Indubbiamente la finanza pubblica è messa male, ma la cosa peggiore è che questo accade mentre l’economia è quasi ferma. Purtroppo il centro destra, con la sua finanza creativa, il suo immobilismo in economia e i suoi investimenti sbagliati ci ha lasciato una pessima eredità. Il debito è in crescita, potrebbe arrivare al 108,3 per cento già nel 2006. Il deficit può salire quasi di un punto rispetto a quello diagnosticato dal passato governo: risultato di previsioni di entrata gonfiate e impegni di spesa sottovalutati. Tra il 2000 e il 2003, mentre l’export a livello mondiale saliva del 3,7 per cento, quello italiano è diminuito del 7 per cento in valore assoluto. Gli economisti ci dicono che siamo ormai scesi in serie B nella scala dei valori internazionali Le agenzie di rating ci aspettano al varco per capire se devono abbassarci il voto, il che causerebbe un’impennata tragica del nostro debito.
Il governo è intervenuto con un decreto legge per rilanciare l'economia e liberalizzare il mercato. Molte misure sono state però messe in discussione dalle categorie che si sentono colpite. Il centro destra è diviso tra chi le osteggia frontalmente – Brunetta ad esempio ha detto che sono solo palliativi mentre le vere riforme strutturali le hanno fatte loro – e chi ammette a denti stretti che sono misure tutto sommato positive e rimpiange che non siano state prese nella scorsa legislatura.
Questo governo ha fatto in cinque settimane quello che il centro destra non è riuscito a fare in cinque anni. Brunetta è una persona ricca di fantasia ma per me l'unica vera grande riforma strutturale che loro ci hanno lasciato è la patente a punti. Per il resto purtroppo sono stati cinque anni perduti per modernizzare il paese. Il passato governo si diceva liberale ma quando doveva affrontare le strozzature del mercato si tirava indietro, frenato dagli interessi delle categorie. E' chiaro che adesso queste si lamentano, ma si tratta delle proteste che sempre si sollevano quando si vanno a disboscare delle rendite. Non bisogna farsene condizionare troppo altrimenti si svirilizza il provvedimento: sarebbe un errore, alla fine, arrivare al risultato di aver fatto tanto rumore per nulla.
Nell'insieme, le misure approvate sono nell'ottica delle difesa del cittadino consumatore e vanno difese perché daranno risultati positivi in tante direzioni. Ad esempio la vendita dei medicinali di banco nei supermercati con l’assistenza di un farmacista abilitato è un modo di ridurre i prezzi e, insieme, di diminuire la disoccupazione in questo settore. I proprietari di farmacie hanno speso barche di soldi in pubblicità per contrastare questa proposta ma non sono riusciti a convincerci che la garanzia per il cittadino derivi dal tipo di negozio anziché dalla professionalità della persona che le distribuisce. Dobbiamo avere la capacità di andare avanti perché questo paese non può rimanere in ostaggio di farmacisti e tassisti.
Il decreto quindi come un provvedimento tendenzialmente da blindare?
Come un provvedimento da difendere, non da blindare. Non si tratta di misure prendere o lasciare, sono sempre possibili miglioramenti. Nei casi in cui ci saranno delle obiezioni ragionevoli ne andrà tenuto conto. Proprio per questo insieme alla Commissione Bilancio, la Commissione Finanze del Senato ha varato un programma di audizioni che ci consentirà di sentire i pareri delle forze sociali e delle categorie interessate.
Oltre ai tassisti, altre categorie tra cui gli avvocati sono sul piede di guerra.
