Il 2009 è certamente destinato a diventare uno degli anni di recessione mondiale più pesante dopo la seconda guerra mondiale. Per l’Italia, da oltre 15 anni in una crisi strutturale con tassi di crescita vicini allo zero e comunque inferiori a quelli dei paesi OCSE e UE, si prospetta una riduzione del PIL tra il 5% ed il 6%, che non può non avere risvolti anche sulle famiglie ed il loro tenore di vita.
In Italia le misure varate toccano marginalmente le famiglie, ma soprattutto non prevedono misure strutturali: la cosiddetta social card è finanziata a termine con modesti importi ed è concessa sulla base di una valutazione economica ad ostacoli – viene usato l’ISEE, che già considera ampiamente redditi e patrimoni, ma si pongono ulteriori vincoli su patrimoni ed auto – al fine di ridurne drasticamente i beneficiari. Il bonus famiglie, invece, che ha una maggiore coerenza logica, è una tantum, non modificando così le aspettative di fondo ed i comportamenti di consumo delle famiglie.
Una misura poco commentata, ma dalle implicazioni più strutturali, è l’intento (una promessa inserita nella Legge 2/2009 che rimanda ad un decreto attuativo) di estendere il beneficio degli assegni familiari anche agli autonomi, purchè in regola con gli studi di settore. Data la tradizionale vaghezza legislativa dell’enunciato e la complessità della materia appare difficile prevedere come verranno affrontati i numerosi problemi aperti (tra i quali citiamo la sorte dei contributi CUAF, contributi Inps unificati, oggi pagati a macchia di leopardo da alcuni dipendenti; come saranno trattate le famiglie che non sono soggette a studi di settore; quali saranno le strutture familiari di riferimento ed i raccordi con gli attuali ANF – assegni al nucleo familiare).
Tuttavia questa proposta ha il pregio di mettere in evidenza che anche e soprattutto in questo momento di crisi bisogna mettere in cantiere misure strutturali, che associno un impatto di rilievo nel breve con effetti riformatori di medio periodo.
Proviamo allora ad enunciare quali potrebbero essere misure congiunturali capaci di dare impulso alla domanda nel breve, ma di raccordarsi a riforme da tempo in discussione per i possibili effetti benefici.
Con la riforma Irpef del 2007 le decrescenze delle detrazioni spettanti Irpef per tipo di reddito di dipendenti, collaboratori e pensionati sono state caratterizzate da una doppia decrescenza, più accentuata sui redditi bassi e più attenuata su quelli medi.
Si potrebbe allora ripristinare una decrescenza lineare e continua, fino all’annullamento della detrazione, che conseguirebbe il duplice vantaggio di sostenere i redditi medio bassi (per circa 3,5 miliardi) e di attenuare le aliquote marginali effettive, cioè quelle che scoraggiano l’offerta di lavoro (principalmente donne) e che contribuiscono al tasso di attività particolarmente basso dell’Italia.
2) I redditi medi ed il salto di aliquota Irpef dal 27% al 38%
Sempre con la riforma Irpef 2007, le aliquote legali ed effettive registrano un forte balzo in alto al superamento dei 28'000 euro di imponibile, quantificabile in 11 punti percentuali. La soglia di 28'000 euro appare bassa, considerato che molti dipendenti con qualifiche non dirigenziali superano quel livello di reddito e sono perciò soggetti ad un balzo di prelievo e ad un’impennata dell’aliquota marginale in caso di maggior lavoro e reddito.
Si potrebbe perciò introdurre uno scaglione ed un’aliquota intermedi, tra il 27% ed il 38%, al fine di favorire questi redditi medi e, di nuovo, abbassare la loro aliquota marginale effettiva.
3) La soglia di reddito per essere a carico e fruire delle detrazioni familiari
Da molti anni le detrazioni o deduzioni familiari sono fruite per i familiari “a carico”, cioè con reddito annuo inferiore a 2841 euro. Si tratta di una soglia largamente al di sotto di quelle di povertà, che esclude figli di fatto a carico dal beneficio delle detrazioni familiari.
Questa soglia potrebbe essere aumentata a 4000 o 5000 euro, con qualche beneficio per famiglie con figli ed una riduzione della distanza, oggi enorme, tra famiglie di fatto e famiglie “fiscali”. Il costo di questa riforma (il vantaggio per le famiglie) sarebbe al di sotto di 1 miliardo, ma avrebbe un forte impatto simbolico e psicologico.
4) La riforma del sostegno alle famiglie
Una riforma più profonda, che supererebbe il problema di definire la soglia per essere a carico ai fini Irpef, sarebbe quella dell’istituzione di un nuovo assegno familiare unificato, sostitutivo sia delle detrazioni che degli attuali ANF, esteso a qualsiasi nucleo a prescindere dal tipo di reddito prevalente e dall’età dei figli a carico, infine fondato su una definizione di reddito equivalente simile o identica a quella ISEE, capace perciò di considerare tutte le fattispecie di reddito senza le limitazioni e distorsioni Irpef. Questo tipo di riforma sarebbe capace anche di superare l’annoso problema dell’incapienza, cioè dell’impossibilità di beneficiare di un sostegno monetario perché il reddito è troppo basso per consentire una diminuzione dell’imposta. Infine, l’allargamento della nozione di nucleo familiare ed il superamento delle numerose “tabelle INPS ANF” oggi vigenti costituirebbero anche uno strumento di sostegno generalizzato ai redditi molto bassi.
In una recente ipotesi di riforma del sottoscritto (in corso di pubblicazione tra i working paper ISAE), il costo di un assegno di questo tipo sarebbe dell’ordine di 9 miliardi di euro, una cifra non elevatissima per una riforma strutturale di questo livello ed in rapporto al PIL italiano.
5) La riforma degli ammortizzatori sociali
Oggi gli ammortizzatori italiani operano in maniera molto differenziata tra tipologie di lavoratori, sulla base della dimensione d’impresa, del versamento di specifici contributi CIG o CIGS, sulla base di deroghe e trattative di volta in volta messe in atto. Ne derivano non solo trattamenti monetari molto differenziati, alcuni dei quali molto bassi e tali da non escludere il rischio di povertà improvvisa, ma anche l’esclusione da qualsiasi ammortizzatore per milioni di dipendenti e parasubordinati.
Si tratterebbe perciò di razionalizzare l’intervento ed avvicinarci agli strumenti di questo tipo adottati dagli altri paesi OCSE. Si potrebbe prevedere un unico sussidio di disoccupazione, generalizzato, parametrato allo stipendio perduto e decrescente col tempo fino a raggiungere una soglia di povertà al di sotto della quale scatterebbero altri strumenti di sostegno.
Misure di questo tipo, dal costo estremamente variabile, considerati anche gli eventuali contributi da sostituire, avrebbero il grande pregio di sostenere non solo redditi e consumi di chi perde il lavoro, ma anche le aspettative della generalità delle famiglie che potrebbe perderlo. Sarebbe questo un elemento di grande importanza in un periodo come quello della citata attuale crisi mondiale.