La notizia (dal Corrierone) è che un tizio in Inghilterra ha comprato a 40 mila euro un appartamento nella periferia di Londra, ne ha spesi altri 44 mila per ristrutturarlo in maniera da farlo somigliare il più possibile all’astronave Enterprise di Jean-Luc Picard (Star Trek – the next generation), e in un’asta via web è riuscito a rivenderlo a oltre 620 mila euro! Il lettore “normale” salta sulla sedia: ma l’acquirente è un pazzo! Il lettore “trekker” invece non trova nulla di strano, anzi gli piacerebbe avere lui tanta disponibilità economica da potersi permettere di possedere un appartamento che somigli in tutto e per tutto, teletrasporto compreso, alla scenografia del suo telefilm cult. Una fuga dalla triste realtà quotidiana per parlare di milionari eccentrici? No, questo articolo di Gino Nobili parla invece di una vera e propria cultura e del perché è grave, e significativo, che sia in crisi.
di Gino Nobili
E’ vero: tra i milioni di fan di Star Trek in tutto il mondo ce n’è un manipolo che esagera un po’. Sono organizzati in comunità da prima che esistesse Internet, si incontrano in Convention annuali ai 4 angoli del globo, vestiti coi “pigiami” dei loro beniamini (che invitano a partecipare anche se quelli ancora vivi sono sempre più vecchi e bolsi) e muniti di armi giocattolo che oramai anche i bambini si vergognano di portare in giro. Ma il manipolo è nutritissimo (migliaia, forse decine di migliaia di persone al mondo), e quando la cronaca riferisce di gente che ristruttura appartamenti a mo’ di astronave e soprattutto di altra gente che li compra a prezzi esorbitanti, forse la cosa necessita di approfondimento e comprensione.
Pacifista e multirazziale
Il creatore di Star Trek si chiamava Gene Roddenberry, aviatore e poi sceneggiatore televisivo. Morto nel 1991, le sue ceneri vennero messe in orbita, il suo nome dato a un asteroide e a un cratere di Marte. La sua creatura andò in onda in USA dal 1966 al 1969, e in Italia giunse solo nel 1979 sulla scia del successo di Guerre Stellari, con cui però non ha quasi nulla in comune. A cominciare dalla visione filosofica, che nel capolavoro di Lucas è tradizionalmente manichea e bellica, per quanto sfaccettata e ben realizzata, mentre in Star Trek è rivoluzionariamente pacifista e multirazziale. E anche chi non si metterebbe mai una tutina aderente verdina o rossa non può non riconoscere alcuni fatti eccezionali, da elencare a caso per impossibilità materiale di una trattazione organica (ci sarebbe davvero troppo da dire):
- l’equipaggio della prima Enterprise aveva in plancia di comando un giapponese, un russo, un alieno con le orecchie a punta e, soprattutto, una donna di colore – il cui bacio al capitano bianco, inoltre, fu il primo atto sessuale interrazziale trasmesso in una serie televisiva americana;
- la nave (il cui nome, Enterprise, sarà poi quello della prima navetta Shuttle, omaggio cinefilo di una comunità scientifica piena di fan della serie) NON era in viaggio di conquista della frontiera, ma dichiaratamente “oltre l’ultima frontiera” allo scopo (nell’incipit di ogni telefilm, narrato dalla voce del capitano) di “esplorare nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e nuove civiltà, per andare là dove nessun uomo è mai giunto prima”. Intendiamoci, anche a loro capita di combattere, ma mai di propria iniziativa e mai senza aver tentato prima di praticare qualsiasi altra strada, e comunque la maggior parte dei telefilm racconta storie dai risvolti etici e psicologici, più o meno ben rappresentati, e non spargimenti di sangue galattici;
- gli umani del 23° secolo, dopo la terza guerra mondiale del 21° (il nostro), hanno appreso la lezione e hanno imparato a vivere in pace tra loro e con gli altri esseri viventi: quasi tutte le razze del “quadrante Alfa” della Via Lattea sono unite in una Federazione pacifica e democratica – i nemici (nella prima serie, essenzialmente solo i Klingon) sono molto diversi da noi, ma combatterli non vuol dire non rispettarli nella loro diversità, anche quando è inconciliabile (nelle serie successive la Federazione ha firmato la pace con l’impero Klingon, è uno di loro è ufficiale di grado elevatissimo sull’Enterprise);
