieri d’assalto? I petrolieri? Tutti quelli che hanno contribuito a costruire e imporre un modello di sviluppo speculativo e poco lungimirante? Il Bilderberg Club? (Sapete cos’è? Magari andate a vedere e preoccupatevi un po’ anche di questo)
A questo punto è più importante o urgente chiedersi cosa fare. Gli opinionisti impazzano e fra le mille ricette che propongono ci sono certo anche cose giuste.
Io penso che inevitabilmente questa crisi porterà via qualcosa a ciascuno di noi, salvo poche eccezioni. Penso che non dobbiamo cedere al panico ma riflettere a fondo, su noi stessi e i nostri cari, sulle nostre comunità, sul futuro che davvero vogliamo.
Ecco allora che questa potrebbe addirittura diventare un’occasione – lo ha affermato anche il nostro Presidente nel messaggio di fine anno – per migliorarci e trovare nuove strade da percorrere in modo diverso dal passato. Penso all’acquisizione di una capacità di riflessione collettiva più alta e meno condizionabile, che ci metta in grado di riconoscere e scartare il superfluo e il dannoso, di essere meno inquinanti e meno energivori, consumare più pacatamente, essere più fermi nell’insegnare ai figli, dare più valore alle cose che possediamo a lungo e manutenerle rifiutando la cultura dell’usa e getta. Penso a riproporre il valore della semplicità, valorizzare i talenti che le mode hanno soffocato, a liberare le creatività. Penso al ripristino del senso di comunità. Non è certo più possibile ricostituire gli steccati di protezione che segnavano la società medievale. Costruirne di nuovi, diversi, più attuali ma funzionali però credo sia un bisogno forte che sentiamo tutti. Su quali basi? Secondo me quelle che ho cercato di elencare nelle righe qui sopra. In quale modo? Tornando all’impegno civile, a contribuire tutti alla forza di ogni comunità. Questo è l’invito che, intanto, io faccio alla mia.
Al primo, violento insorgere della crisi finanziaria c’è stato chi è corso in banca a prelevare il proprio denaro pensando che il vecchio materasso sia tornato più sicuro, chi ha cominciato ad uscire di meno, chi ha cambiato abitudini di acquisto.
A tratti pareva – e pare tuttora – di essere in un formicaio che sta impazzendo. Come al solito tv e molti giornali hanno fatto la loro bella parte. Contribuiscono anche politici impulsivi che sparano bischerate dannose che poi smentiscono un paio d’ore dopo, aggiungendo danno al danno. Certo è che il panico da crisi è più pericoloso della crisi stessa.
Io credo che siano forti le responsabilità di chi non molto tempo fa ha sfidato il mondo dicendo che lo stile di vita degli americani non era negoziabile. Anche se gli si faceva notare che gli USA da troppo tempo producono 10 e consumano 30. Io credo siano altrettanto forti le responsabilità di aver voluto guerre stupide e aver orientato la spesa pubblica mondiale in modo massiccio sulle armi. Penso che anche i capi di governo europei che ne hanno condiviso la visione e l’hanno servita abbiano responsabilità. Ma possiamo proseguire per cent’anni a cercare di elencare i troppi colpevoli o sospettabili della situazione che ci è piombata addosso. I finanzieri d’assalto? I petrolieri? Tutti quelli che hanno contribuito a costruire e imporre un modello di sviluppo speculativo e poco lungimirante? Il Bilderberg Club? (Sapete cos’è? Magari andate a vedere e preoccupatevi un po’ anche di questo)
A questo punto è più importante o urgente chiedersi cosa fare. Gli opinionisti impazzano e fra le mille ricette che propongono ci sono certo anche cose giuste.
Io penso che inevitabilmente questa crisi porterà via qualcosa a ciascuno di noi, salvo poche eccezioni. Penso che non dobbiamo cedere al panico ma riflettere a fondo, su noi stessi e i nostri cari, sulle nostre comunità, sul futuro che davvero vogliamo.
Ecco allora che questa potrebbe addirittura diventare un’occasione – lo ha affermato anche il nostro Presidente nel messaggio di fine anno – per migliorarci e trovare nuove strade da percorrere in modo diverso dal passato. Penso all’acquisizione di una capacità di riflessione collettiva più alta e meno condizionabile, che ci metta in grado di riconoscere e scartare il superfluo e il dannoso, di essere meno inquinanti e meno energivori, consumare più pacatamente, essere più fermi nell’insegnare ai figli, dare più valore alle cose che possediamo a lungo e manutenerle rifiutando la cultura dell’usa e getta. Penso a riproporre il valore della semplicità, valorizzare i talenti che le mode hanno soffocato, a liberare le creatività. Penso al ripristino del senso di comunità. Non è certo più possibile ricostituire gli steccati di protezione che segnavano la società medievale. Costruirne di nuovi, diversi, più attuali ma funzionali però credo sia un bisogno forte che sentiamo tutti. Su quali basi? Secondo me quelle che ho cercato di elencare nelle righe qui sopra. In quale modo? Tornando all’impegno civile, a contribuire tutti alla forza di ogni comunità. Questo è l’invito che, intanto, io faccio alla mia.
Lorenzo Spignoli è sindaco del comune di Bagno di Romagna