(28.1.2010) Oramai è certo, superato anche Titanic, Avatar sale al primo posto degli incassi di tutti i tempi. Un sorpasso annunciato – riferiscono i giornali – diventato realtà in soli 41 giorni. Martedì infatti Avatar ha incassato in tutto il mondo 1.859 milioni di dollari contro i 1.843 milioni di Titanic nel biennio 1997-1998. Un vantaggio sicuramente destinato ad aumentare visto che il potenziale economico del film è ancora elevato. Il botteghino ha avuto un'ulteriore spinta dal prezzo per la visione in 3D, da cui deriva il 72% degli incassi. Come sempre, in queste occasioni, ci si trova di fronte allo stesso dubbio: andarci, perché ci vanno tutti; non andarci perché ci vanno tutti. C'è stato intanto a vederlo il nostro Carlo Monico, e per lui le due ore e 40 sono volate, racconta, “come stare su un seggiolino di una magica giostra, beatamente immerso in uno scoppiettare spumeggiante di immagini e scene e figure”. Quasi ci convince.
di Carlo Monico
Giuro che non ho mai visto niente di più clamorosamente spettacolare al cinema, e proverò a spiegare il perché. Prima però devo per onestà confessare di non essere un intenditore appassionato di videogiochi, e di propendere di mio per il cinema classico rigoroso e piuttosto austero, alla Dreyer e Bergman, alla Rohmer e, buon ultimo, alla Haneke de Il nastro bianco. Devo però anche aggiungere che, sull’altra sponda del cinema spettacolare e a schermo pieno, James Cameron mi è sempre piaciuto – Titanic e Abyss in testa. Qui quel talentaccio geniale ha avuto una delle sue formidabili idee: ha messo in scena una bella, tradizionale e coinvolgente storia melò rivestendola di esotismo pandoriano e trasfigurandola grazie alle mirabilia delle tecniche e delle invenzioni proprie del linguaggio dei videogiochi e del cinema in 3d.
Direi però che qui non è uno specifico linguaggio che viene posto al servizio del racconto, ma al contrario è la storia – di rivolta e riscatto, di travolgente amore, che ha sempre funzionato – al servizio della costruzione di un favoloso, strepitoso, affascinante spettacolo tridimensionale. Con Avatar, James Cameron ha messo insieme e d’accordo le platee maschili e quelle femminili, quelle giovanili e quelle adulte e anziane, tutte unite e conquistate dalla magia di un cinema che con Avatar rinasce e trova una più che probabile nuova ed entusiasmante stagione.
Poi capisco anche il Vaticano che si incazza perché il film sarebbe portatore di una esaltazione mistico-pagana e panteista di madre natura, e i cinesi si allarmano per le capacità di penetrazione nei mercati mondiali di un così potentemente rilanciato cinema holliwoodiano. A noi, intanto, le 2 ore e 40 sono volate come stare su un seggiolino di una magica giostra, beatamente immersi in uno scoppiettare spumeggiante di immagini e scene e figure cui abbandonarsi riuscendo pure a perdonare gli schematismi un po’ rozzi e manichei dei caratteri dei vari personaggi – i buoni così buoni, i cattivi tutti pessimi: e l’incongruenza un po’ grottesca di Sigourney Weaver che, scienziata su un pianeta dove l’ossigeno difetta, infila in bocca una sigaretta dopo l’altra…
Tra le trovate più felici quella del popolo di Pandora dei Na’vi, ad esempio, che a me piace immaginare sia una contrazione di Nativi, e che ho trovato magnificamente immaginati, costruiti e raffigurati (non chiedetemi attraverso quali alambicchi e procedimenti tecnici: mio figlio me lo ha perfettamente spiegato, ma io sono, alla comprensione di tali portentose novità, irrimediabilmente refrattario). Dicevo dei Na’vi, alti e slanciati marcantoni color blu, curioso ibrido tra umani in splendida forma e possenti giaguari, agili e superatletici, dolcissimi e alla bisogna furenti guerrieri. Chi li ha immaginati e costruiti ha pensato bene di mettere insieme il massimo e il meglio dell’umanità con il massimo e il meglio di una animalità in grande armonia con la natura. Insomma, quello che nel sogno dei desideri noi terrestri, tendenzialmente sempre più smidollati e larvali, sedentari e obesi, vorremmo essere, e che loro incarnano così bene. (Oh, la loro meravigliosa e commovente danza seduti fianco a fianco a migliaia intorno all’albero sacro degli avi, estatici e fluttuanti nel coro dei canti: ma non è la raffigurazione plastica e poetica del vagheggiato universale e paradisiaco corpo mistico? E l’idea della possibilità di un passaggio e trasmigrazione dell’essenza/anima da una persona all’altra, non ha a che fare con la fede/credenza nella reincarnazione, comunque in una incessante e infinita continuità della vita?).
