Sicuramente in modo molto positivo. Quanto contenuto dal decreto riconosce infatti anni di battaglie portate avanti dall’Adoc e dalle altre associazioni dei consumatori, e rappresenta un’opportunità per iniziare – purtroppo con almeno dieci anni di ritardo – la modernizzazione dell’Italia attraverso il riconoscimento e la valorizzazione dei diritti dei consumatori-cittadini e una maggior concorrenza tra le imprese di servizi.
Il tutto con vantaggi – ci si augura – sulla qualità ed efficienza ma anche sui costi finali.
Noi sosteniamo senza riserve i principi ispiratori del decreto, con il quale si avvia un processo di liberalizzazione, sia pure “soft”, nel settore del commercio, delle banche, delle assicurazioni, delle farmacie, dei taxi e delle professioni.
In questo senso ci sentiamo impegnati a vigilare perché il provvedimento sia applicato in modo da non doverci trovare a commentare una liberalizzazione che invece di migliorare la qualità e far diminuire contestualmente i prezzi operi magari in senso opposto, come altre volte è avvenuto.
Anche per questo è indispensabile che si rafforzi il ruolo dell’Autorità di vigilanza e garanzia con maggiori poteri e capacità sanzionatorie. L’esperienza delle associazioni dei consumatori sul campo potrà e dovrà essere di supporto al lavoro di un’Autorità più forte e presente, favorendo così il superamento del sistema di oligopoli che bloccava il mercato. Con effetti dannosi non solo per i consumatori ma per i nuovi soggetti (in particolare i giovani) che vorrebbero accedere al mondo dei servizi e delle professioni. Si pensi ai limiti delle licenze per i taxi, al numero chiuso delle farmacie, ai panificatori, e così via.
Considerate valide le previsioni del decreto riguardanti le farmacie?
E’ senz’altro importante che si realizzi un sistema di libera vendita dei farmaci da banco come già avviene in moltissimi Paesi europei. Crediamo però che non ci si possa fermare a questo primo passo, ma da qui partire per una riforma del sistema della distribuzione dei farmaci, che rappresentano una spesa consistente del nostro sistema sanitario nazionale e che sono immessi sul mercato a prezzi particolarmente esosi superando di gran lunga ed inspiegabilmente la media europea. Ma non è solo il problema dei prezzi che ci preoccupa, assieme alle altre associazioni abbiamo individuato almeno altri tre filoni su cui muoversi per razionalizzare la distribuzione dei farmaci:
Punto primo: il confezionamento dei farmaci dovrà tenere conto dei cicli di cura e dovrà consentire (per i farmaci in boccetta e per quelli spray, ma anche per le confezioni in pillole) il totale utilizzo del prodotto. In spray o in boccetta spesso si è costretti a rinunciare al 20% del prodotto a causa della cattiva conformazione del contenitore del medicinale che non permette l’utilizzo totale del prodotto; per quanto riguarda i farmaci in blister il quantitativo, invece di essere relazionato al ciclo di cura e alla data di scadenza del farmaco, è spesso superiore (a volte inferiore) al necessario, costringendoci a gettare via la confezione perché scaduta quando ancora rimangono molte pillole all’interno, o ad acquistare due confezioni che poi non possono essere utilizzate completamente, rendendo inutilizzabile dal 20 al 30% del totale.
Ipotizzando una spesa a famiglia di 140 euro per i farmaci che curano patologie minori e piccoli malanni, si ha un aggravio di spesa di 28 euro all’anno (corrispondente al 20% dei prodotti inutilizzati) e quindi di 1,7 miliardi di euro a livello nazionale, uno spreco ingiustificabile e preoccupante per i soli prodotti da banco, quindi di libera vendita.
In pratica, per quantitativi eccessivi rispetto al ciclo di cura e per l’impossibilità di utilizzare il farmaco per intero entro la data di scadenza, ogni famiglia perde circa il 20% della spesa farmaceutica sostenuta direttamente, ed altrettanto perde il Servizio Nazionale per le confezioni totalmente rimborsate.
