LA SANITA’ E’ MALATA PURTROPPO NON SEMBRA CI SIA L’INTENZIONE DI CURARLA

malasanità

(5.3.08) Sprechi, inefficienze, corruzione, lottizzazione: l'elenco dei guasti della sanità è interminabile. C'è stato chi ha calcolato che solo in questo settore ci siano circa 20 miliardi di euro sperperati ogni anno, l'equivalente di una manovra finanziaria. Abbiamo chiesto a Felice Piersanti – un autentico esperto, che avevamo già intervistato quando emerse lo scandalo del Policlinico di Roma – di darci il suo giudizio sui programmi elettorali riguardanti questa materia. Purtroppo per noi, non si può dire che le misure che i partiti si propongono di realizzare siano in grado di superare le difficoltà del sistema sanitario o almeno di mettere fine alla nefasta pratica della lottizzazione. Forse la gravità del problema non è stata abbastanza metabolizzata. O forse, chissà, l'idea di poter scegliere chi nominare primario a ginecologia non piace solo alla signora Mastella. Eppure una riforma che affronti i tre nodi più importanti – la governance, i diritti dei cittadini, le inefficienze più intollerabili – sarebbe praticamente a costo zero. E ci darebbe un sistema sanitario molto più civile.
Articolo di Felice Piersanti

Siamo in campagna elettorale e i temi della sanità sono affrontati, com’è ovvio, nei programmi elettorali delle diverse formazioni politiche.
Tra questi la necessità di sottrarre ai partiti la nomina dei primari ospedalieri e degli altri dirigenti del Servizio sanitario nazionale è affrontata da tutti i programmi e tutti sembrano d’accordo; ma nessuno chiarisce come realizzare in concreto questa esigenza. La soluzione, in realtà, sarebbe molto semplice, ma contrasta con il sistema vigente della lottizzazione politica ormai profondamente radicato, che nessuno di fatto vuole realmente eliminare. Basterebbe proporre in uno dei primi consigli dei ministri riunito dopo le elezioni una leggina che affermi semplicemente: ai direttori generali delle Asl e delle Aziende ospedaliere – che, com’è noto sono attualmente nominati dalle Regioni sulla base di criteri strettamente politici – è sottratto il diritto di nominare i dirigenti sanitari, primari compresi.

Le radici della lottizzazione…
Come si accede oggi alle cariche strettamente tecniche del Servizio sanitario nazionale? Una commissione formata da componenti in gran parte nominati dal direttore generale di una Asl o di una azienda ospedaliera valuta se i candidati hanno i titoli indispensabili (laurea, specializzazione, anni di servizio etc.) e redige un elenco in ordine alfabetico degli idonei. Da questo elenco il direttore generale sceglie a suo arbitrio quale sarà il vincitore, senza dover giustificare in alcun modo la sua scelta. Il ministro Turco aveva proposto una legge, che non era ancora stata discussa al momento dello scioglimento delle Camere. Tale legge migliorerebbe la situazione vigente, perché permetterebbe una prima scelta per merito di una terna di candidati da parte della commissione, lasciando tuttavia al manager la scelta definitiva del vincitore.