Ancora: pensate ai protagonisti che nel film rappresentano noi (poveri) umani bianchi. Innanzitutto i bravi e buoni, il marine reduce dalla battaglia e costretto semiparalitico in carrozzella, e la scienziata curiosa, attenta e rispettosa del mondo dei Na’vi, e però fumatrice accanita. E i bianchi ipercattivi: il capo spedizione piccoletto, arrogante e strafottente, tutto dedito a conseguire a qualsiasi costo gli obiettivi della missione su Pandora, e il colonnello che della spedizione è capo militare, ipermuscoloso, ipervirile, iperarmato, iperdeciso (guerra al terrorismo!), iperpatriottico, iperfanfarone e iperglorioso… Come si capisce che Cameron e i suoi non ne possono più di questi iper rappresentanti della più forte e potente nazione del mondo..! (E però, e però: è pur vero che il film è frutto e prodotto dell’industria cinematografica di quel Paese, di quella civiltà e cultura, capace di criticarsi e negarsi, e prendersi per il culo, e che anche in tale ruolo ha travolgente successo. Ragazzi, un bel paradosso e rompicapo…).
A me viene da pensare che la ricerca vera della spedizione su Pandora non abbia nulla a che fare con un particolare, raro e preziosissimo minerale: ma adombri la ricerca di un cambio di marcia, di qualità, di senso ed esistenziale prospettiva incarnato e realizzato dal popolo del Na’vi. Che sono quello che noi vorremmo, che ci manca e che non siamo più. Gran bel film, Avatar: contenitore riuscito di quanto di importante e buono merita, in un cinematografico pirotecnico promemoria, di essere oggi ricordato.
In conclusione: Avatar dà dell’uomo e del mondo una rappresentazione per la quale sostanzialmente due sono le concezioni a contrapporsi. La prima sostiene che la natura e le risorse del pianeta sono a nostra illimitata e indiscriminata disposizione. Possiamo farne ciò che ci pare, anche sciuparle e distruggerle, se questo ci fa piacere. L’altra propende invece per un impianto a base laicamente sacrale e religiosa: tutto è legato e connesso, tutto è utile e prezioso, tutto merita rispetto e va conservato, tutto ha un senso, niente va sprecato e distrutto. I regni – minerale, vegetale, animale e umano – sono un insieme guidato da leggi di grande saggezza ed equilibrio che non possono essere impunemente violate: materiale e immateriale, vivente e vissuto, presente e passato, memoria e storia dell’uomo e del creato vanno conosciuti e riconosciuti, assunti e trasmessi, rispettati. Noi, di questo insieme tutto, siamo parte integrante, esiste un ordine e una tendenziale armonia di cui dobbiamo essere consapevoli e responsabili, che dobbiamo conservare e accrescere, condividere e difendere, fruire e poi migliorato trasmettere. Bè, anche per la concezione proposta e trasmessa dalla storia raccontata, pur se non così originale, Avatar non è affatto male. Ma, ripeto, è la visionarietà, oltreché la positività poetica del messaggio, a coinvolgere, travolgere e in certi passaggi rapire. Io sono uscito dalla sala con dentro attivata una energia e una allegria bambina. Il che di questi tempi, da un film, un paio di occhialetti colorati e 10 euro, non è poco.
(A proposito e in finale: mi sono all’inizio seduto nella mia poltroncina in sala che dietro di me c’era una coppia di fidanzatini che si baciava. Dopo due ore e 40, a luci riaccese, era sempre lì dietro a me che continuava. Avranno mai durante il film respirato? Che fossero due mirabolanti e onnipotenti rappresentanti del popolo dei Na’vi?)
Direi però che qui non è uno specifico linguaggio che viene posto al servizio del racconto, ma al contrario è la storia – di rivolta e riscatto, di travolgente amore, che ha sempre funzionato – al servizio della costruzione di un favoloso, strepitoso, affascinante spettacolo tridimensionale. Con Avatar, James Cameron ha messo insieme e d’accordo le platee maschili e quelle femminili, quelle giovanili e quelle adulte e anziane, tutte unite e conquistate dalla magia di un cinema che con Avatar rinasce e trova una più che probabile nuova ed entusiasmante stagione.
