Non è facile parlare della Sala 26 alla Biennale di Venezia del 1972. Dell’opera di Gino De Dominicis denominata “Seconda soluzione d’immortalità (l’Universo è immobile) e delle polemiche furenti scatenate dall’esposizione di Paolo Rosa, un ragazzo down. Il 9 settembre al Macro, museo d’arte contemporanea di Roma, lo storico, musicologo e collezionista Giuseppe Garrera si è cimentato nell’impresa analizzando quella convulsa pagina d’arte, cronaca, costume e cultura con un racconto puntuale e coinvolgente.
Il simbolo dell’opera è una foto. Un ragazzo down seduto con un cartello al collo, sul quale è scritta una didascalia enigmatica: “Seconda soluzione d’immortalità (l’universo è immobile). L’autore è Gino De Dominicis, discusso protagonista dell’arte italiana nel secondo dopoguerra, e il luogo la XXXVI Biennale di Venezia del 1972. Un evento epocale di cui si è parlato al Macro di Roma il 9 settembre, in occasione dell’iniziativa Un’opera per il ciclo Agorà. Il musicologo, storico e collezionista Giuseppe Garrera ha infatti analizzato quanto accadde.
Un’idea profonda ridotta a gossip da una narrazione semplicistica. A giudicare dall’isteria esplosa subito dopo l’apertura al pubblico della celebre sala 26 aveva ragione l’artista nativo di Ancona, fiero nemico di ogni riproduzione. “La foto”, sottolinea Garrera in un passaggio dell’incontro, “per De Dominicis riproduce la volgarità, la presunzione e spesso l’ottusità di chi guarda. E questa è un’opera che rispecchia i pregiudizi del mondo “. E fu quel mondo infatti a definire il ragazzo sulla sedia “mongoloide”, “minorato”, “subnormale”.
L’aspetto scandalistico oscurò i molti significati dell’opera. Come il concetto del tempo da sconfiggere per disinnescare la morte. Idea espressa dalla palla di gomma di fronte a Paolo Rosa, ferma in attesa del rimbalzo nell’attimo in cui l’universo è immobile. Richiamo, questo, al titolo stesso dell’opera. L’immortalità del corpo importante come quella dell’anima. E poi c’è la celebre risata che accoglie il visitatore. Il ghigno sguaiato di chi si fa beffe del tempo e della morte, di chi ha conquistato l’eternità.
Di tutto ciò che è stato De Dominicis alla Biennale del ’72 non rimane però che “il minorato esposto”, trattato come un mostro da occultare alla vista. Immeritevole perfino d’essere definito con rispetto, con dignità. Il trionfo di “Seconda soluzione d’immortalità” è forse proprio questo: aver smascherato la disumanità del mondo. L’ipocrisia di quella bontà incapace di amare.