... e i programmi dei partiti
In questa situazione, che cosa dicono i programmi elettorali delle varie formazioni politiche?
Il Partito democratico ripropone la legge Turco e quindi, di fatto, lascia ai direttori generali la scelta definitiva, anche se in altra sede, con qualche contraddizione, afferma giustamente che “la politica non deve scegliere i primari”. Propone inoltre giuste misure per una migliore selezione dei direttori generali.
La Sinistra Arcobaleno afferma che è necessaria una legge “che sottragga ai partiti le nomine nella sanità”, ma non scende nel concreto.
Il Pdl, il cosiddetto Popolo della libertà, parla soltanto di trasparenza e concorsi per la scelta dei manager della sanità, ma non mi risulta che si soffermi sulla nomina dei primari e degli altri dirigenti.
Chiediamo alle forze politiche e in particolare al Partito democratico e alla Sinistra Arcobaleno: abbiate il coraggio di affrontare fino in fondo il nodo dei fitti interessi clientelari nella sanità, conseguenza della lottizzazione esasperata dei direttori generali da parte delle maggioranze politiche regionali. Dite con chiarezza che sottrarrete ai direttori generali così lottizzati l’assurdo privilegio di scegliere il personale tecnico del Servizio sanitario nazionale.
L’obiettivo è tornare alla scelta per merito; lo strumento è quello di concorsi quanto più possibile oggettivi. Conosciamo bene i limiti dei concorsi e i possibili loro condizionamenti accademici; ma possiamo utilizzare le esperienze internazionali più avanzate e scegliere le tecniche concorsuali più moderne ed efficaci. Non si raggiungerà mai la perfezione ma si porrà fine alla vergogna dei primari in quota a questo o a quel partito e si invierà un grande messaggio di speranza ai medici e a tutti gli operatori sanitari.

Una volta sottratto ai direttori generali il loro potere clientelare, sarebbe il caso di riflettere anche sul loro ruolo di indirizzo del sistema sanitario. Piuttosto che i direttori generali, dovrebbero infatti essere i Dipartimenti tecnico-scientifici ad assumere sempre più un ruolo centrale nella governance clinica della sanità. Questo non vuol dire sottovalutare il ruolo fondamentale della politica. Governo nazionale e governi regionali decidono le linee politiche in base al consenso ottenuto dagli elettori, ad esempio a proposito di diritti delle donne e della 194, di prevenzione – che dovrebbe essere al primo posto in tutti i suoi campi – di assistenza sanitaria nel territorio, del fabbisogno di ospedali – moderni, ad alta tecnologia e con degenze assai brevi- e così via. Stabilite le linee, la loro realizzazione dovrebbe essere affidata ai Dipartimenti e ai loro Comitati direttivi composti da persone in possesso delle opportune conoscenze scientifiche e tecniche. Il potere monocratico dei Direttori generali in questa prospettiva appare inutile e persino dannoso.

Secondo grande problema: i diritti dei cittadini
Negli ultimi venti-trent’anni in tutto il mondo avanzato si è andato affermando il principio della centralità dell’utente nell’organizzazione sanitaria. Nessun intervento terapeutico, ad esempio, può essere effettuato sull’utente senza il suo consenso informato. In Italia, tuttavia, nella pratica di ogni giorno il consenso informato è diventato spesso un atto burocratico soltanto formale. Non si può dire, inoltre, che la sanità sia organizzata secondo i bisogni dei cittadini. Basta ricordare che i pasti in ospedale sono serviti in ore inaccettabili, che i parenti sono spesso ammessi soltanto un’ora o due al giorno in orari rigidamente prescritti.
Ci sono altri diritti oltre a questi. Il diritto del malato a dare il proprio consenso ai trattamenti sanitari in Italia è addirittura previsto dalla Costituzione, pure approvata in un periodo nel quale questa tematica non era centrale, a ulteriore dimostrazione di quanto la nostra bella Costituzione sia avanzata e preveggente. Questo diritto è chiaramente riconosciuto nel programma del Partito democratico. Ma c’è un diritto ancora più generale, quello dell’autodeterminazione, che non può non comprendere il diritto a decidere della propria vita. Su questo il programma del Partito democratico mantiene elementi di ambiguità: s’impegna a “prevenire l’accanimento terapeutico anche attraverso il testamento biologico”. La Sinistra Arcobaleno è più chiara. Ritiene che “ognuno e ognuna abbia il diritto di decidere del proprio corpo e della propria vita e propone una legge sul testamento biologico”. Il programma del Pdl è anche assai chiaro, ma con finalità del tutto opposte: “esclude ogni ipotesi di leggi che permettano, o comunque favoriscano pratiche mediche assimilabili all’eutanasia”.

