Ricostruzione storica minuziosa e racconto emozionante di uno dei momenti più bui della storia del nostro Paese. Dalla penna raffinata e documentata di Cludio Fava nasce un’opera potente e sottile, delicata e impietosa di un anno in cui tutto cambiò affinché nulla cambiasse. Novantadue, Falcone e Borsellino 20 anni dopo in scena al Piccolo Eliseo dal 2 al 6 maggio è uno spettacolo didattico, un allenamento per la memoria degli italiani.
Quell’estate di ventisei anni fa è stampata nella memoria di molti. Anche perché gli effetti e le conseguenze di quelle bombe vivono ancora oggi. Lo spettacolo Novantadue, scritto dal giornalista e politico siciliano Claudio Fava figlio dell’intellettuale Giuseppe assassinato da Cosa Nostra nel 1984, porta sul palco il contesto in cui trovarono la morte i due simboli della lotta alla mafia: i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, morti in attentati spaventosi rispettivamente a Capaci e in via D’Amelio. In quel 1992.
I bravissimi Filippo Dini, nei panni di Giovanni Falcone, Giovanni Moschella in quelli di Paolo Borsellino e Pierluigi Corallo che interpreta il Consigliere istruttore e il mafioso, danno vita assieme al regista Marcello Cotugno ad un viaggio toccante e vibrante nel passato, partendo dalle emozioni di uomini che scelsero, per senso del dovere e passione per la giustizia, di combattere una guerra che in pochi volevano vincere. Emerge così, prepotente, dai dialoghi ricchi di sentimento e umanità un forte senso di solitudine: quello dei giudici abbandonati sia dalle Istituzioni che avrebbero dovuto sostenerli sia da gran parte dell’opinione pubblica, che si ricordò di loro solo per rimpiangerli.
Una storia oscura e tragica che vive ancora a distanza di quasi trent’anni, come dimostra la recente storica sentenza di primo grado al processo di Palermo su quella che è stata definita trattativa Stato-mafia. “Adesso sappiamo”, commenta l’autore Claudio Fava “che Falcone e Borsellino dovevano morire non solo per volontà dei Corleonesi ma anche per scelta di una parte di quello Stato che i due magistrati credevano di rappresentare e di tutelare”.
Grazie al talento dei protagonisti sul palco e ad un testo vero e forte vengono così trasmessi al pubblico tutti i timori e la frustrazione di uomini normali, pur nella straordinarietà dei loro destini. Rabbia e pena si mischiano nel proiettare quei giorni nel presente, pensando a cosa sarebbe potuto essere se solo ci fosse stato più coraggio. E più dignità.