Anche qui confido sull'utilità di un confronto. La nostra giustizia, con i suoi tempi biblici, ci mette alla retroguardia tra i paesi civili. Si tratta di un problema da affrontare nel modo giusto, con la collaborazione di tutte le parti interessate – classe politica, magistratura, avvocatura – nella consapevolezza che si tratta di una questione cruciale: di civiltà e nello stesso tempo di efficienza del sistema paese. In questo campo, l'unico problema che preoccupava il passato governo era di mettere al riparo i suoi esponenti dal rischio di una giustizia politica. Noi dobbiamo preoccuparci invece di mettere al riparo i cittadini dal rischio di una non-giustizia. Cause che si chiudono, se va bene, dopo dieci anni sono giustizia negata. Uno snellimento delle procedure è indispensabile ma servono, a mio avviso, anche interventi "a monte", capaci di ridurre alla nascita il contenzioso. Oggi come oggi chiunque ha voglia di aprire una vertenza poco fondata va dall'avvocato e la fa avviare, basta che paghi. E più dura la causa, più paga. Viene incentivata la numerosità e la lunghezza delle cause mentre dovrebbe essere il contrario. Come in America, la retribuzione degli avvocati dovrebbe essere basata sul risultato. Da quelle parti quando si va a proporre una vertenza l'avvocato studia attentamente le probabilità di vincere, e se queste sono ridotte il cliente se ne torna a casa a mani vuote, la causa non si fa. Se invece l'accetta fa del tutto per vincerla e al più presto possibile, perché solo così sarà pagato. Da noi è esattamente l'opposto, il cliente paga l'avvocato sia che vinca sia che perda. E più dura la causa, più paga. E' anche su questo sistema assurdo che bisogna intervenire.
Il decreto contiene diverse misure per combattere le elusioni e le evasioni. Lei crede davvero che possano dare risultati apprezzabili nei tempi brevi che la situazione richiede?
Direi proprio di sì, perché ci sono forti sacche di evasione che possono essere recuperate nel settore Iva, sia interna che comunitaria, e questa è sicuramente una partita affrontata molto positivamente nel decreto. Ma non mancano le evasioni anche nell’Irpef e ci sono tanti altri settori in cui c’è molto da raccogliere potenziando l'attività amministrativa, a cominciare dai controlli riguardanti l’imposta di registro sugli affitti degli immobili. Altre entrate possono arrivare dall’inserimento nell’Irpef delle stock option dei manager, oggi gratificate con una tassazione di favore del tutto priva di giustificazioni, e da un attento riequilibrio dell’imposizione sulle rendite finanziarie. Ma ci sono tantissimi settori su cui intervenire, centinaia di leggi “ad personam” e “ad societatem” che hanno fiscalmente agevolato questo o quel settore e questa o quell'impresa. Basta pensare al calcio, favorito con leggi “spalma debiti”, rateazione di passività fiscali, perfino esenzioni Iva sulla vendita dei gadget. All'insegna del motto “panem et circenses” si è consentito a un settore, che guarda caso era ed è il giocattolo dell'ex presidente del consiglio, di continuare a precipitare senza freni su un piano inclinato di follia finanziaria. E adesso dobbiamo raccogliere i cocci di questa politica di incentivazione sistematica della mala amministrazione in tutti i campi.
La lotta alle evasioni non dipende solo dagli interventi normativi ma anche dall'efficienza e dalla motivazione dell’apparato. Crede che le cose siano a posto sotto quest'ultimo profilo?
Le Agenzie fiscali hanno certamente forti potenzialità, mortificate da un quinquennio tutto virato all’insegna della politica dei condoni. Si tratta adesso di valorizzarle al meglio, responsabilizzando i gruppi dirigenti e il personale. E' positivo sotto questo aspetto lo spacchettamento “di fatto” del Ministero dell'economia e delle finanze, realizzato con la pienezza delle deleghe affidate al Vice Ministro Visco. Unificare i due grandi dicasteri dell'economia era un progetto ambizioso ma che ha mostrato i suoi limiti. Sono settori talmente rilevanti che uno dei due, nell'attenzione del ministro, finisce fatalmente col prevaricare l'altro. E invece è indispensabile che ci sia una dialettica “alla pari” tra economia e finanze. Le deleghe che danno una consistente autonomia alla gestione del fisco si muovono quindi sulla strada giusta, che a mio avviso è quella di ripristinare l'autonomia strutturale di questo settore.