Terzo problema, i tempi di attesa
Un problema ancora più scottante è quello dei tempi di attesa delle prestazioni, spesso lunghissimi, che prescindono completamente dalle necessità dei malati e, purtroppo, sono differenziati in base al censo. Negli ospedali e nei poliambulatori pubblici se paghi ottiene la prestazione il giorno dopo la richiesta, se non paghi devi attendere anche mesi, quale che sia la diagnosi. In realtà, anche questi maltrattati utenti hanno pagato le prestazioni: i 101 miliardi di euro previsti per la spesa sanitaria del 2008 provengono dalle tasse dei cittadini, gli stessi che poi aspettano anche molto a lungo le prestazioni.
Il problema dei tempi di attesa è tanto grave che ne parlano i programmi di tutti gli schieramenti politici. Il Partito democratico afferma, giustamente, che i tempi di attesa vanno ridotti e “devono equivalersi nell’attività pubblica istituzionale e in quella libero-professionale”. La Sinistra Arcobaleno scrive che “bisogna superare definitivamente le liste d’attesa oltre che i ticket”. Il Pdl parla di “completamente del Piano (?) del governo Berlusconi per l’eliminazione delle liste d’attesa”. Nessuno, tuttavia, sottolinea le responsabilità dei manager nell’aver fatto arrivare a tal punto questa situazione.
Anche in questo campo sarebbe necessaria una maggiore concretezza. Basterebbe affermare che in tutte le strutture sanitarie nelle quali i tempi di attesa nell’attività istituzionale e quella libero-professionale non si equivalgono, l’attività libero-professionale dei medici (la cosiddetta intra-moenia) viene sospesa. Si può essere certi che i medici farebbero tutto il necessario per impedire questa sospensione e i tempi di attesa sarebbero ridotti.

Riforme a costo zero
Il rispetto dei diritti dei cittadini e la riproposizione del merito come unico strumento di selezione e di assunzione del personale sanitario possono essere garantiti con misure che non incidono sulla spesa, realizzabili in tempi assai brevi e tali da superare la contraddizione più grave del Servizio sanitario nazionale italiano, che è nel suo insieme un servizio efficace e di alto livello, come dimostrano parametri quali la durata media della vita dei cittadini, tra le più alte del mondo, e la mortalità infantile e perinatale, tra le più basse, ma ha un indice di gradimento dei cittadini piuttosto basso, particolarmente nel Lazio e nell’Italia meridionale.

Nuovi anziani, un problema e una risorsa

Quanto è stato finora esaminato concerne impegni programmatici da realizzare dopo le elezioni; ma ci sono problemi più generali ai quali solo sinteticamente accenniamo.
Una questione che si pone con sempre maggiore evidenza è quella delle profonde modificazioni della società indotte dall’aumento della durata media di vita. Siamo già in una società multigenerazionale, oltre che multietnica e fondata sui due generi. Inevitabilmente, i costi del Servizio sanitario nazionale aumenteranno e occorre programmarli nei lunghi periodi. A questo proposito, un fondo per la non autosufficienza è previsto nel programma del Partito democratico: ma il problema è più generale ed esula dalla sanità. La diminuzione della mortalità è un prodotto della buona sanità, oltre che del miglioramento delle condizioni generali di vita, ma determina a lungo andare una società totalmente diversa, che la politica deve prevedere: in una società che cambia così profondamente gli anziani non devono essere soltanto oggetto di assistenza, ma possono costituire una risorsa se si attribuisce a loro un ruolo positivo nella società.
Nel suo programma il Partito democratico parla di “invecchiamento attivo”; nei tempi brevi le sue proposte sono utili. Ma il problema del futuro sarà quello di assicurare nello stesso tempo il rinnovamento, anche anagrafico, e la possibilità di continuare a utilizzare le conoscenze e i legami con la storia del Paese che sono patrimonio degli anziani. Una società né gerontocratica, né giovanilistica. Multigenerazionale, appunto.

 

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