Secondo: è opportuno prevedere l’obbligo per i medici di famiglia oltre che per i farmacisti di fare informazione sui farmaci generici. E passare, in una successiva fase, a stabilire l’obbligo per gli stessi medici di prescrivere al paziente solo il principio attivo di cui ha bisogno, così da favorire una rivoluzione culturale in campo farmaceutico tale da contrastare con giusta efficacia le politiche aggressive delle case farmaceutiche.
Terzo: occorre dare ai farmacisti facoltà di scegliere dove e da chi acquistare i farmaci, togliendo quindi l’obbligo di rifornirsi dai grossisti che spesso applicano prezzi più alti di altri soggetti.
Qual è la vostra opinione sulle altre parti del decreto?
Quanto alla RC auto, la liberalizzazione farà fronte all’enorme crescita delle polizze avvenuta negli ultimi 10 anni e costata alle famiglie 154,9 milioni di euro dal 2001 ad oggi. L’indennizzo diretto auspicato dall’Adoc e la possibilità per l’agente di vendere al consumatore la migliore polizza presente in quel momento sul mercato, porterà a spingere verso il basso le tariffe, nei modi e nell’entità che le famiglie si aspettano, con una riduzione stimata nel 15-20%.
Quanto alle banche, riteniamo senz’altro opportuna la norma che consente di adeguare i tassi di interesse sui conti correnti ed elimina le spese di chiusura conto, alle quali aggiungiamo la richiesta di prevedere l’obbligo per le banche di mantenere le condizioni del contratto per un periodo minimo non inferiore ai 12 mesi e la abolizione delle penali di estinzione anticipata dei mutui immobiliari per l’acquisto della prima casa (che arrivano attualmente fino al 3%).
Ci sono altri punti del sistema finanziario che andrebbero toccati nell’interesse dei consumatori?
C’è la necessità di rimettere mano alle norme per la tutela del risparmio, ed in particolare dei piccoli investitori. Per noi ci deve essere una riforma profonda che riveda il ruolo della Consob; che preveda una rappresentanza dei piccoli investitori-risparmiatori nei consigli di amministrazione delle società quotate e di interesse pubblico definendo una quota minima di consiglieri indipendenti che siano espressione dei piccoli azionisti; la definizione delle penali per chi non denuncia conflitti d'interesse; l'introduzione del risarcimento punitivo del danno per chi prenda i soldi dei risparmiatori senza offrire garanzie o conoscendo da informazioni riservate che i titoli venduti non hanno valore; l'istituzione di una catena decisionale negli organismi di controllo che consenta l'individuazione di responsabilità per l'omissione volontaria delle procedure di vigilanza; il passaggio delle competenze sulla concorrenza all'antitrust.
Per l’Adoc non bisogna dimenticare che gli scandali di questi anni sono la naturale conseguenza dell’intreccio di mancanza di controlli, incroci azionari, confusione di ruoli e latitanza politica. Ovvio che alla fine ci sia solo la magistratura ad esercitare una forma di controllo che è però ovviamente tardiva. Noi preferiamo uno Stato che funzioni, che dia garanzie, e che ricrei un clima di fiducia e di rispetto delle regole da parte dei cittadini.
Gli avvocati, insieme alle altre categorie di professionisti, sono scesi in piazza minacciando scioperi ad oltranza contro l’eliminazione delle tariffe minime. Come vedete questa questione?
Le tariffe minime sono un vero ostacolo alla concorrenza in diverse professioni. La loro eliminazione finalmente offrirà una maggiore scelta e maggiori vantaggi economici ai cittadini. Un meccanismo che, se messo in atto nel periodo del change-over, quando molte delle tariffe vennero pressoché duplicate da alcune categorie, avrebbe consentito un risparmio di oltre 400 milioni di euro nel periodo 2001-2006.
