Partito democratico
Nel DDL di riforma fiscale presentato dal PD vi sono:
- l’innalzamento da 30.000 a 50.000 euro del tetto di ricavi da cessione di beni per poter accedere al regime semplificato dei contribuenti minimi;
- l'innalzamento delle detrazioni da lavoro dipendente ad un massimo di 1955 euro annui (dagli attuali 1840), con esenzione fino a 8'500 euro di reddito (dagli attuali 8000) ed eventuale restituzione agli incapienti della parte non fruita, e decrescenza lineare di quella spettante fino all’azzeramento ai 55'000 euro;
- la riduzione di un punto percentuale di ciascuna aliquota Irpef per ognuno degli anni 2009, 2010, 2011;
- una detrazione aggiuntiva pari al 23% del salario di produttività per una quota massima di 2500 euro annui.
Dal punto di vista redistributivo, la rimodulazione delle detrazioni risulta leggermente progressiva, beneficiando maggiormente il lavoro dipendente a basso e medio reddito, così come la detrazione in percentuale fissa per il salario di produttività tende a favorire maggiormente i redditi da lavoro dipendente più bassi, soggetti ad aliquote effettive inferiori sugli incrementi di reddito (ma comunque ben superiori al 23% della detrazione prevista, cosicché si tratta di una detassazione parziale di tali aumenti). La forma della detrazione concilia la detassazione con il mantenimento all’interno del reddito complessivo Irpef di tutto il reddito da lavoro dipendente.
La riduzione di 3 punti per ciascuna aliquota, invece, distribuisce abbastanza uniformemente i benefici percentuali per livello e per tipo di reddito, sempre che non sia accompagnata dalla ridefinizione degli scaglioni (che potrebbe limitare gli effetti delle riduzioni di aliquota).
L'innalzamento della soglia di fatturato per accedere al regime dei minimi è un'ulteriore erosione della base imponibile dell’imposta personale e progressiva che si accentuerebbe nettamente in caso di sottrazione all’Irpef anche dei redditi immobiliari (prevista, oltre che dal PD, anche da PDL e UDC ed esclusa solo da SA).
Popolo della libertà
In tema di Irpef, il PDL presenta in due documenti diversi le sue proposte, meno dettagliate. Un primo filone è centrato sull’Irpef individuale: dovrebbe rimanere com’è ora ma con la detassazione di straordinari e premi di produttività e la “graduale e progressiva” detassazione delle tredicesime. Non è specificato quale forma assuma questa detassazione, cosicché non è possibile capire se si tratta di una detassazione parziale o totale, strutturale o provvisoria.
C’è anche il rafforzamento delle detrazioni documentate, pensate anche per generare aumento di base imponibile attraverso un conflitto di interessi tra consumatore e fornitore.
Anche il PDL, come detto, propone l’ulteriore erosione della base imponibile Irpef con la tassazione separata (al 12%) degli immobili affittati.
Un punto rilevante è la fissazione di un tetto del 30% all’aliquota media dell’Irpef: considerati oneri detraibili ed eventuali detrazioni spettanti per carichi familiari, ciò equivarrebbe a generare una riduzione dell’imposta per i redditi superiori agli 80'000 euro, un impatto che attenuerebbe nettamente la progressività dell’imposta, operando solo sul 5% più ricco dei contribuenti (ma un effetto ingente si avrebbe solo per qualche migliaio di contribuenti a più elevato reddito).
Un secondo filone di riforma, ipotizzato in uno dei due documenti, è quello del quoziente familiare (proposto anche da “La Destra”), cioè del meccanismo alla francese che fissa la progressività in base al reddito pro capite “equivalente” di un nucleo familiare. Questa misura avvantaggerebbe nuclei numerosi e con alti redditi, riproponendo in parte l’effetto che si otterrebbe con la citata fissazione di un tetto di aliquota media al 30%.
Considerato il basso grado di dettaglio, è impossibile quantificare il minor gettito insito in queste proposte, anche se la compresenza di detassazioni interne all’Irpef individuale (programma 1) e l’introduzione del quoziente familiare (programma 2) comporterebbero riduzioni di gettito nell’ordine dei 30-40 miliardi.
Sinistra arcobaleno
In tema di Irpef il programma della SA è per alcuni aspetti simile a quello del PD, prevedendo l’aumento delle detrazioni per lavoro dipendente e la riduzione al 20% dell’aliquota minima. Ma si differenzia da questo nel non prevedere una riduzione delle aliquote sugli scaglioni maggiori, di esentare con le detrazioni maggiorate dipendenti e pensionati fino a 12’000 euro (anziché 8.500), nel prevedere l’adeguamento automatico degli scaglioni all’inflazione (recupero del fiscal drag), nell’equiparare al 20% le due aliquote sostitutive, del 12,5% e del 27%, gravanti oggi sui redditi finanziari. Da queste differenze deriva anche un’azione più redistributiva a seguito degli interventi ipotizzati.
Il minor gettito implicito è di grandezza equiparabile a quello del PD, così come è comune il riferimento al recupero dell’evasione per finanziare queste riforme.