Entro il 2007 si dovrebbe realizzare il previsto, e più volte rinviato, trasferimento del catasto ai Comuni. Non mancano però posizioni contrarie, come da ultimo quella della Cisl Agenzie fiscali, che ha segnalato il rischio di attribuzione di rendite difformi a tipologie similari di immobili, come conseguenza dello spezzettamento dell'attività tra i vari Comuni.
Il sindacato si preoccupa, peraltro giustamente, del destino del personale, ma indubbiamente qualche perplessità su questo trapasso è legittima. Il decentramento del catasto rappresentava negli anni scorsi un obiettivo valido ma oggi, con i grandi sviluppi della telematica, lo è sicuramente meno. Soprattutto dopo il buon lavoro fatto dall'Agenzia del Territorio completando l'informatizzazione delle basi dati e creando l'Anagrafe dei beni immobili. A questo punto non è necessario e anzi può essere sbagliato polverizzare queste attività tra ottomila soggetti interessati, basta ammetterli a condividere la rete. Tra l'altro ci sono opere di respiro nazionale che lungo il percorso richiedono necessariamente un unico interlocutore cartografico. Lo smantellamento del catasto nazionale andrebbe quindi, anche a mio avviso, ripensato con molta attenzione.
Sono stato molto critico non verso questa politica in sé ma verso il modo in cui veniva attuata: con una discrezionalità eccessiva, che in molti casi dava adito a forti sospetti di favoritismo o di comparaggio. E, quel che è peggio, con una scarsa redditività.
Lei esclude ora che questa politica possa essere riproposta?
Non solo non escludo una sua riproposizione ma la auspico. Il problema è solo di capacità amministrativa. Sarei molto lieto se questo governo lo affrontasse con idee nuove e con la necessaria determinazione.
Una delle direzioni in cui il governo dovrebbe operare è quello della lotta agli sperperi, piccoli e grandi, della nostra macchina amministrativa. La rivista Contrappunti se ne è occupata varie volte, da ultimo con una inchiesta sulla situazione della Scuola dell’economia e delle finanze alla quale sono finiti, del tutto inopinatamente, una parte dei soldi destinati dalla finanziaria 2006 al made in Italy. Lei come valuta queste situazioni?
Le valuto negativamente, così come valuto negativamente gli sperperi che avvengono in tanti altri settori della pubblica amministrazione, a cominciare da quello sanitario. Penso alle convenzioni con cliniche e laboratori privati, costose e spesso clientelari. Il welfare va salvaguardato ma non va preso in blocco com’è. Se ci sono delle storture nella sua gestione vanno eliminate, anche perché le criticità che esse producono danno armi ai suoi nemici. Così come ci sono storture e strozzature sul mercato, sulle quali si è intervenuti con il decreto legge, ci sono strozzature del settore pubblico, che vanno affrontate al più presto possibile.
Un'ultima questione che va al di là del campo dell'economia. Lei ha ripresentato, nei primi giorni della legislatura, il progetto di legge sul diritto al testamento biologico, ossia le direttive di fine vita contro l'accanimento terapeutico. Un progetto di legge che data la precedente maggioranza non è stato neanche messo in discussione. Si può pensare che adesso le prospettive di questo tipo di iniziative – patrocinate anche dal prof. Veronesi oltre che dall'associazione Libera Uscita – siano migliori?
Sicuramente sì. Anzi c'è già qualcosa di concreto: il Presidente della Commissione sanità del Senato, Marino, mi ha comunicato che nei prossimi giorni avvierà la discussione sulle cinque proposte di legge presentate nella materia, tra cui la mia. Questa è senz'altro una buona notizia per tutti coloro che ritengono che il cittadino abbia diritto di decidere “lui” se i medici debbano o no accanirsi per mantenerlo a tutti i costi in una vita che non è vita usando inutilmente mezzi artificiali quando è ormai vittima di una malattia tragica e irreversibile.