Poi capisco anche il Vaticano che si incazza perché il film sarebbe portatore di una esaltazione mistico-pagana e panteista di madre natura, e i cinesi si allarmano per le capacità di penetrazione nei mercati mondiali di un così potentemente rilanciato cinema holliwoodiano. A noi, intanto, le 2 ore e 40 sono volate come stare su un seggiolino di una magica giostra, beatamente immersi in uno scoppiettare spumeggiante di immagini e scene e figure cui abbandonarsi riuscendo pure a perdonare gli schematismi un po’ rozzi e manichei dei caratteri dei vari personaggi – i buoni così buoni, i cattivi tutti pessimi: e l’incongruenza un po’ grottesca di Sigourney Weaver che, scienziata su un pianeta dove l’ossigeno difetta, infila in bocca una sigaretta dopo l’altra…
Tra le trovate più felici quella del popolo di Pandora dei Na’vi, ad esempio, che a me piace immaginare sia una contrazione di Nativi, e che ho trovato magnificamente immaginati, costruiti e raffigurati (non chiedetemi attraverso quali alambicchi e procedimenti tecnici: mio figlio me lo ha perfettamente spiegato, ma io sono, alla comprensione di tali portentose novità, irrimediabilmente refrattario). Dicevo dei Na’vi, alti e slanciati marcantoni color blu, curioso ibrido tra umani in splendida forma e possenti giaguari, agili e superatletici, dolcissimi e alla bisogna furenti guerrieri. Chi li ha immaginati e costruiti ha pensato bene di mettere insieme il massimo e il meglio dell’umanità con il massimo e il meglio di una animalità in grande armonia con la natura. Insomma, quello che nel sogno dei desideri noi terrestri, tendenzialmente sempre più smidollati e larvali, sedentari e obesi, vorremmo essere, e che loro incarnano così bene. (Oh, la loro meravigliosa e commovente danza seduti fianco a fianco a migliaia intorno all’albero sacro degli avi, estatici e fluttuanti nel coro dei canti: ma non è la raffigurazione plastica e poetica del vagheggiato universale e paradisiaco corpo mistico? E l’idea della possibilità di un passaggio e trasmigrazione dell’essenza/anima da una persona all’altra, non ha a che fare con la fede/credenza nella reincarnazione, comunque in una incessante e infinita continuità della vita?).
Ancora: pensate ai protagonisti che nel film rappresentano noi (poveri) umani bianchi. Innanzitutto i bravi e buoni, il marine reduce dalla battaglia e costretto semiparalitico in carrozzella, e la scienziata curiosa, attenta e rispettosa del mondo dei Na’vi, e però fumatrice accanita. E i bianchi ipercattivi: il capo spedizione piccoletto, arrogante e strafottente, tutto dedito a conseguire a qualsiasi costo gli obiettivi della missione su Pandora, e il colonnello che della spedizione è capo militare, ipermuscoloso, ipervirile, iperarmato, iperdeciso (guerra al terrorismo!), iperpatriottico, iperfanfarone e iperglorioso… Come si capisce che Cameron e i suoi non ne possono più di questi iper rappresentanti della più forte e potente nazione del mondo..! (E però, e però: è pur vero che il film è frutto e prodotto dell’industria cinematografica di quel Paese, di quella civiltà e cultura, capace di criticarsi e negarsi, e prendersi per il culo, e che anche in tale ruolo ha travolgente successo. Ragazzi, un bel paradosso e rompicapo…).
A me viene da pensare che la ricerca vera della spedizione su Pandora non abbia nulla a che fare con un particolare, raro e preziosissimo minerale: ma adombri la ricerca di un cambio di marcia, di qualità, di senso ed esistenziale prospettiva incarnato e realizzato dal popolo del Na’vi. Che sono quello che noi vorremmo, che ci manca e che non siamo più. Gran bel film, Avatar: contenitore riuscito di quanto di importante e buono merita, in un cinematografico pirotecnico promemoria, di essere oggi ricordato.
In conclusione: Avatar dà dell’uomo e del mondo una rappresentazione per la quale sostanzialmente due sono le concezioni a contrapporsi. La prima sostiene che la natura e le risorse del pianeta sono a nostra illimitata e indiscriminata disposizione. Possiamo farne ciò che ci pare, anche sciuparle e distruggerle, se questo ci fa piacere. L’altra propende invece per un impianto a base laicamente sacrale e religiosa: tutto è legato e connesso, tutto è utile e prezioso, tutto merita rispetto e va conservato, tutto ha un senso, niente va sprecato e distrutto. I regni – minerale, vegetale, animale e umano – sono un insieme guidato da leggi di grande saggezza ed equilibrio che non possono essere impunemente violate: materiale e immateriale, vivente e vissuto, presente e passato, memoria e storia dell’uomo e del creato vanno conosciuti e riconosciuti, assunti e trasmessi, rispettati. Noi, di questo insieme tutto, siamo parte integrante, esiste un ordine e una tendenziale armonia di cui dobbiamo essere consapevoli e responsabili, che dobbiamo conservare e accrescere, condividere e difendere, fruire e poi migliorato trasmettere. Bè, anche per la concezione proposta e trasmessa dalla storia raccontata, pur se non così originale, Avatar non è affatto male. Ma, ripeto, è la visionarietà, oltreché la positività poetica del messaggio, a coinvolgere, travolgere e in certi passaggi rapire. Io sono uscito dalla sala con dentro attivata una energia e una allegria bambina. Il che di questi tempi, da un film, un paio di occhialetti colorati e 10 euro, non è poco.
(A proposito e in finale: mi sono all’inizio seduto nella mia poltroncina in sala che dietro di me c’era una coppia di fidanzatini che si baciava. Dopo due ore e 40, a luci riaccese, era sempre lì dietro a me che continuava. Avranno mai durante il film respirato? Che fossero due mirabolanti e onnipotenti rappresentanti del popolo dei Na’vi?)