- quando nella loro esplorazione del cosmo i membri della Federazione vengono in contatto con alieni il cui grado di sviluppo non è arrivato alla “velocità curvatura” (maggiore della velocità della luce di n volte, ma non eresia scientifica: vedi in proposito il bellissimo La fisica di Star Trek, di Lawrence M. Krauss; Longanesi 1996) e quindi non ancora in grado di entrare in contatto autonomamente con altri mondi abitati, devono rispettare la Prima Direttiva, che gli vieta fermamente di interferire nello sviluppo naturale della civiltà aliena o nei suoi affari interni di governo. Di più, ogni volta che il rispetto della Prima Direttiva è entrato in conflitto con norme etiche primordiali (tipo la sopravvivenza fisica di popolazioni), i capitani si sono posti il problema se violarla o meno, e talvolta l’hanno violata (della serie, niente comandamenti assoluti);
- nel mondo ideale della Federazione la gerarchia permane, ma solo nella sua funzione organizzativa, e non c’è traccia di razzismo, sessismo, prevaricazione sociale;
- la nave pullula di invenzioni “fantascientifiche” che sarebbe auspicabile fossero realizzabili davvero, in quanto orientate esclusivamente alla qualità della vita – questa cosa debbono averla pensata le decine e decine di scienziati che si sono ispirati al telefilm per le loro ricerche, non mancando quasi mai di dare tributo: ad esempio, se non sapevate perché il primo telefonino che si apriva a libretto si chiamasse StarTac, guardate il primo comunicatore del comandante Kirk e lo scoprirete.
Ma le cose cambiano anche a bordo dell'Enterprise
Non voglio dilungarmi. Dico solo che la serie classica di Star Trek andò in onda in pieno Vietnam e '68, la seconda serie, forse ancora più politically correct, a cavallo della fine della guerra fredda. Gli anni a venire sono diventati sempre più bui per l’umanità, e morto Roddenberry gli sceneggiatori hanno voluto inventarsi nuove serie meno ortodosse e quindi anche meno amate dai fans: una ambientata a bordo di una stazione spaziale al confine con un'altra regione della Galassia, e quindi necessariamente più “bellica”; e un’altra – la migliore delle serie recenti – ambientata su un’astronave (capitanata da una donna, per quanto dalla discutibile pettinatura…) finita per un accidente spazio/temporale lontanissima dalla Terra, che prende a bordo e integra i “terroristi” che inseguiva, per percorrere assieme una sorta di Odissea e tornare a casa. L’ultima serie girata è un prequel che aveva l’intenzione di spiegare come e perché dal barbaro mondo postbellico si è giunti all’età dell’oro della Federazione, ma vi si spara e guerreggia un po’ troppo, contro nemici improbabili, e impicciandosi in una serie barocca di paradossi spaziotemporali, forse anche per la fretta di chiudere con un cerchio in qualche modo logico una serie di relativamente scarso successo.
Caduta del telefilm, metafora di un mondo peggiore
Non se se interpretare questa parabola di eventi come il segno positivo di spettatori che vengono a mancare via via che il telefilm si allontana dalla sua griglia etica primordiale, oppure come il segno negativo di un pubblico che non cede più al fascino di una visione del futuro troppo ottimistica rispetto a quello che si vede intorno, e viene inseguito inutilmente dagli sceneggiatori sul terreno della violenza dove però ci sono prodotti migliori. Dico solo che un mondo dove non c’è più posto per l’ingenua utopica visione di Gene Roddenberry è un mondo peggiore. Tutt'altro che pacifista e tutt'altro che multirazziale. Ma questo, forse, lo sapevamo già.