Crediamo però che gli albi debbano sopravvivere perché sono una garanzia della professionalità anche e soprattutto per il consumatore che altrimenti non avrebbe nessun parametro di riferimento. In ogni caso, assieme alla eliminazione dei minimi tariffari chiediamo che sia esteso a tutte le categorie l’obbligo di rilasciare ricevute fiscali, introducendo la possibilità di dedurre tali ricevute dalle tasse dei lavoratori dipendenti e dei pensionati per una quota congrua e sensibilmente maggiore all'aliquota IVA. Se questo non avviene non si favorisce il meccanismo virtuoso del coinvolgimento del consumatore nella lotta all’evasione che nelle categorie professionali è particolarmente alta. Inoltre si mantiene un sistema sperequato e non condiviso dalla maggior parte dei contribuenti, un sistema in cui alla poco incisiva lotta all’evasione verso le categorie più a rischio, si accompagna un meccanismo che vietando solo ai dipendenti e pensionati di dedurre le spese dai propri redditi gli fa pagare le tasse due volte.
Le associazioni dei consumatori sono impegnate anche sul fronte fiscale?
Certamente sì. Mettere il cittadino nella condizione di poter fungere da strumento attivo nella lotta all’evasione, è lo spirito dal quale, a nostro avviso, occorrerebbe partire. Ecco alcune delle misure che noi caldeggiamo:
- ripristinare l’obbligo per tutti i commercianti e ristoratori, a prescindere dal sistema fiscale scelto, di emettere lo scontrino fiscale. L’attuale normativa in materia ingenera confusione tra i cittadini, non permettendogli di riconoscere chiaramente le categorie da cui doverlo pretendere. Al contrario, rendere obbligatorio per tutti lo scontrino, ingenera un circolo virtuoso per cui i cittadini si sentono parte in causa nella lotta all’evasione.
- permettere ai consumatori di portare in detrazione almeno il 30% delle spese per le prestazioni sanitarie, incentiva il cittadino a richiedere sempre la fattura, evitando accordi in nero che evitano il pagamento dell’Iva e che consentono al professionista l’evasione.
- evitare il permanere di norme inique ed incomprensibili anche sul piano della costituzionalità come quelle che prevedono due diversi trattamenti sull’IVA sul gas domestico. Già nella scorsa legislatura l’Adoc ha sostenuto le iniziative promosse da Onorevoli Deputati e Senatori che hanno presentato proposte di legge volte ad uniformare, riducendola, l’aliquota IVA su tutto il consumo di gas (incluso il GPL) per uso domestico al 10%. La soluzione legislativa di questo problema è opportuna, necessaria ed urgente, perché l’attuale normativa è contraddittoria, e crea nei cittadini una crescente sfiducia e sensazione di essere ingiustamente vessati e discriminati. Tutto questo avviene peraltro in una situazione di monopolio, ed è proprio questa anomala circostanza che è stata considerata nelle sentenza dell’11 aprile 2001, con cui il Giudice di pace di Massa ha riconosciuto che le richieste di due cittadini, per un rimborso della differenza IVA pagata in più negli ultimi dieci anni all’azienda locale, sono legittime anche in presenza del contratto promiscuo (con contatore unico).
Va inoltre considerato che l’IVA per chi usa i condizionatori è al 10%, e nella cultura diffusa il condizionatore è ancora considerato un bene di lusso, mentre il riscaldamento è un bene primario.
Ma basta anche riflettere sul fatto che chi riscalda la casa con termosifoni elettrici paga l’IVA al 10%. Inoltre risulta iniquo e non comprensibile per i cittadini il fatto che per il solo fatto di avere la caldaia autonoma, si debba pagare l’IVA al 20% anche per la cottura e lo scaldabagno e soprattutto la si debba pagare nei mesi estivi nei quali è impossibile anche per legge e regolamenti municipali accendere il riscaldamento. In questo modo si determina un immotivato differente trattamento tra chi può avere il riscaldamento centralizzato (e quindi godere di un trattamento IVA differenziato) e chi, suo malgrado, ha la caldaia autonoma (va ricordato che quasi sempre non è possibile scegliere).
E’ opportuno dunque che il Parlamento approvi nuove norme rapidamente, ed è giusto, ad avviso dell’ADOC, che in esse si preveda anche un equo risarcimento per l’IVA pagata in più negli anni pregressi, per ridare ai consumatori, ai cittadini, motivi per ritenere giusto il sistema impositivo vigente.