La realtà della politica italiana degli ultimi mesi è desolante, era pessima anche quando ne scrivevo con regolarità ma via via è diventato quasi un dovere civico disinteressarsene. Non è disimpegno, è sospensione del proprio contributo – che nel gioco delle parti dà anche chi è sempre “anti” – ad un gioco che oramai non si può più giocare, e basta, senza per ciò stesso farsi complici di chi ne ha alterato le regole. Silvio Berlusconi ha del commediante di razza i perfetti tempi tecnici: l’attentato ai suoi danni che ha inscenato (o sovrascenato, la sostanza non cambia) esattamente nel momento in cui ne aveva politicamente bisogno è solo l’ultimo episodio di una lunga serie che parte dalla discesa in campo e passa dal discorso del predellino (la cui riuscita, però, sarebbe stata difficile senza l’aiuto decisivo di Uolter Icannot Veltroni). Ho detto inscenato, e quando ho sentito sta cosa non ci credevo nemmeno io, ma visti al rallentatore i filmati di Sky e di Rete 4 (!) non restano dubbi; la loro visione peraltro fa solo da prova ulteriore alle immediate perplessità logiche: quando mai si è vista una scorta che non sgomma via trascinando lo scortato via dalla scena anche contro la sua volontà? da dove spunta – istantaneamente – un fazzoletto nero a coprire la faccia del premier, chi è che porta fazzoletti neri in tasca? come capita che una frattura del setto nasale, ics denti rotti e un taglio allo zigomo ti lascino con la camicia immacolata? com’è che vai in giro per pochi giorni con le fasciature parzialmente fuori posto (lo zigomo ferito è scoperto e immacolato) e poi basta, con un referto del genere? e perché andare a farsi refertare all’ospedale del tuo amico e non al primo pronto soccorso utile? La stessa sensazione la ebbi il giorno 11 settembre del 2001, con le debite proporzioni. Prima i dubbi logici: come cavolo fanno a cadere a velocità libera e perfettamente in verticale dei palazzi alti centinaia di metri? Ok, li hanno colpiti degli aerei, ma ammesso che l’impatto fosse stato in grado di disintegrare i piani interessati, la parte sopra, peraltro inferiore in entrambi i casi rispetto a quella sotto, cadendo avrebbe dovuto andare verso l’area di minor resistenza, cioè uno qualsiasi dei lati o più di uno, ma mai premere sui piani sottostanti integri come la mano di un gigante e alla velocità della forza di gravità. E anche ammesso, la terza torre, di lato, distante decine e decine di metri, non colpita da nessun aereo, com’è che caduta allo stesso modo? E poi, come cavolo hai fatto a trovare dopo poche ore, in un cumulo di macerie dove si è faticato a trovare tutti i cadaveri, dove l’acciaio era inspiegabilmente fuso, i documenti di carta dei presunti terroristi? Poi, dopo i dubbi logici, si cominciano a trovare i riscontri scientifici e le opinioni anche illustri, che dimostrano incontrovertibilmente che la storia che ci hanno raccontato sull’11 settembre è spudoratamente falsa, anche se ovviamente non sono perfettamente in grado di raccontarci una storia alternativa, a parte che le tre torri sono state abbattute mediante demolizione controllata, unica versione compatibile con quanto abbiamo visto. Mi direte: cosa c’entra? Ci arrivo, ci arrivo..
Il mito dell’11 settembre è quello su cui è fondata l’ultima ondata del colonialismo, quella neobellica, cui nemmeno il Nobel per la Pace riesce a sottrarsi (ma vorrebbe?). Ci raccontano una storia, noi ci crediamo, gli confermiamo il nostro “mandato” elettorale, e così diventiamo complici dei loro crimini. Come quando da piccoli ci mascheravano da cowboy dopo averci fatto vedere i film di John Wayne: gli indiani erano i cattivi, e noi i buoni, stop. La storia la scrive chi vince, e la verità viene a galla, se viene, con moooolta calma: Soldato blu (il primo film a raccontare la storia vera) è del 1970, il genocidio era stato completato 80 anni prima. Se Hitler avesse vinto la guerra, oggi maschereremmo i bambini da piccoli Esseesse contro gli ebrei cattivi e forse il primo film che rendesse conto dell’olocausto arriverebbe nel 2025. La storia che racconta Berlusconi, è questo il vero problema, la raccontano anche i suoi presunti oppositori. Non resta che tirarsene fuori, non votare più, dire fate quel che volete ma non in mio nome, questa non è una democrazia, è il vostro regime, a me basta sopravvivere, bontà vostra, e se sarà più a lungo di voi avrò conservato la mia verginità intellettuale e potrò raccontare legittimamente la mia storia, altrimenti scusate ma non sarà un problema mio: i morti se ne fregano di queste cose. Dopo la morte della sinistra per mano veltroniana, il suicidio di Di Pietro tramite l’appoggio al pluriinquisito De Luca è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso di qualsiasi possibilità di partecipazione di chi volesse ancora crederci. La democrazia non è qui, adesso, se c’è mai stata. Non sono andato a vedere Avatar, anche se amici mi dicevano che è bello, anche se su Contrappunti è apparsa una recensione entusiastica; di più, man mano che emergevano dettagli sul plot della storia la mia diffidenza aumentava, eppoi Cameron è ruffiano e non è mai tornato ai livelli di Terminator (Titanic è un polpettone insopportabile, a parte gli effetti speciali), e poi ho visto un solo film in 3D e ne sono uscito con un mal di testa persistente e Avatar visto in 2D non ha senso. Ora mi imbatto in questo articolo di Roberto Quaglia, da leggere attentamente: dimostra lo scopo ultimo di noi lettori compulsivi, trovare finalmente qualcuno che ti spiega le tue idee e te le fa capire (parafrasando a contrario Quelli che… di Enzo Jannacci e Beppe Viola). Insomma, lo scopo dei film come Avatar è catartico: ci identifichiamo coi buoni nella finzione, e così possiamo restare dalla parte dei cattivi nella realtà senza avvertire non dico i sensi di colpa, ma nemmeno la cosa stessa. Anche quelli di noi che credono di essere “progressisti”, insomma, fanno parte dell’opulenta società occidentale che si è arricchita a spese degli altri abitanti del pianeta e delle risorse del pianeta stesso. Ci raccontano una storia, e ce lo fanno scordare, o evitano che ci venga mai in mente. Abbiamo bisogno di boiate, signori, e ce ne forniscono in quantità. Storie per bimbi piccini, al cinema come in politica come nella cronaca che si fa storia. Non crederci, è il primo passo per diventare grandi.