Una dimora riconosciuta “storica”, come un antico castello, è tassata in forma agevolata: per compensare le spese necessarie per la manutenzione il proprietario paga l’Irpef su una rendita pari all’immobile di minor valore della zona – fosse anche una catapecchia. Ma è giusto che questa agevolazione rimanga anche quando il castello è affittato a prezzi da favola a un Paperone tipo Bill Gates? L’Agenzia delle entrate ha provato a dire no, ma la Cassazione ha detto sempre sì. E ora il fisco si è arreso definitivamente
Articolo di Andrea Lugani
E’ arrivata all’ultimo atto la débacle dell’Agenzia delle entrate nella sua lunga battaglia giudiziaria per ridurre i guadagni, spesso spropositati, dei proprietari di immobili di interesse storico. La materia del contendere sta, o meglio «stava», nel trattamento di favore riservato dalla legge ai proprietari, che secondo la normativa in vigore devono pagare l’Irpef non sulla base della rendita del loro immobile ma di quella dell’immobile di minor pregio ubicato nella stessa zona.
Ora può anche essere giusto che il proprietario di un edificio storico, ad esempio un antico castello, ci paghi sopra le tasse calcolate in base a una rendita fiscale agevolata; ma che succede se il castello è affittato a un miliardario o utilizzato come set cinematografico o per lussuosi catering a prezzi da capogiro?
Un passo indietro
A suo tempo l’amministrazione finanziaria, interpretando restrittivamente la legge, aveva previsto, nelle istruzioni per la dichiarazione dei redditi, che nel caso in cui l’immobile storico fosse dato in affitto, l’Irpef dovesse essere pagata sul canone ricavato dal proprietario anziché su un reddito catastale agevolato. A questa decisione i proprietari e la loro potente associazione hanno risposto con un fuoco di fila di ricorsi passati negli anni attraverso tutti i gradi di giudizio e arrivati perfino alla Corte Costituzionale. Con esiti negativi per il fisco, in quanto la magistratura ha stabilito ogni volta che per questi immobili il reddito deve essere «comunque» determinato mediante l’applicazione della tariffa agevolata prevista dalla legge (e cioè, per la precisione, la tariffa minore tra quelle previste per le abitazioni del Comune o della zona censuaria nella quale è collocato l’immobile), a prescindere dalla eventuale locazione del bene ad un canone superiore.
Dopo ripetute decisioni della Cassazione l’Agenzia delle entrate – con la circolare 9/2005 – si era arresa, invitando gli uffici a ritirarsi dai giudizi e a restituire ai proprietari le tasse riscosse in eccedenza. Ma si era arresa solo a metà, limitando questa concessione ai soli immobili affittati ad uso abitativo. I proprietari di immobili affittati ad uso commerciale dovevano quindi, secondo l’Agenzia, continuare a pagare in base al canone percepito. Ma nuovi ricorsi per cassazione, in cui i proprietari come al solito hanno avuto la meglio, hanno obbligato il fisco ad alzare definitivamente bandiera bianca. Cosa che ora ha appunto fatto con una circolare (la n. 2/2006), nella quale si stabilisce definitivamente che qualunque sia la destinazione dell’immobile il proprietario non va «mai» tassato in base al canone eventualmente percepito ma in relazione alla rendita dell’immobile di minor pregio (fosse pure una catapecchia) situato nella zona. L’Agenzia ha perciò invitato gli uffici a riesaminare caso per caso il contenzioso pendente sulla materia in esame e, ricorrendone i presupposti, ad abbandonare i ricorsi tuttora pendenti ed eseguire i rimborsi eventualmente richiesti dai proprietari.
A suo tempo l’amministrazione finanziaria, interpretando restrittivamente la legge, aveva previsto, nelle istruzioni per la dichiarazione dei redditi, che nel caso in cui l’immobile storico fosse dato in affitto, l’Irpef dovesse essere pagata sul canone ricavato dal proprietario anziché su un reddito catastale agevolato. A questa decisione i proprietari e la loro potente associazione hanno risposto con un fuoco di fila di ricorsi passati negli anni attraverso tutti i gradi di giudizio e arrivati perfino alla Corte Costituzionale. Con esiti negativi per il fisco, in quanto la magistratura ha stabilito ogni volta che per questi immobili il reddito deve essere «comunque» determinato mediante l’applicazione della tariffa agevolata prevista dalla legge (e cioè, per la precisione, la tariffa minore tra quelle previste per le abitazioni del Comune o della zona censuaria nella quale è collocato l’immobile), a prescindere dalla eventuale locazione del bene ad un canone superiore.
Dopo ripetute decisioni della Cassazione l’Agenzia delle entrate – con la circolare 9/2005 – si era arresa, invitando gli uffici a ritirarsi dai giudizi e a restituire ai proprietari le tasse riscosse in eccedenza. Ma si era arresa solo a metà, limitando questa concessione ai soli immobili affittati ad uso abitativo. I proprietari di immobili affittati ad uso commerciale dovevano quindi, secondo l’Agenzia, continuare a pagare in base al canone percepito. Ma nuovi ricorsi per cassazione, in cui i proprietari come al solito hanno avuto la meglio, hanno obbligato il fisco ad alzare definitivamente bandiera bianca. Cosa che ora ha appunto fatto con una circolare (la n. 2/2006), nella quale si stabilisce definitivamente che qualunque sia la destinazione dell’immobile il proprietario non va «mai» tassato in base al canone eventualmente percepito ma in relazione alla rendita dell’immobile di minor pregio (fosse pure una catapecchia) situato nella zona. L’Agenzia ha perciò invitato gli uffici a riesaminare caso per caso il contenzioso pendente sulla materia in esame e, ricorrendone i presupposti, ad abbandonare i ricorsi tuttora pendenti ed eseguire i rimborsi eventualmente richiesti dai proprietari.
Un regalo privo di giustificazioni
Un commento a margine. Se appare corretto prevedere una tassazione di favore per i proprietari di immobili storici – privilegio che si giustifica con le ingenti spese da sostenere per evitare che vadano in rovina – sembra però meno corretto che questa agevolazione rimanga anche quando l’immobile è affittato a terzi, ovviamente a caro prezzo, per uso abitativo, e ancor meno corretto quando l’immobile stesso è affittato, a fronte di compensi ancora maggiori, per utilizzi commerciali. Si pensi ai tanti castelli messi a disposizione come set di produzioni cinematografiche o per lussuosi eventi mondani. Che su questi compensi il fortunato proprietario non debba pagare neanche un euro di tasse ci sembra – qualunque cosa ne pensi la Corte di Cassazione – un privilegio del tutto ingiustificabile.
Un commento a margine. Se appare corretto prevedere una tassazione di favore per i proprietari di immobili storici – privilegio che si giustifica con le ingenti spese da sostenere per evitare che vadano in rovina – sembra però meno corretto che questa agevolazione rimanga anche quando l’immobile è affittato a terzi, ovviamente a caro prezzo, per uso abitativo, e ancor meno corretto quando l’immobile stesso è affittato, a fronte di compensi ancora maggiori, per utilizzi commerciali. Si pensi ai tanti castelli messi a disposizione come set di produzioni cinematografiche o per lussuosi eventi mondani. Che su questi compensi il fortunato proprietario non debba pagare neanche un euro di tasse ci sembra – qualunque cosa ne pensi la Corte di Cassazione – un privilegio del tutto ingiustificabile.