2. IL SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE
La seconda importante area di potenziale intervento sul reddito disponibile è il sostegno ai carichi familiari.
Il PD prevede la confluenza di detrazioni per carichi familiari ed assegni familiari in una “dote fiscale per figli”, cioè un assegno che sarebbe universale (cioè esteso anche agli autonomi), decrescente (a partire da 2'500 euro annui per figlio) in base al reddito familiare (corretto con le scale di equivalenza). Lo strumento appare un notevole passo avanti rispetto alla situazione esistente: la forma di assegno supera i limiti dell’incapienza delle tradizionali detrazioni, l’universalità (per la verità dubbia, nel senso che non viene specificato se la dote spetterebbe a qualsiasi nucleo con figli) è un passo avanti concettuale rispetto all’attuale intervento a favore della famiglia, mentre l’aggancio della decrescenza ad un reddito equivalente di origine familiare elimina l’iniquità allocativa insita nelle attuali detrazioni, che guardano al reddito di un coniuge senza considerare il complessivo tenore di vita familiare.
Dal punto di vista delle risorse necessarie a finanziare questa riforma, l’assenza di dettagli sull’impianto della nuova dote impedisce di valutare l’impatto sui redditi disponibili; considerato che lo strumento sarebbe assorbente delle attuali detrazioni e degli assegni, entrambi decrescenti ma con meccanismi diversi ed a partire da benefici annui complessivi non lontani dai 2'500 euro promessi, il costo dell’innovazione (e le risorse affluenti in aggregato alle famiglie) potrebbe anche risultare non lontano da quello attuale (anche se resta indefinito il ruolo che avrebbero gli attuali specifici contributi CUAF, gravanti sui soli dipendenti privati).
Sul punto non vi sono previsioni specifiche nei programmi SA e PDL (per il quale va ricordato l’accenno al quoziente familiare, considerabile una forma indiretta, anche se non sempre efficace, di sostegno ai carichi familiari), mentre è interessante notare che l’UDC prevede una nuova classe di detrazioni modulata in base al numero dei familiari ed alla presenza di diversamente abili e non autosufficienti, cioè a criteri di definizione dell’agevolazione spettante che si richiamano a quelli dell’ISEE e del quoziente familiare.
3. LE MODIFICHE AGLI STUDI DI SETTORE
Il programma del PD afferma che "l'applicazione degli studi di settore va drasticamente semplificata per imprese in monocommittenza e contoterzisti, fino a consentire loro la totale fuoriuscita dall'uso di questo strumento". Propone, inoltre, "l'applicazione non retroattiva" degli studi stessi, il potenziamento della formazione congiunta tra Agenzia e categorie e di dare maggior rilievo alla dimensione territoriale. Quest'ultimo concetto è (presumibilmente) simile a quello espresso nel programma del PDL che cita la necessità di una "riforma degli studi di settore dal basso", probabilmente rievocando l'idea, formulata nel 2001 da Tremonti, che "solo a Mantova sanno quanto guadagna un panettiere di Mantova".
Nel complesso, da questi accenni è possibile trarre due indicazioni. In primo luogo, malgrado le polemiche che hanno accompagnato gli studi di settore negli ultimi anni, nessuno dei due principali partiti sembra intenzionato a rinunziarvi, il che è ragionevole considerando non tanto il loro apporto in termini di gettito (la cui entità effettiva è discussa e discutibile) ma soprattutto l'investimento effettuato dal 1998 ad oggi. Abrogare gli studi di settore, come è pure auspicato da larga parte sia dell'amministrazione finanziaria sia dei contribuenti, sarebbe l'ennesimo "pentimento" nella storia della lotta all'evasione e un altro esempio di sperpero delle risorse pubbliche investite in questo progetto.
Il secondo punto riguarda la volontà di riforma degli studi, che nel programma del Pd è piuttosto dettagliata ed è finalizzata a valorizzare le richieste di alcune associazioni di categoria profondamente coinvolte nell'elaborazione degli studi, ad esempio l'uscita dei contoterzisti, l'applicazione non retroattiva, la formazione congiunta. Lo scarno accenno fatto nel programma del Pdl, e l'ultimo punto di quello del Pd, invece, sono difficili da commentare, posto che finora i tentativi di "territorializzare" gli studi (ad esempio attraverso l'operato dei famosi comitati provinciali) non hanno avuto un buon esito. Il nodo è la tipologia di informazioni da acquisire e la loro modalità di utilizzo all'interno della (complessa) macchina degli studi.
Più in generale, va notato che entrambi i partiti sembrano voler del tutto (il PDL) o in buona parte (il PD) ignorare le recenti indicazioni di riforma provenienti dalla cd Commissione Rey, che riguardano non singoli aspetti, ma invece l'intero "progetto studi", e quindi non solo le tecniche di elaborazione, ma anche le procedure di controllo della qualità dei dati, l'architettura istituzionale e la validità giuridica delle risultanze degli studi di settore. Forse il programma non era la sede giusta per affrontare problemi di questa dimensione, ma è difficile pensare che senza affrontarli sul serio gli studi di settore potranno essere "riformati" in modo da garantire la loro efficacia, e persino la loro sopravvivenza, nel prossimo futuro.