Gentilissima Miriam Mafai,
vorrei dirle che non condivido affatto l’entusiasmo con cui su La Repubblica lei ha salutato la cerimonia del giuramento di sette donne all’Accademia militare della Nunziatella di Napoli. Certo, non mi riconosco per questo nei fischi con cui alcuni ragazzi le hanno accolte nel corso della cerimonia.
Le due posizioni – fischiare o applaudire – non sono le mie, né le sole possibili. Che “un’antica esclusione delle donne sia venuta a cadere”, perché, del resto, “le nostre ragazze da tempo operano nelle forze armate e nell’esercito e sono presenti anche nei teatri di guerra”, come lei soddisfatta ricorda, non mi rallegra né rassicura. Non c’è lì evidente un pensiero e uno schema per i quali è il percorso maschile a convalidare per tutti/e senso e orizzonte, e quindi la donna deve soltanto adeguarsi? E’ la partecipazione universale alla guerra che conferisce dignità, o invece il suo rigetto e rifiuto?
Estremizzando, ma poi non troppo: forse che la donna soldato che si fa immortalare ad Abu Graib mentre partecipa alle torture e tratta come cani altri esseri umani perché nemici, esprime il punto più alto possibile dell’attuale emancipazione femminile? Gli uomini di buona volontà sono chiamati a rompere con certi dis-valori e cattivi modelli (l’ideologia della mascolinità, la retorica della patria, del nemico e dell’onore, della virilità muscolare arrogante): ma se poi devono anche fare i conti con donne di prestigio sociale e chiara fama democratica che invece sostengono che debbano essere le donne a fare propri schemi e modelli analoghi, perché in ciò consiste la loro emancipazione, allora l’approdo a modelli e comportamenti alternativi validi per tutti, uomini e donne, si fa ancora più difficile, incerto e complicato. Insomma, siamo tutti contrari sia al burqa annientante che alle comparsate delle veline discinte nelle trasmissioni televisive: ma costituisce alternativa di grande emancipazione stringersi nella “bella divisa blu della Nunziatella” ?
Cara signora Mafai, mi permetta di non seguirla in quello che io intendo come il precipitare in troppo facili e regressivi entusiasmi.
Suo
Gian Carlo Marchesini