manda in
giro lettere d’amor perduto ai suoi ex colleghi capi di governo. E dopo
quella che D’Alema ha chiamato “la riperdita” ridimensiona la sua
voglia di spallate. Se dovesse perdere anche il referendum impegnandosi
in prima persona la sconfitta (la terza nell’arco di poche settimane)
potrebbe essergli fatale. La Lega
strariperebbe dagli argini del centrodestra, Casini potrebbe pretendere la
leadership, lo scenario politico subirebbe smottamenti da tutte le
parti. Intanto, come da copione, quelli che hanno perso alle
amministrative cercano qualcun altro a cui dare la colpa. Ma non sempre
ci riescono
Berlusconi ha inviato a Zapatero al momento di lasciare
Palazzo Chigi. Oltre che al leader iberico è stata inviata agli altri
Capi di Stato ma il governo spagnolo, non certo vicino al padrone di
Mediaset (che ora rischia addirittura di essere chiamato a giudizio dal Tribunale di Madrid per
gli imbrogli di Telecinco) è l’unico che l’ha fatta circolare
maliziosamente. L’iniziativa è per la verità alquanto inusuale: un
leader sconfitto, ormai diventato privato cittadino, che si rivolge ai
Capi di Stato e di governo vantando ancora una volta le sue 36 riforme
(come se a loro gliene importasse qualcosa), annunciando che spera di
tornare al governo “dopo che saranno state verificate le oltre un
milione e centomila schede annullate” (la sua ossessione!),
ringraziandoli per il “simpatico (sic) rapporto instaurato” e
concludendo con un “ti voglio bene”. Cosa assurda in generale ma ancor
più nel caso di Zapatero, con il quale non ha nulla ma proprio nulla in
comune, e che anzi nella campagna elettorale ha additato come un
esempio di immoralità e cattivo governo (un motivo per non votare Prodi
“che ci farà fare la fine degli spagnoli con Zavatero”). Una gaffe
straordinaria, un documento imbarazzante dal punto di vista della
opportunità politica ma anche, ci sembra, della dignità personale. Che
merita di essere riportato per intero.
La lettera (L’Espresso, 1° giugno 06) è datata 16 maggio e indirizzata
a Josè Luis Rodriguez Zapatero, Primo Ministro del Regno di Spagna.
“Caro Josè Luis, dopo cinque anni mi accingo a lasciare la guida del
governo italiano. Si è trattato di un periodo di stabilità senza
precedenti nella storia della Repubblica italiana, che mi ha consentito
36 importanti riforme di ammodernamento del Paese e di sviluppare
un’esperienza particolarmente importante e positiva nei rapporti con i
colleghi degli altri Paesi europei. Come probabilmente sai, per il
particolare sistema elettorale italiano (non dice che è un sistema che proprio lui aveva
imposto un mese prima delle elezioni, ndr), nonostante il mio personale
successo (Forza Italia è di gran lunga il primo partito italiano) la
coalizione che guido è risultata globalmente maggioritaria in termini
di voti ma minoritaria in termini di rappresentanza parlamentare. Come
leader dell’opposizione rappresento comunque il 50,2 per cento del
Paese e spero di tornare presto al governo dopo che saranno state
verificate le oltre un milione e centomila schede annullate. Ti
ringrazio per il simpatico rapporto che abbiamo instaurato e Ti
assicuro che continuerò a seguire con grande interesse il Tuo impegno
per la Spagna e per l’Europa, auguro a te e alla Spagna ogni successo e
resto a Tua disposizione per lavorare insieme a favore delle relazioni
italo-spagnole e di un avvenire dei popoli europei basato sugli ideali
nei quali entrambi crediamo (espressione decisamente offensiva nei
confronti del suo interlocutore, ndr). Ti ricordo che hai in Italia un
amico che ti vuole bene!”
Conclusione scritta a mano: “Un forte abbraccio, Silvio”.
Veramente roba da psichiatri. Intanto prosegue, come abbiamo anticipato,
la ricerca dei colpevoli delle sconfitte alle amministrative. Chi ha
detto che la vittoria ha molti padri e la sconfitta è orfana? E’ la
sconfitta che ha sempre molti padri. A Napoli Berlusconi – il vero,
grande perdente di queste elezioni, che nelle sue tre uscite aveva
cercato il feeling con la piazza con stile mussoliniano: “volete voi il
comunismo al potere? Nooo!!! Volete voi Napoli risanata? Sìììì – se la
prende con i suoi consiglieri, che lo hanno indotto a impegnarsi in
prima persona assicurandogli che si sarebbe andati almeno al
ballottaggio. I sostenitori di Malvano hanno lamentato per contro che
Berlusconi abbia personalizzato troppo la campagna mettendo in ombra il
candidato sindaco. A Roma Alemanno se l’è presa invece con Berlusconi
che non si è impegnato abbastanza, con gli alleati che si sono defilati
e con il suo partito che non lo ha sostenuto (in effetti al Parco dei
Principi, suo quartier generale, mentre lui piangeva ascoltando i
risultati i big di Alleanza nazionale hanno evitato accuratamente di farsi vedere.
Perfidi).
A Torino Buttiglione ha dato la colpa ai ritardi della sua designazione
e alla mancanza di una piattaforma elettorale credibile, mentre gli
altri del centrodestra hanno denunciato l’errore di aver scelto come
aspirante sindaco un sagrestano bollito, per di più non torinese. A
Milano il centrosinistra ha dato la colpa ai milanesi che amerebbero
votare per i padroni. Solo Cacciari ha avuto il coraggio di dire che la
causa della sconfitta sta nell’aver escluso, per colpa di piccoli burocrati della politica (leggi Nando Dalla Chiesa), la
candidatura di un personaggio come Veronesi, che veramente avrebbe
messo d’accordo le tante anime della città.
Una grande occasione buttata al vento, una lezione, quella di Milano, di cui il centrosinistra farebbe bene a tenere conto. Ma
sappiamo che difficilmente ci riuscirà: di fronte
alla stupidità degli uomini, diceva Eschilo, anche gli Dei sono impotenti.
Archiviate le amministrative, il governo dovrebbe cercare di parlare
poco e produrre molto in queste poche settimane che ci separano dal
referendum sulla devolution. Guai a prenderlo sottogamba. E’ un evento,
comunque vada, che metterà in movimento l’intero quadro politico. Se il
centro sinistra vincerà, come tutti i pronostici lascerebbero credere,
forse è la volta che Berlusconi, già da tempo in preda alla paranoia da
sconfitta (per un “vincente” come lui!), si metterà (o sarà messo) da
parte. Almeno per un po’. Chissà. Tutto è possibile.